I viaggi giusti contro la delusione di Russia 2018

L’Italia e una grande passione: il calcio. Visto lo sfortunato epilogo della qualificazione ai Mondiali, da giugno 2018 resta moltissimo tempo da impiegare in altre attività, soprattutto per gli italiani meno “sportivi” che di guardare la Coppa del Mondo senz’Italia proprio non ne vogliono sapere. PiratinViaggio ha stilato una lista di possibili alternative per coloro che non resteranno a casa a guardare le partite.
Darsi al tennis in Regno Unito
Chi l’ha detto che esistono solo i Mondiali di calcio? Nello stesso periodo, a Londra, si tiene il più prestigioso e antico torneo di tennis del mondo: Wimbledon. La competizione è famosa per aver mantenuto le sue radici storiche, a partire dall’abbigliamento total white. PiratinViaggio consiglia di andare durante la prima settimana del torneo, quando i prezzi dei biglietti sono più economici ed è possibile vedere più partite acquistando un unico biglietto giornaliero. Non dimenticate di assaggiare una scodella di fragole e panna montata bevendo Pimms e limonata. 

Andare in Mongolia e tagliare i ponti con il resto del mondo
Disconnettersi dal mondo e trascorrere un mesetto in una yurta, sposando lo stile di vita nomade: questo offre l’affascinante Mongolia, un paese tutto da scoprire. Non c’è bisogno di andare lontano dalla capitale Ulaanbaatar per trovare zone in cui le famiglie vivono ancora nelle tradizionali abitazioni del paese. Un’occasione unica per un detox completo da smartphone e tecnologia. 

Andare in India durante la Giornata Internazionale dello Yoga
Lo Yoga e la meditazione sono perfetti per canalizzare la rabbia e trasformare le emozioni ostili in energia positiva. PiratinViaggio vi consiglia di farlo in India, luogo di origine di questo fenomeno. Con i tanti corsi dedicati allo yoga e alla meditazione avrete la possibilità di imparare dai migliori guru. La Giornata Internazionale dello Yoga si celebra il 21 giugno, nel bel mezzo dei Mondiali di calcio. 

Godersi lo spettacolo degli sport americani
Consoliamoci: non siamo i soli a non essere qualificati per i Mondiali. Gli Stati Uniti, dopo 7 qualificazioni consecutive, hanno fallito l’appuntamento con la Russia. Fortunatamente per loro (e per voi), il calcio è solo il quinto sport più seguito negli USA. Nello stesso mese della Coppa del Mondo il paese ospiterà le finali di NBA (basket) e NHL (hockey sul ghiaccio). La cultura dello stadio in America è molto diversa da quella italiana, con intrattenimento per tutta la famiglia: competizioni, musica, cheerleader, mascotte divertenti e imbarazzanti Kiss-cams, che invitano le coppie a baciarsi davanti a migliaia di persone. 

Addolcirsi alla Giornata Mondiale del Cioccolato
Studi dimostrano che il cioccolato fa aumentare i livelli di serotonina del cervello, facendoci rilassare e sentirci bene. Non vi sembra la medicina migliore per il cattivo umore post sconfitta? L’esotico Ecuador è ricco di antiche tradizioni legate al cacao e produce il cacao tra i più pregiati al mondo. Perché non distrarsi con uno dei tanti tour dedicati al cioccolato, magari durante la Giornata Mondiale del Cioccolato il 7 luglio?
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Natale a Verona e lago di Garda, mille eventi e appuntamenti

VERONA - Non solo il balcone di Romeo e Giulietta e l'Arena, non solo piazza delle Erbe e le vie dello shopping ma anche vera città del Natale e più grande mercatino d'Italia e, come scrive Le Figaro, quarto d'Europa. Verona scende a Roma per presentare il calendario dei festeggiamenti e degli eventi (oltre 1000) che assieme alla sua provincia e al lago di Garda proporrà a visitatori e turisti. A presentarli nella sede di Confcommercio i sindaci di Verona, Federico Sboarina, di Bardolino, Ivan De Beni, e di Bussolengo, Paola Buscaini.
    Oltre al Mercatino quest'anno ampliato per la prima volta a tutto il centro storico, ci sarà la Mostra dei Presepi negli arcovoli dell'Arena, Natale in Arsenale in cui è protagonista l'artigianato locale insieme agli antichi materiali e la grande mostra di Botero allestita ad Amo Palazzo Forti, che ospita anche I love Lego, realizzata con oltre un milione di moduli e cinque diversi "mondi in miniatura". Infine l'itinerario di arte e spirito Verona minor Hierusalem, la mostra mercato Emozioni artigiane, la stagione artistica al Teatro Filarmonico, che mette in scena La Vedova Allegra. Chi ama le altezze può anche godersi il panorama dalla nuova Funicolare vintage degli anni '30. "Il progetto del Natale a Verona, lanciato nel 2010 - spiega il presidente della Confcommercio di Verona, Paolo Arena - è stato protagonista in questi anni di un'imponente, progressiva crescita, aggiungendo via via eventi. E il numero degli arrivi e delle presenze, cioè i soggiorni sul territorio che prevedono il pernottamento, è incrementato in modo significativo: nell'ultima edizione, quella del 2016, sono state in tutto 300 mila, con quasi 100 mila presenze straniere e 2 milioni di visitatori nella sola città di Verona nel mese di dicembre; in tutto 1.200 gli imprenditori e gli operatori coinvolti. In questa edizione puntiamo a raggiungere i 2 milioni e mezzo di visitatori (4 milioni nella provincia)". A Natale sarà ancora più magico anche Gardaland, a meno di mezz'ora d'auto dal centro città. A Bussolengo c'è invece il Villaggio di Natale Flover, che vanta anche il trenino express e il presepe multimediale e il Parco Natura Viva importante centro di tutela per le specie animali. E poi Malcesine con la sua funivia che consente di raggiungere la cima del Monte Baldo per una vista panoramica mozzafiato sul lago di Garda.

