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Reportage Caucaso, poesia e vino Viaggio in Georgia

Ci sono popoli che devono essere raccontati. Hanno vicende importantissime. A volte salgono alla ribalta per motivi geopolitici di forte attualità, poi rientrano, per noi, nel loro buio millenario. Li conosciamo poco o niente. 
Ad esempio i Georgiani. Verrebbe da dire, per iniziare questo racconto che qualcun altro proseguirà: be’, sono come gli italiani, una grande storia alle spalle e una gran voglia di stare bene. E hanno il senso dell’amicizia. Quando Boris Pasternak fu espulso dalla unione degli scrittori sovietici nessuno lo andava piu a trovare. Si recavano da lui solo gli amici poeti e scrittori georgiani. A loro scrisse delle lettere bellissime, uscite in un libro. 

Uno di questi era Titsian Tabidze. Morì in una prigione sovietica nel ’37. Il suo viso di ragazzo serio e lucente mi ha accompagnato nel breve viaggio che ho compiuto per un festival di poesia in una tenuta a due ore da Tbilisi. E nel parco museo di Tsinandali, con il padrone di casa Georg e il suo socio, con le foto della stirpe dei Chavchavadze, stirpe di generali, principesse e letterati, con il bravo poeta georgiano Dato Meghnaze e sua moglie, la elegante Lali, circondati da parenti, amici e invitati, ecco, ho avuto la riprova: somigliano agli italiani questi pazzi georgiani. Lo si capisce da come amano il vino, ad esempio, o da come cantano. E dall’orgoglio con cui fanno risalire un sacco di cose alla loro terra. 

Qui era l’antica Colchide, gli argonauti vennero a cercare il vello d’oro, la maga Circe era di queste parti. Poi si allargano un po’: dicono che gli etruschi erano protogeorgiani, che son state trovate qui le prime ossa di uomo europeo, che c’è oro a bizzeffe. Difficile credere a tutto, mentre non la finiscono di fare brindisi e viene il sospetto che li facciano giusto per versarsene un altro po’. Ci somigliano, però ci sono apparizioni straordinarie che ti fanno pensare: «Ma dove sono finito?». E non mi riferisco alla bizzarra Rolls Royce rosa che spunta su una piazza a Tblisi. Ci sono apparizioni e storie che si imprimono per la loro verità. Ad esempio, i gioielli d’oro antichi tolgono il fiato, e le spade e i pugnali. È un paese terra di re, principesse e nobiltà. Il re Davide IV l’edificatore, strappò queste terre all’islam dopo che già nel IV secolo si erano convertite al cristianesimo. Ancora è onorato. Così come re Eracle II, nella regione di Kakheti, il cui centro Telavi è un paesone di dolce collina in faccia ai monti del Caucaso. Sì, qui si sentono di sangue regale. È un Paese ponte, a questo deve la sua fortuna e la sua sofferenza. Sempre preso di forza, dai mongoli ai comunisti. Ora ci sono altri modi di dominare. 

Ma la Georgia può essere protagonista del proprio destino. Ha condizioni geopolitiche (tra cui il privilegio di un trattato di libero scambio europeo) e caratteristiche di distribuzione della proprietà che offrono buone prospettive in campo agricolo e turistico. Perciò l’amicizia con gli italiani può far fiorire varie cose. Lo pensano in tanti qui, tra questi anche l’ambasciatore italiano, Antonio Bartoli, da sette mesi mandato quaggiù dopo importanti esperienze negli Usa. Somigliano e non somigliano agli italiani, dunque. 

Il principe Andronikos conversa e canta con la malinconia nobile e invincibile che conosciamo bene. Ma con una dolcezza lievemente orientale che da noi è rara. Le donne sono eleganti e sanno essere pazze. Alcune conservano dolori dentro come un diadema, uno sparo. Altre, come Nunu Geladze, splendida traduttrice, cantano tirando fuori una voce che viene dai grandi boschi e dalle distese del Caucaso. Qui molti hanno visto amici sparire, intere famiglie. 
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L'antico monastero di St. Ninos a Samtavro

E nel Museo dell’occupazione sovietica, all’entrata immerso in una luce rosso sangue sta il vagone maledetto traforato dai colpi della mitragliatrice su cui erano molti intellettuali. Sembra un oggetto di mille anni fa, ma sono solo ottanta. Con il grande cugino russo che pulsa subito di là dal confine la partita è ancora aperta. I media di tutto il mondo hanno documentato la durezza di certe repressioni, prima che si arrivasse alla indipendenza, nel ’92 e poi – con la rivoluzione delle rose nel 2003 – all’attuale struttura politica. 

Il passaggio dall’abbraccio con l’ingombrante vicino alla libertà non è stato indolore. In una foto del museo si vede una bella ragazza che da un auto sventola una bandiera, piena di determinazione e di speranza nei giorni della indipendenza. Ora quella donna, mi dicono, fa la badante o qualcosa del genere in Italia. Tblisi è una città bizzarra, una storia di continue sovrapposizioni. È nata in modo bizzarro, del resto. La sua storia, infatti, inizia da un fagiano caduto nel fiume. Il suo cacciatore, l’antico re Vakhtang Gorgassali, scoprì così le proprietà delle acque calde di qui, sulfuree e curative. La Georgia è situata in un punto strategico, un ponte, un corridoio un tempo per la seta oggi per il gas. È senza popolazione numerosa, con una industria poco sviluppata. Ci sono più georgiani in Turchia che in Georgia, dicono i numeri. 

E ovunque ne trovi, anche a Palermo, dove c’è una giovane scrittrice che vi arrivò profuga, Ruska Jorjoliani, o a Bari, Milano. Ma forse non somigliano a nessuno i georgiani. A settembre viene il Papa. Viene apposta per loro. Perché sono unici, come l’alfabeto incomprensibile che usano. Ce l’hanno solo loro al mondo, qualcosa vuole dire...
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