Le piante crescono obbedendo alla matematica, come il cervello

Le piante sanno adattarsi e crescere in terreni e climi diversi usando strategie molto simili a quelle che permettono al cervello di svilupparsi. Il comportamento di entrambi risponde alle stesse regole matematiche e suggerisce l'esistenza di una logica universale alla base della crescita degli organismi biologici Pubblicata sulla rivista Current Biology, la scoperta si deve al gruppo coordinato da Saket Navlakha, dell'americano Salk Institute.

L'obiettivo della ricerca era verificare se, nonostante la diversità che regna nelle piante, con alberi che si sviluppano in altezza e minuscoli fiori, esista una strategia di crescita condivisa. I ricercatori hanno coltivato circa 600 piante di sorgo, pomodoro e tabacco in diverse condizioni di luce e umidità e per un mese le hanno analizzate periodicamente con una tecnica di scansione digitale in 3D.

I risultati hanno indicato che, indipendentemente dalle specie e dalle condizioni di crescita, la densità dei rami è più fitta vicino al centro della pianta e che la direzione nella crescita di ciascun ramo avviene in modo indipendente rispetto a quella degli altri rami: sono strategie di sviluppo modulari ed efficienti, che possono essere descritte da una funzione matematica. Secondo il neurobiologo molecolare Charles Stevens, che ha partecipato alla ricerca, la funzione matematica che descrive la crescita delle piante è analoga a quella che descrive lo sviluppo dei neuroni. ''La somiglianza tra lo sviluppo dei neuroni e i germogli delle piante - ha detto - è piuttosto impressionante e sembra governata da una ragione simile: probabilmente, entrambi hanno bisogno di coprire un territorio il più possibile, ma senza interferire tra loro''.
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Osservato il primo 'dialogo' tra due particelle di luce

Per la prima volta sono state osservate due particelle di luce 'dialogare' tra loro, modificando il loro impulso, l'energia e la direzione. Il fenomeno, descritto sulla rivista Nature Physics e annunciato dal Cern di Ginevra e dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) sul suo sito, e' stato osservato da Atlas, uno degli esperimenti del piu' grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) ed e' un risultato molto significativo perche' l'interazione fra particelle di luce (fotoni) non e' prevista dalla teoria classica dell'elettromagnetismo e rappresenta una delle prime previsioni dell'elettrodinamica quantistica (QED).

"Questo risultato e' molto importante: e' la prima prova diretta che la luce interagisce con se stessa alle alte energie", ha osservato Marina Cobal, coordinatore per l'Infn dell'esperimento Atlas. "Questo fenomeno - ha aggiunto - non e' contemplato dall'elettromagnetismo classico e quindi quanto osservato fornisce una significativa prova della nostra comprensione della teoria quantistica dell'elettromagnetismo".

Per ottenere questa prova si e' dovuto aspettare a lungo. Si riteneva da tempo che sarebbe stato possibile riuscire a osservare il fenomeno alle energie altissime raggiunge dall'acceleratore Lhc nella nuova fase di attivita' e e speranze non sono andate deluse: i dati raccolti nel 2015, quando nell'acceleratore si sono scontrati ioni di piombo a energie senza precedenti, hanno portato al risultato. 

Quando pacchetti di ioni di piombo sono accelerati, infatti, si genera intorno a essi un enorme flusso di fotoni. Quando poi gli ioni si incontrano al centro del rivelatore Atlas, sono solo pochi gli ioni che effettivamente collidono, ma i fotoni vicini possono interagire l'uno con l'altro, cominciando a interagire fra loro. Per arrivare a questo risultato e' stato necessario studiare oltre 4 miliardi di eventi. L'esperimento continuera' a studiare il fenomeno durante il 2018.
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