Spiagge e chiesette, si lavora sui Luoghi del Cuore

ROMA  - Dalla Chiesa rupestre del Crocifisso, nelle campagne siciliane, con i suoi affreschi di struggente bellezza, all'imponente Complesso monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, che al suo interno conserva l'affresco del Giudizio Universale di Giorgio Vasari e che nell'elenco dei Luoghi del Cuore 2016 si è aggiudicato uno strepitoso secondo posto. Il Fai annuncia l'avvio di 24 progetti di recupero per altrettanti tesori del patrimonio italiano segnalati nell'ottava edizione del suo popolare concorso, con un totale di 400 mila euro che serviranno per restauri e messe in sicurezza in quindici regioni. I tecnici sono già al lavoro con i progetti vincitori, in prima linea proprio il complesso piemontese di Santa Croce, al quale andranno 40 mila euro, seguito dalle Grotte del Caglieron a Fregona (TV), arrivato terzo, al quale andranno 30 mila euro. E tra i primi ad essere aiutati c'è anche il Tempietto di San Miserino a San Donaci, in provincia di Brindisi, che è stato il più votato nelle filiali Intesa Sanpaolo e riceverà 5mila euro destinati a migliorare l'accoglienza. Un discorso a parte riguarda invece il Castello di Sammezzano a Reggello (FI), capolavoro dell'arte orientalista ottocentesca finito in rovina, che ha vinto il censimento, ma si trova ora purtroppo in una situazione particolare: annullata dai giudici l'asta dello scorso 9 maggio, che aveva visto l'assegnazione del bene a una società araba, la proprietà è tornata al custode giudiziario. Per questo il Fai ha sospeso qualsiasi decisione e congelato il contributo di 50mila euro stanziato a favore del castello. Questo "in attesa di sviluppi chiari circa la nuova proprietà, i suoi progetti e la possibilità di mantenere una fruizione pubblica, anche parziale, dell'edificio", spiegano dalla associazione presieduta dall'archeologo Andrea Carandini. Gli altri 21 luoghi sui quali si è deciso di intervenire sono stati scelti invece tra i 193 beni che hanno ricevuto almeno 1.500 segnalazioni e che hanno potuto accedere alla selezione. Per questi, sottolineano dalla Fondazione, le proposte sono state vagliate da una commissione composta da archeologi, architetti e storici dell'arte, secondo otto parametri di valutazione e come sempre le valutazioni sono state condivise con i Segretariati Regionali del Mibact. Tra questi, al concorso risultò quarta classificata, c'è l'area archeologica di Capo Colonna, a Crotone, a lungo al centro di polemiche per interventi di cementificazione: il Fai parteciperà con 28 mila euro a un progetto di risistemazione dell'area circostante il tempio di Hera Lacinia con la modifica, l'integrazione e l'ampliamento del percorso destinato al pubblico e la risistemazione della terrazza del "belvedere" nei pressi del tempio, dove si trova la celebre colonna, che sarà valorizzata con sedute e pannelli, così da rendere il luogo nuovamente sicuro e fruibile. Ma ci saranno anche 26 mila euro per il restauro, a Ruda (in provincia di Udine), della macchina a vapore vanto della storica Amideria Chiozza. E poi 17 mila euro per il borgo abbandonato di Monterano, a Canale Monterano (Roma) e 15 mila euro per il recupero della Chiesa Rupestre del Crocifisso a Lentini (Siracusa) dove urge il restauro degli splendidi affreschi. Tra tante chiese e fortificazioni anche un Casello del Dazio (a Pieve di Teco, in provincia di Imola) dove il Fai aiuterà l'associazione culturale WePesto a superare gli scogli della burocrazia, e una splendida spiaggia, a Randello in provincia di Ragusa, dove l'associazione si schiera a fianco del comitato che dal 2014 sta cercando di ottenere l'annullamento della concessione dello stabilimento balneare aperto in barba ai vincoli del Piano paesaggistico
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Ecco come ritrovare il benessere


Un percorso di yoga e due eventi dal titolo “Felicemente stressati”. Sono volti a conseguire effetti positivi sulle persone e sull’efficacia della vita professionale


Proseguono le iniziative di Europcar Italia – azienda dell’autonoleggio in Europa e uno dei principali operatori della mobilità – volte a conseguire effetti positivi sul benessere delle persone e sull’efficacia della vita professionale. Un percorso di yoga e due eventi dal titolo Felicemente stressati

Energyogant è un percorso che si articola in 12 sessioni, con cadenza settimanale, che è erogato all’interno di Europgym – lo spazio fitness situato presso l’headquarter di Europcar Italia a Roma - guidato dalla dottoressa Simona Cantiani, istruttrice certificata di Hatha Yoga e ideatrice di questo metodo. Nel corso degli incontri, attraverso la pratica yogica, i partecipanti hanno modo di apprendere metodologie di allineamento corpo-mente (tecniche respiratorie e posturali) efficaci per ottenere il risultato di una miglior centratura, serenità, energia e benessere. Inoltre, costituiscono parte integrante del percorso dei seminari sul tema della Nutrition Efficiency, curati da un’esperta naturopata, volti ad offrire cenni sul valore delle scelte nutrizionali per potenziare o depotenziare l’energia.

