Ottocento. Da Canova al Quarto Stato

di GIOVANNI LAURICELLA
130 opere di 72 autori: Canova, Tenerani, Bartolini, Vela, Duprè, Cecioni, Gemito, sino a Medardo Rosso, l'importanza di Morelli e le sperimentazioni atmosferiche della Scapigliatura e del Divisionismo: Segantini, Morbelli, Novellini, la Maternità di Gaetano Previati, Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Il Bacio di Francesco Hayez, i ritratti del presidente della repubblica italiana Napoleone Bonaparte di Andrea Appiani, primo ritratto del celebre imperatore francese; la malinconia di Silvestro Lega; l'indimenticabile Canto di una stornello, i Bagni della Rotonda Palmieri e ritratti esclusivi di Giovanni Fattori.
Opere di una qualità superiore a quelle degli altri paesi europei, Francia inclusa, dell'Italia in lotta per l'indipendenza e per la creazione di una società più giusta ed equa, concetti "assolutamente moderni" ma che stanno nell'oblio della nostra coscienza pare iniziata solo di recente dalla resistenza, dimenticanza su cui la mostra comodamente s'adagia. Una esposizione curata da Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, senza dubbio interessante, che mi ha dato lo spunto per alcune riflessioni che esporrò qui di seguito.
Cominciando dall'argomento centrale della mostra, noto ancora una volta un fenomeno che stancamente si ripete ormai da tempo.
I curatori fanno, come al solito un compendio di presentazione di opere, come del resto richiede la didattica per le scuole; e fin qui va bene, ma poi ci vorrebbe dell'altro e su questo "altro" l'impalcatura della mostra inizia a scricchiolare. Spesso si sopperisce al deficit di contenuto -che dovrebbe avere una manifestazione del genere per essere al livello dovuto- con il fatto che si presentano opere mai prima offerte al pubblico, o mai prima viste insieme.
Benissimo, interessantissimo, ma non basta. Ci vuole quello che fa la mostra, il messaggio culturale che essa vuole comunicare. Bene, riguardo al nostro " Ottocento" faccio il furbo e io non ve lo dico. Mi limiterò ad elencare alcune stranezze che gli illustri personaggi che hanno approntato la mostra hanno compiuto.
La mostra inizia da Quarto Stato (283 centimetri di altezza e i 5 metri e mezzo di larghezza) e dal divisionismo poi riprende il percorso enunciato. Di questo non hanno colpa gli allestitori, che si trovano di volta in volta a dover risolvere problemi impossibili.
Può esserci uno spazio espositivo che non ha una parete per un grande quadro come " Il Quarto Stato" ? Può esserci un luogo per manifestazioni importanti che ha una metà dello spazio totale, intendo il primo piano, dedicato alle opere di grande formato, e l'altra metà destinata ad opere che non possono essere ingombranti e pesanti?
Che senso ha, in una città come Roma, ricca di musei e gallerie di livello, riqualificare antiche scuderie per creare luoghi espositivi del genere, suggestivi ma scomodi e inadeguati, che ti viziano - e questo è il peggio- il discorso culturale che vuoi affrontare con la mostra?
Alcune statue di due metri circa di altezza dovevano essere viste da una distanza che abbracciasse tutta la dimensione della figura, ma se tentavi di posizionarti a questo fine ti trovavi a ingombrare la visuale di chi voleva guardare il quadro che ti stava alle spalle, e così via, in un balletto di " scusi" e "permesso". Sì, perché in questi luoghi della cultura, soprattutto il giorno del vernissage, rischi di trovarti con la schiena appoggiata contro il quadro della parete opposta!
Potrei capire il fascino di questa situazione se si esponesse arte contemporanea, per cui si scegliesse bizzarramente un' istallazione gigantesca, tale che il museo non potesse contenerla ( e così si potrebbe dimostrare, che so, l'irriducibilità della creazione d'avanguardia allo spazio tradizionale); ma trovarsi di fronte ad un' opera di più di un secolo fa, che viene a malapena esposta su una scala di percorso del palazzo e appare male illuminata perché non si ha lo spazio sufficiente per le luci, mi sembra demenziale.
Viceversa possiamo incontrare un quadro di Fattori di piccole proporzioni, come "In vedetta", messo insieme agli altri come se fosse uno dei tanti. Ma i Macchiaioli, e in particolare alcuni loro quadri, come questo, devono essere trattati sempre come se non valessero niente?
Di gaffe del genere c'è n'erano tante altre.
Si vedevano cartelli riassuntivi con le opere presenti nella sala, a formare in pratica un percorso storico da considerarsi in blocco, a proporre tutta una stagione pittorica come il nostro Ottocento come un' arte da considerarsi a sale. Immaginatevi se al Louvre qualche curatore osasse esporre la Gioconda insieme ad una fila di ritratti femminili come se fossero tutti la stessa cosa perché dello stesso periodo e soggetto, così dopo un po' il visitatore è indotto a credere che Leonardo Da Vinci abbia fatto un' opera come tante del suo tempo, il solito ritratto di dama.
Potrei continuare a lungo su questo argomento, che mi intriga, ma se penso che ci sono facoltà con cattedre specifiche, uffici tecnici che stabiliscono i criteri museali, studiosi ed esperti che tengono innumerevoli conferenze stampa e dibattiti nei luoghi più rappresentativi del mondo della cultura, e a seguire escono sontuose pubblicazioni, mi irrita scoprire che stiamo sempre nella situazione che ho prima descritto.
Concludo con un altro argomento, di diversa natura, ma che nondimeno influisce sulla gestione degli eventi.
Mi chiedo cosa ci fanno nelle inaugurazioni certe persone che con la cultura non hanno nulla a che spartire. E dico questo non per rivendicare la sacralità dell'arte, come se solo i satrapi la dovessero frequentare, anzi. Ma quando in un territorio che dovrebbe essere fecondo di discorsi sull'arte, si sentono solo discorsi sulle barche, su attricette ed entraineuses da discoteca, che evidentemente vanno a cercare i clienti, mentre altre invitate sembrano fare il varietà con vociate da stadio solo per esibizionismo, insieme a preti e suore all'arrembaggio, ti chiedi: cosa c'entra questo pubblico? E che ci faccio io qui?
D'accordo, le elezioni si avvicinano, ma vedere solo deputati e portaborse, lottizzatori di catering e hostess, rappresentanti di commercio e faccendieri di dubbia provenienza, che intavolano affari e ti scansano se ti fermi a guardare un quadro, vi sembra normale? Aggiungi una rappresentanza fissa della nobiltà romana, che da un po' di tempo a questa parte è diventata asfissiante più di quando eravamo sotto il re, uno stuolo di strani personaggi che si mettono in posa per ostentare ricchezza, comparse immobili da film che stazionano nel bel mezzo del percorso e davanti alle opere come se fossero altrettante statue in esposizione: tutto questo mi sembra esagerato e fuori luogo, un dejà vu ormai insopportabile.
Il paradosso che questa adunata costa in termini di tempo perché devi fare una fila interminabile, di un' ora minimo, dato che lo spazio espositivo, a starci stretti, è sufficiente per poche centinaia di persone.
E, lo ripeto, siamo a Roma, la capitale del turismo culturale!
Ottocento. Da Canova al Quarto Stato
Scuderie del Quirinale
dal 29 febbraio al 10 giugno 2008
in agenzia radicale