L'olio di oliva extravergine italiano spopola negli Stati Uniti

L'olio di oliva extravergine italiano spopola negli Stati Uniti: nel 2012 le vendite in questo mercato hanno raggiunto 403 milioni di euro. È un segnale importante, che fa bene a tutta l'agricoltura che proprio in questi giorni ha fatto registrare altre indicazioni positive dal punto di vista occupazionale.
L'olio nostrano, dunque, vince sempre nel mondo. Secondo i dati dell'Unaprol - il più importante consorzio olivicolo nazionale - la "macchina dell'export" lo scorso anno si è rimessa in moto e ha fatto registrare un aumento delle vendite del 3,5%, con 416mila tonnellate in più rispetto al 2011 per circa 1,3 miliardi. A determinare questo segno favorevole, il buon andamento degli oli di maggior pregio (extra e vergini), che hanno concorso con il 70% di vendite all'estero. Ma non solo. Come si è detto, negli Usa - uno dei mercati alimentari più difficili ma anche più ricchi al mondo - le vendite di olio extravergine hanno avuto una progressione del 5,3% in quantità e del 4% in valore. È l'effetto della qualità del prodotto, ma anche dell'intensa campagna promozionale messa in piedi da Unaprol, ministero dello Sviluppo economico e Ice, che ha consentito di far conoscere meglio le etichette nazionali, a scapito delle numerose imitazioni in circolazione.
Ma l'agricoltura dà segni positivi anche su altri fronti. Nel 2012 i campi hanno fatto registrare , secondo Coldiretti, un incremento record del 3,6% del numero di lavoratori dipendenti occupati. È il risultato di una crescita del 7,2% al Nord, dell'11,2% al Centro e dell'1% al Sud. L'organizzazione dei coltivatori stima, poi, che almeno un lavoratore assunto su quattro abbia meno di 40 anni. Certo, la crisi e la mancanza di lavoro in altri comparti possono aver spinto verso i campi, ma la Coldiretti sottolinea anche l'aumento di iscritti alle scuole agrarie - indice di una ritrovata passione per questo settore - oltre che la necessità in futuro di livelli più elevati di professionalità, con particolare riguardo a figure specializzate in grado di seguire lo sviluppo di specifiche coltivazioni, la conduzione di macchinari o la gestione di attività che oggi si sono integrate con quella agricola. Insomma, nei campi non si andrà più solo "a zappare" e basta.
Eppure gli agricoltori non si nascondono i problemi. Da uno studio Ipsos presentato da Confagricoltura, pare che gli imprenditori agricoli siano particolarmente preoccupati rispetto al resto della popolazione: il 62% infatti, ritiene che il peggio debba ancora arrivare e per quasi la metà, il 48%, «la crisi è più grave di quello che si pensa». Il mondo agro-alimentare, poi, ritiene che vi sia uno scarso interesse da parte del mondo politico, istituzionale e dei media verso le imprese agricole (per ben il 90% il livello di attenzione è scarso o nullo), ma anche i cittadini appaiono distanti.
È anche da queste indicazioni che emergono le contraddizioni di un comparto prezioso per il Paese come quello agricolo.
avvenire.it

Il futuro del vino si gioca in India

Presto in giro per il mondo potrà esserci del vino prodotto in India ed etichettato da uno dei più bei nomi dell'industria enologica mondiale. Intanto, nel mercato più ricco al mondo per il vino, quello americano, si attende una crescita a due cifre dei consumi di bottiglie. Tutto mentre si affacciano, anche in Italia, etichette nuove come quelle biologiche. È la dimostrazione, se ve ne fosse bisogno, della dinamicità del mercato agroalimentare mondiale - molto meno di quello interno - ma soprattutto di quello enologico, che continua a muovere miliardi e a creare aspettative in produttori e commercianti. Una partita in cui l'Italia può avere un ruolo più importante di quello attuale. A patto di riuscire ad acquisirlo e mantenerlo. Stando alle informazioni fatte circolare da Winenews, una delle più qualificate reti italiane d'informazione vitivinicola, la Moet-Hennessy (Lvmh) - uno dei gruppi di alta gamma nell'alimentare e non solo - ha fra i suoi piani di crescita quello di produrre bollicine in India. Il gruppo francese sta completando i lavori per realizzare una cantina nel Nashik (regione di Dindori) con 19 ettari piantati nel 2011 a Pinot Nero, Chenin Blanc e Chardonnay, che dovrebbero garantire una capacità produttiva di 50mila casse all'anno. Non una grande produzione, ma certamente l'inizio di una strategia di espansione nel mercato locale (che conta 1,4 miliardi di abitanti), che potrebbe poi guardare anche ad altre aree di consumo. E, proprio quest'ultimo, come si è detto sopra, è previsto in forte aumento negli Usa, cioè nel primo mercato al mondo in fatto di vino e alimentare in genere. Nei cosiddetti "convenience store" che possono vendere vino, è stato rilevato un potenziale di crescita che non si era mai visto negli ultimi 30 anni. Intanto i prezzi al consumo sono cresciuti costantemente negli ultimi 6 mesi. E ancora, sempre negli Usa, l'indice sulla fiducia e sulle intenzioni di spesa dei consumatori monitorato da Nielsen, è cresciuto di due punti nei primi tre mesi del 2013. Tutti dati che, messi insieme, aiutano a guardare con (cauto) ottimismo al futuro, nonostante la crisi. Ben venga, quindi, l'aumento di vendite oltreoceano - l'Italia ha iniziato il 2013 con un +10,7% in quantità e il +14,2% in valore nei primi due mesi, come dicono i dati dell'Italian Wine & Food Institute -, soprattutto perché invece i consumi nazionali continuano ad essere in "caduta libera", come ha sentenziato Nomisma pochi giorni fa. In Italia, l'anno si è aperto con vendite in contrazione del -2,9%. Ma, anche nel nostro Paese potrebbe muoversi qualcosa di diverso proprio nel mondo del vino. Sempre Nomisma ha segnalato un certo interesse dei consumatori nostrani verso le etichette ottenute da uve coltivate con più tecniche compatibili con l'ambiente. Una nicchia, certo, ma in tempi di magra come questi tutto vale per guardare in avanti con un mezzo sorriso. Anche se il futuro del comparto si gioca in altri mercati. avvenire.it