Felicemente Stressati è invece un format che si pone l’obiettivo di fornire ai partecipanti strumenti utili alla gestione del proprio stato d’animo in situazioni di stress e a sviluppare competenze relazionali positive. Ideato e presentato da Terenzio Traisci – psicologo del lavoro, esperto di Edutainment e Gestione dello Stress - il corso che si è appena concluso ha registrato la partecipazione di circa 100 dipendenti dell’azienda ed ha offerto loro la possibilità di sperimentare e apprendere semplici esercizi di respirazione e postura, comunicazione e ascolto attivo che aiutano a creare uno stato d’animo positivo e mantenere Buon Umore sul lavoro e nella propria vita privata.

«Energyogant Felicemente stressati - commenta Maurizio Nelli, Human Resources & Quality Director -sono due iniziative che rientrano nell’ambito della nostra corporate social responsibility legata, in particolare, al tema delwork life balance con l’obiettivo di conseguire effetti migliorativi sul benessere dei Dipendenti All’interno di ciascun team, qualunque sia il ruolo ricoperto, è fondamentale che ogni risorsa possa lavorare nelle migliori condizioni possibili, sviluppando il proprio equilibrio generale e incrementando la propria motivazione. Il successo riscosso dalle due iniziative, come testimoniano i riscontri ottenuti e l’elevato numero di adesioni, ci incoraggia a proseguire in questa direzione anche nel corso del prossimo anno».

da Avvenire

Smog e blocchi del traffico. Di che euro è la mia auto? Come capire se puoi circolare

Nel prossimo fine settimana è previsto un peggioramento delle condizioni meteo al Nord Italia: le probabili perturbazioni potrebbero dunque ripulire temporaneamente l'aria delle grandi città dove l'elevata presenza dipolveri sottili ha fatto scattare il divieto di circolazione per le auto più inquinanti. In Lombardia sono attualmente in vigore le misure temporanee di primo livello previste dalla delibera della Regione, in aggiunta a quelle permanenti (fino al 31 marzo prossimo). Le misure temporanee di primo livello si applicano nei comuni della Regione Lombardia della Fascia 1 e della Fascia 2 con più di 30mila abitanti presso i quali opera un adeguato servizio di trasporto pubblico locale, e negli altri comuni aderenti. A Milano i divieti alla circolazione riguardano: auto private diesel di categoria inferiore o uguale Euro4, dalle 8.30 alle 18.30; veicoli commerciali diesel di categoria inferiore o uguale ad Euro3, dalle 8.30 alle 12.30. Per tutti i veicoli è in vigore il divieto di sosta col motore acceso.
Anche a Torino, fino a quando il blocco non verrà revocato, le autovetture private ad alimentazione diesel con classe emissiva inferiore e uguale ad Euro4 non potranno circolare in città dalle 8 alle 19, festivi compresi. Il provvedimento si è reso necessario a causa del perdurare dell'elevata presenza di polveri sottili (oltre i quattro giorni consecutivi). Il ritorno alla normalità sarà possibile soltanto con il rientro del valore delle micropolveri presenti nell'aria cittadina al di sotto della soglia di 50 microgrammi al metro cubo, tetto previsto dalle norme europee.
Fin qui la cronaca, purtroppo ricorrente, di questi giorni. Ma al drammatico problema dell'aria sporca, per molti si somma il dubbio di non sapere con esattezza a quale categoria appartenga la propria automobile. La Comunità europea ha emanato una serie di direttive per regolamentare le emissioni di inquinanti dei veicoli. In base a queste direttive, sono state individuate diverse categorie di appartenenza. Per capire a quale di queste categorie appartiene la propria auto, è necessario controllare i riferimenti presenti nella carta di circolazione del veicolo. Conoscendo l'anno di immatricolazione dell'auto, tali riferimenti indicano quale normativa Euro è stata rispettata dalla casa costruttrice. Ecco di seguito la tabella a cui fare riferimento
Un libretto di ciircolazione di nuovo tipo con l'indicazione della riga utile
Un libretto di ciircolazione di nuovo tipo con l'indicazione della riga utile
*Il regolamento del Parlamento europeo e del consiglio del 20 giugno 2007, n. 715/2007/ce fissa le scadenze per l´entrata in vigore dei diversi livelli di emissione. L´art.10 infatti prevede che a partire dal 1° settembre 2009 possano essere omologate solo automobili che rispettano i limiti Euro 5, dove per omologazione s´intende la procedura che il costruttore deve rispettare per far sì che il proprio modello risponda alla normativa tecnica necessaria per essere venduto sul mercato. I nuovi modelli e le versioni nuove di modelli già esistenti dovranno quindi rispettare i limiti di emissione imposti dalla norma Euro 5.
Occorre verificare sempre sulla carta di circolazione (libretto) la direttiva riportata. Le date di obbligatorietà per le nuove immatricolazioni sono solo indicative ma non determinanti. Molti costruttori commercializzano infatti anni prima dell'obbligatorietà di una nuova categoria Euro, ma sono anche ammesse le commercializzazioni delle giacenze dopo la data di obbligatorietà. Quando si decide l'acquisto di un veicolo nuovo, è dunque importante informarsi anche sulla direttiva europea osservata per costruirlo.
Un libretto di circolazione del veicolo di vecchio tipo con l'indicazione della riga utile
Un libretto di circolazione del veicolo di vecchio tipo con l'indicazione della riga utile
Altro problema: grazie alla confusissima formulazione sul libretto della macchina, non è facile trovare l'indicazione utile. Sulla carta di circolazione di vecchio tipo l'indicazione dell'Euro di riferimento si trova in basso nel riquadro 2, su quella di nuovo tipo, in formato A4 per capirci, l'indicazione invece è riportata alla lettera V.9 del riquadro 2 ed è spesso integrata con una ulteriore specifica nel riquadro 3.
da Avvenire

Musica. Niccolò Fabi, vent'anni tra palco e impegno

«Ci sono alcuni neologismi che ogni tanto mi invento e che mi piacciono… Ma prima con un suo collega mi è uscito un “guarizione” al posto di guarigione, che no, non va…». Parole che fanno bene per chi vuol capire e sa ascoltare. Comincia con questo “fuori onda” molto filologico l’incontro con il “sessantottino” (è nato il 16 maggio 1968) Niccolò Fabi alla vigilia del suo concerto “finale”: domenica 26 novembre al Palalottomatica di Roma. Poi, dal giorno dopo, un indefinito e indefinibile anno sabbatico. Il più intimistico e sensibile creatore di testi tra i cantautori italici non lascia la musica, come qualcuno aveva favoleggiato, ma si prende una semplicissima pausa caffè, «magari di quelli lunghi, all’americana» dal palcoscenico. E lo fa per Una somma di piccole cose , titolo del suo album più riuscito (del 2016), «il mio piccolo trionfo personale», per riprendere un po’ fiato dopo vent’anni vissuti di corsa, spettinandosi i pensieri tra folate calde e appassionate di Vento d’estate.Vent’anni esatti, a partire da quell’ironica Capelli «che poi, nella sua versione originale così ironica non doveva essere ma lo è diventata per proporla al Festival di Sanremo (1997)», fino all’ultimo capitolo di questo primo ciclofabiesco: Diventi Inventi (doppio cd più cofanetto con volume in edizione limitata, Universal). Uno stop, un Novo Mesto per poi magari riaccendere tra un po’ un altro tipo di rewind e dire Ecco, sono tornato. Ma da lunedì prossimo, Fabi ha deciso di cantare sottovoce o magari sotto la doccia senza per forza dover condividere con il suo amato pubblico che in tutto questo tempo è andato a scovarlo dentro a un palazzetto dello sport di provincia, in un teatro di Berlino o sotto le luci fioche di una cantina romana, dove tutto è cominciato, «parecchio tempo fa». 

Prima di chiudere questa pagina di storia e di metterci un punto, viene da chiederle: ma era davvero questa la vita e il mestiere che voleva? 
«Credo che non avrei potuto chiedere di meglio. La musica e la creazione delle canzoni sono un contenitore dove dentro ci puoi mettere di tutto. Il mestiere del cantautore è un lavoro simbolicamente significativo. Ho cercato nel tempo di arrivare a una scrittura “pura” a una ricerca di combinazioni tra parole e suoni che per essere creazione viva e che arrivi a chi ascolta necessita di sacrifici, di sforzi vitali. Esserci riuscito, mi dà la possibilità di chiudere un ciclo, di fermarmi a ripensare per magari ripensarmi». 

Nelle sue canzoni si trovano tanti frammenti vitali, microstorie, immagini nitide, quasi degli strappi di vecchie e nuove fotografie, ma non cede mai alla tentazione citazionista o al cantautorato “intellettuale”. 
«È vero. Ma per due motivi: uno stilistico, l’altro è che anche da ascoltatore ho sempre pensato che le cose più auliche non si sposassero poi così bene con la musica. Per questo ho sempre prestato più l’orecchio e attenzione a Battisti piuttosto che a De Andrè. Io amo la musica e non mi piacciono i cantautori letterari ed eccessivamente verbosi, è come se togliessero leggerezza e autenticità a qualcosa che può essere molto grande e profondo anche nel suo essere infinitamente piccolo, come una canzone». 

Pur non rientrando nella categoria dei “cantautori letterari” (nonostante la laurea in Filologia romanza) dalla sua produzione ventennale si percepisce un certo interesse, oltre che per la “filosofia agricola”, anche per la letteratura. 
«Per fortuna ho letto tanto in passato. In questo momento invece se c’è una cosa che mi fa innervosire è l’essere precipitato anch’io nella frenesia e la compulsività dell’era social che ha reso il libro di difficile collocazione nella mia quotidianità. Tra i buoni propositi per l’anno prossimo – oltre a frequentare di più mio figlio, aggiustare una casa in campagna e curare l’orto – c’è anche quello di recuperare la lettura, assieme a tante altre piccole cose che possono solo arricchire la mia sensibilità artistica». 

La “nuova scuola romana”, sempre in evoluzione, si riconosce profondamente nella sensibilità artistica del trio Fabi-Silvestri-Gazzè. Tre anime che si fondono alla perfezione, come dimostrano il tour e il disco Il padrone della festa che avete realizzato. 
«Musicalmente e caratterialmente siamo tre tipi molto diversi l’uno dall’altro. Daniele Silvestri è una persona razionale, un grande architetto che cura meticolosamente la costruzione dello spettacolo, un ideatore. Max Gazzè è un istrione, un giocherellone che tende all’alleggerimento del tutto, un attore. Io sto in mezzo a loro e cerco di metterci la mia vena romantica e quella dose di malinconia che mi porto dentro da sempre e che è parte integrante della mia musica oltre che del mio carattere. Anche se poi con i miei intimi riesco ad essere ironico e persino divertente». 

In questi anni oltre a salire e scendere da un palco ha viaggiato in lungo e in largo per l’Africa... 
«Ho avuto la fortuna di collaborare con Cuamm Medici per l’Africa e di toccare con mano un po’ tutta la realtà subsahariana, Kenya, Uganda, Sud Sudan e Angola. Ho fatto anche un paio di concerti in alcuni locali africani, serate di puro intrattenimento, perciò ho suonato anche cose non mie. Penso di aver dato il mio contributo ma soprattutto ho chiaro in mente chi sono gli italiani e gli occidentali che decidono di realizzarsi rinunciando magari a un posto da primario a casa propria per andare a lavorare in trincea e portare competenza e umanità al servizio delle comunità più bisognose di aiuto». 

«La gioia come il dolore si deve conservare, si deve trasformare...». È un po’ il “manifesto” della onlus “Parole di Lulù” dedicata a sua figlia Olivia (scomparsa all’età di due anni, nel 2010, per una meningite fulminante, ndr). 
«Noi, quel dolore l’abbiamo trasformato in gioia di vivere. Così abbiamo seminato parchi giochi all’interno dei padiglioni degli ospedali italiani e africani, acquistato ambulanze con i soldi dei concerti e delle partite della Nazionale Cantanti. Ultimo progetto? A Torino, con l’Ugi onlus che fornisce alloggi ai genitori dei piccoli pazienti ricoverati all’ospedale infantile Regina Margherita». 

Tutta questa energia, la capacità di difendersi dal dolore è frutto solo della musica o anche di una spiritualità che ha trovato in questi anni? 
«La spiritualità è una dimensione talmente vasta e io ci sguazzo dentro con naturalezza. Il senso degli avvenimenti che vanno oltre la vita ti aiuta a ricondurre ogni evento all’interno di un flusso vitale che prescinde da te stesso. E questo non è legato solo alla tua sfortuna o al tuo dramma personale ma a qualcosa che ti precede e che magari dovrà ancora accadere. L’idea di un Dio per me sta dentro a un pensiero infinito, dinanzi al quale la razionalità è costretta a togliersi il cappello e fare atto di umiltà. Ma quell’idea di infinito, e al tempo stesso la condizione di piccola molecola dell’ingranaggio che è l’uomo, la ritrovo anche nell’abbraccio di una sequoia secolare o di un immenso baobab angolano». 

Una descrizione senza musica, da narratore: in questo tempo di distacco magari proverà anche a scrivere un libro... 
«Ho fatto una fatica da morire per pubblicare un disco che potesse stare tra quelli che mi piacciono e legittimamente ritengo che ci sta, ora immaginare di scrivere un libro da mettere sugli scaffali a fianco a quei capolavori che ho letto e con cui sono cresciuto è un’idea suggestiva, che mi sfiora – si ferma e sorride –. Ma la vedo tostissima. Però chissà, che l’otium non porti consiglio e anche nuove forme di scrittura, per quando ripartirò... ».
da Avvenire

Record. A Viterbo il presepe al coperto più grande del mondo

 A Viterbo il presepe al coperto più grande del mondo
Giunto alla sua seconda edizione, dopo il successo dello scorso anno, riapre i battenti il Caffeina Christmas Village, il villaggio pieno di attrazioni, giochi e divertimenti che si snoda per circa due km quadrati nello splendido centro storico di Viterbo. Dal 24 novembre al 7 gennaio offrirà ai visitatori in un luogo straordinario con un’ambientazione da favola. A presentarlo nella sede della Regione Lazio sono stati il presidente della Fondazione Caffeina cultura, Andrea Baffo, assieme al direttore artistico della Fondazione, Filippo Rossi, e il presidente della Regione Nicola Zingaretti. Tra le attrazioni del Christmas Village il presepe di 850 mq allestito sui due piani degli spettacolari sotterranei del Palazzo Papale è stato candidato al Guinness World Records come presepe indoor più grande del mondo. Si tratta di un villaggio medievale perfettamente riprodotto in ogni particolare, con 83 statue di figure umane a grandezza naturale e 180 statue di animali a grandezza naturale, torri alte 8 metri, case, palazzi, vere piante, ortaggi, fiori, spezie e formaggi. Uno scenario davvero suggestivo, sul quale gli organizzatori mantengono il riserbo per garantire l'effetto sorpresa all'apertura dopodomani.

Oltre al Presepe, saranno moltissime le attrazioni che si potranno visitare all’interno del Christmas Village. Il quartier generale di Babbo Natale occuperà un intero borgo: una volta entrati un cortile condurrà i visitatori all’interno della Biblioteca dei Desideri, dove i bambini potranno consultare e leggere moltissimi testi di narrativa, e nella Taverna del Gioco, un ambiente caldo e accogliente con speciali giochi da tavolo con cui i bambini potranno divertirsi mentre aspettano di entrare nella Casa di Babbo Natale.

Nell’area del Parco del Paradosso, uno spazio verde nel cuore del centro storico, si svilupperà il villaggio degli Elfi con statue meccanizzate di circa un metro di altezza provenienti dalla Francia. Ci saranno inoltre anche circa 150 elfi in carne ed ossa che lavoreranno per tutto il Christmas Village. Il Teatro Incantato, nel nuovissimo Teatro Caffeina appena ristrutturato, offrirà cinque spettacoli teatrali per bambini al giorno. Eventi speciali, Baby Pit Stop riscaldati dedicati alle mamme che avranno bisogno di cambiare e allattare il proprio bambino, servizio navetta dal parcheggio che agevolerà l’accesso alla città di Viterbo ed al Village.
tratto da Avvenire

A Troina mostra permanente Robert Capa

TROINA (ENNA) - A Troina (Enna), sorgerà un museo dedicato interamente a Robert Capa nel quale saranno esposte permanentemente 62 stampe fotografiche, quasi tutte inedite, del fotoreporter di guerra scattate nell'agosto del 1943 in Sicilia, e in particolare nella stesso paese, durante la Seconda Guerra Mondiale. L'idea, partita agli inizi del 2015 dalla proposta di 'Soul Design' di Lucilla Caniglia e Alessandro Castagna, ha riscontrato l'interesse ed il sostegno del sindaco Fabio Venezia, della Fondazione Famiglia Pintaura e dello storico Salvatore Barbirotto. L'impresa, che ha richiesto quasi tre anni di corrispondenza con l'International Center of Photography di New York (proprietario dei negativi e titolare di tutti i diritti) una selezione delle foto dai negativi originali di Capa direttamente a New York, si è concretizzata nell'acquisizione da parte della Fondazione Famiglia Pintaura di 62 fotografie, stampate direttamente dai negativi, che saranno esposte nel Palazzo Pretura.
   
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La mostra. L'Opera dei Pupi con Mimmo Cuticchio: «Sono i mille volti dell'umanità»

La tradizione non è mai uguale a se stessa. Cambia col fluire delle generazioni. Si rinnova eppure resta comunque tradizione. Mimmo Cuticchio è il massimo esponente della tradizione dei pupi siciliani. Lui, faccione incorniciato in barba e capelli da burbero, evidenziato da uno sguardo profondo e limpido, che mostra una fede solida e un cuore di bambino, tiene a sottolineare questo aspetto, che poi fornisce il titolo alla mostra "L’Opera dei Pupi. Una tradizione in viaggio", allestita a Roma nel Palazzo del Quirinale, fino al 3 dicembre. «La tradizione – dice – è come l’acqua di un fiume. Anche se scorre sempre sullo stesso letto non è mai la stessa».
Mimmo Cuticchio è un “oprante” (regista? imprenditore teatrale?) erede di opranti alla quinta generazione.Quando nel 1973, invece di abbandonare le scene come facevano tutti i figli d’arte suoi colleghi, ha scelto di rilanciare l’Opera, si è aperta per lui un’avventura del tutto sconosciuta. Una realtà nuova «che ha il cuore e motore» nel suo teatro di via Bara dell’Olivella a Palermo, ma che è stata capace di riproporsi non più soltanto nelle contrade siciliane, come facevano gli opranti girovaghi di un tempo, ma nei teatri di tutto il mondo, interpretando il vecchio e il nuovo e anche miscelando, in nuove idee da palcoscenico, attori uomini e attori pupi.
Il puparo Mimmo Cuticchio al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Il puparo Mimmo Cuticchio al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Grazie a lui, l’Opera che era morta, perché non c’era più il contesto culturale al quale si rivolgeva e per il quale fungeva da cinema, teatro, ritrovo e cantastorie, non è semplicemente rinata, si è trasformata per rispondere alle esigenze del nostro tempo. Nel “cartello” tipico di un oprante fra ’800 e secondo dopoguerra del ’900 l’intera epopea di Orlando e dei suoi paladini si compiva in 300 “serate”. Ciascuna, col suo titolo, la sua locandina dipinta, la sua storia con decine di personaggi (Rinaldo riceve le armi, Morte di Astolfo, Orlando suona il corno olifante, Tradimento di Gano, Morte di Angelica...) e i suoi striscioni sottopalco: in mostra ce n’è uno, opera di Giovanni Salerno, che raffigura la Battaglia dei 20 contro 20 e ricorda da vicino il bassorilievo del famoso Sarcofago Ludovisi di Palazzo Altemps. Ogni “serata” durava due ore. I pupi erano (sono) mossi da almeno sei “manianti” mentre l’oprante dava voce a tutti i personaggi.
Insomma per qualunque paese o città dove veniva montato, il teatrino dell’Opera era molto più della televisione. Oggi tutto questo sarebbe impossibile. Eppure nel teatro di Cuticchio continua a vivere come il nuovo che sembra l’antico. Ha riadattato i canovacci. Ha rispolverato le storie dei pupi che raccontavano la “Sicilia del popolo” all’epoca dei Borboni, con “maschere” come quelle di Nofrio e di Virticchio che ricordano da vicino la Commedia dell’arte. Ha riproposto un classico puparo come Vita amori e morte di Genoveffa di Brabante e ne ha scritti di altri come la Storia di San Francesco, con personaggi attuali che si aggiungono di anno in anno e che sono ormai sessantacinque.
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Si comprende allora come il viaggio della tradizione dell’Opera venga inteso da Mimmo Cuticchio nel senso autentico del rinnovamento che è proprio di ogni vita compiuta. Lui stesso lo assimila al vivere e al morire dei suoi pupi. «È l’esplorare nuovi percorsi teatrali; inoltrarsi nei sentieri della propria coscienza, ma anche avventurarsi in nuove storie con nuovi personaggi e nuovi canovacci». Un po’ come Pirandello, che assimilava gli uomini ai pupi, mossi da fili invisibili, dice: «I pupi, come noi, sono dei pellegrini nella vita», con quel di più che viene dall’affrontare la strada con la forza dell’ideale, della moralità cavalleresca, della fede in un aldilà che apre a nuovi scenari e a nuovi racconti.
Ma soprattutto, il viaggio dell’Opera, e qui Cuticchio si apre in un gran sorriso, lontanissimo dalla visione pirandelliana della vita, è la capacità «che dovrebbe essere di ogni persona di guardare indietro per riscoprire e rivivere il bambino che è in noi». Non come scontato o abusato ritorno a una immaturità adulta, ma come intima riscoperta dello stupore per la vita e per quelle piccole ingenuità che spalancano il cuore alle verità più profonde e... “vere”.
Se parli con questo oprante dalla vitalità inesauribile e hai la fortuna di vedere a tu per tu come fa muovere i suoi pupi (pesano dai 7 ai 15 chili), come riesce a dar loro voce nelle infinite sfumature dei tanti personaggi, come produce i rumori di scena con strumenti antichi (la macchina del vento, la macchina della pioggia, il legno che fa il rumore dei cavalli, il corno olifante del paladino Orlando, la pianola a cilindro con i registri di dieci o dodici musiche di scena, ecc.); se lo vedi fare tutto questo e osservi come si diverte, capisci che l’Opera dei Pupi è filosofia, un’artistica e realistica filosofia di vita.
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
I pupi sono l’arte di mettere in scena i mille volti dell’umanità con libertà di critica, ma totale rispetto di ogni singolo ruolo, anche nelle sfumature caratteriali. Orlando è Orlando, Rinaldo è Rinaldo, Angelica è Angelica. Anche Gano di Magonza, il traditore, resta Gano di Magonza. Se c’è giudizio morale è solo sulle loro opere, sull’onestà e sulla capacità di portare aiuto ai maltrattati. Perché l’Opera è scuola di vita e al coraggioso che si è speso per gli altri, spetta il premio. Se non è il bacio della dama è il premio eterno: lo portano gli angeli, che dall’alto scendono accanto al corpo disteso del pupo eroe, srotolando la colorata tela della sua anima per accompagnarla in cielo in un sognante e sicuro effetto scenico.
Una tradizione rinnovata che Cuticchio conserva gelosamente. Ogni nuovo pupo viene scolpito e abbigliato a mano con le tecniche di sempre, che la mostra al Quirinale illustra alla perfezione: per fare la corazza di un paladino occorre tagliare almeno 44 pezzi di lamiera e saldarli uno a uno e poi aggiungere le decorazioni. «Ma non perché la tradizione è un bel folklore a uso e consumo dei turisti, ma perché la tradizione che vive e si rinnova è la migliore interprete di un popolo e della sua storia».
Ed è curioso constatare che negli abiti e nelle armature dei pupi con i quali l’Opera racconta la Chanson de gestesi ripete più volte il fregio della conchiglia del pellegrino. Non è solo questione di fede cristiana sulla strada che da Roncisvalle porta a Compostela. Orlando, come il Moro e le decine di altri personaggi con le loro storie, conclude Cuticchio, «sono l’emblema dell’uomo alla ricerca della sua verità, dell’uomo che sa di avere un ruolo nella vita e lo interpreta fino in fondo, senza infingimenti. Per certi versi non importa quale sia la meta, ciò che conta è che ci sia e sia consapevole». E, per tornare a Pirandello, non è cosa così comune.
da Avvenire

La prova. Nuova faccia, contenuti da BMW: la X3 è sempre una garanzia

La BMW X3 giunge alla terza generazione con l’obiettivo di migliorare ulteriormente le doti che l’hanno resa un prodotto di grande successo, attraverso nuove forme e materiali e con l’ultima parola in fatto di tecnologia. La vettura è stata presentata alla stampa italiana presso il Dynamo Camp di San Marcello Pistoiese, una vera e propria “colonia” di terapia ricreativa dove vengono ospitati, per un periodo di vacanza, bambini e ragazzi da 6 a 17 anni con patologie gravi e croniche. Nata nel 2003 dall’idea di Vincenzo Manes, l’associazione riconosce nella gratuità e nell’inclusività i suoi principi fondamentali. Tutti i 1400 bambini che soggiornano gratuitamente nella struttura in diversi periodi dell’anno, sono in grado di partecipare alla totalità delle attività organizzate da più di mille volontari. Dei 4,5 milioni di euro necessari per coprire i costi di partecipazione annuali, la metà proviene da soggetti privati, il restante 50% da aziende. Una di queste è proprio BMW, che sostiene Dynamo Camp all’interno del suo progetto filantropico SpecialMente.
L’unicità del luogo ci ha permesso di apprezzare le doti di una vettura che ha nel dinamismo la sua caratteristica principale. Grazie ai 4,70 metri di lunghezza, agli 1,89 metri di larghezza e al passo cresciuto di 5 centimetri, la nuova X3 assume linee slanciate a tutto vantaggio di estetica e spazio a bordo. Il frontale è stato ridisegnato e il posteriore strizza l’occhio ai più sportivi concedendo spoiler e doppio terminale di scarico. I quattro allestimenti disponibili (Business Advantage, X-Line, Luxury o M-Sport), permettono di personalizzare la SAV bavarese a seconda dei propri gusti. Belli gli interni, aggiornati seguendo il family feeling delle ultime vetture del gruppo, colpiscono in particolar modo gli schermi ad alta risoluzione dell’infotainment da 10.25 pollici e del cruscotto digitale (entrambi optional).
Su strada si guida come una vera BMW anche grazie all’ausilio delle sospensioni a controllo elettronico VDC. Il3.0d, sei cilindri in linea a gasolio proposto nelle due varianti da 249 e 265 Cv, gira in totale assenza di vibrazioni, assicurando potenza e grande confort di marcia. Nessuna paura se si opta per il 2.0d, i suoi 190 Cv riescono a portare a spasso agevolmente tutti i 1800 kg di questo Suv. A completare la gamma dei motori di lancio c’è laM40i da 360 Cv.
Sfruttando i servizi BMW Connected la vettura è collegata al mondo digitale dell’utente. Attraverso l’invio di un link è addirittura possibile far conoscere a chi si desidera la propria posizione e i minuti di ritardo accumulati. Per il capitolo sicurezza l’X3 può essere equipaggiata con il Driving Assistance Plus, un pacchetto che contiene l’assistente al mantenimento di corsia, il sistema anti collisione, l’assistente agli incroci e l’ausilio nelle manovre di evasione dell’ostacolo, con intervento attivo sullo sterzo.
Per portarsi in garage una 2.0d XDrive ci vogliono 49.900 euro, 2.950 euro in più del modello precedente ma sono aumentati anche gli equipaggiamenti di serie, comprensivi di cambio automatico, cerchi in lega da 18 pollici, sensori di parcheggio anteriori e posteriori, barre sul tetto in alluminio, pacchetto luci e Active guard.
da Avvenire

Cinema. Dal Messico all'aldilà, con “Coco” la Pixar scavalca i muri (anche di Trump)

Non è certo la prima volta che la Disney Pixar affronta temi assai complessi, insoliti per il pubblico dei più piccoli. Basti pensare a capolavori come Up, che affronta la vecchiaia e l’elaborazione del lutto, o Inside Out, che dà volto, corpo e voce alle emozioni di una bambina.
Nel nuovo film, Coco, nelle nostre sale il 28 dicembre, è invece di scena il mondo dei morti, che i messicani celebrano in un giorno speciale, “el Dia de los Muertos”, e che diventa il teatro delle avventure del piccolo Miguel, figlio di calzolai e aspirante cantante, al quale però è proibito suonare a causa delle malefatte di un antenato musicista. Quando però, proprio durante il Giorno dei Morti, il bambino si ritrova a suonare la chitarra del defunto Ernesto de la Cruz, gloria nazionale, viene magicamente catapultato nell’aldilà e costretto a risolvere antichi e mai sopiti problemi di famiglia, accompagnato dal cane Dante, tra colpi di scena (e omaggi a Tim Burton) che spingono il racconto su un terreno mai esplorato prima.
Gli spunti di riflessione proposti da questo film struggente e poetico, il più visto di sempre in Messico (dove è uscito il 27 ottobre), sono tanti: dall’importanza dei legami familiari che uniscono più generazioni alla lotta per inseguire i propri sogni, dalle menzogne e le insidie della celebrità alla memoria dei defunti, capace di tenere in vita chi non c’è più.
Un film di anime, cuori e scheletri, fiori e altari, dai colori accesi e un clima carnevalesco, dove la morte non fa paura, dove c’è spazio per l’allegria e dove un ponte meraviglioso unisce «due mondi separati solo da un petalo di fiore», come dice Michele Bravi, che canta il brano sui titoli di coda, mentre Matilda De Angelis presta la sua voce a Tía Victoria, Valentina Lodovini è la madre del piccolo protagonista e Mara Maionchi recita un commovente monologo affidato alla trisavola che dà il nome al film.
E oggi che il tormentato confine tra Usa e Messico è oggetto di feroci battaglie elettorali, la decisione di ambientare la storia del film nel paese latinoamericano è letto come un atto politico in polemica con la presidenza Trump. «In realtà abbiamo cominciato a lavorare a Coco sei anni fa – ha raccontato il regista Lee Unkrich, venuto a Roma a presentare il film insieme alla produttrice Darla K. Anderson – e il mondo allora era molto diverso. Sin dall’inizio l’intenzione era realizzare un film che fosse prova del nostro profondo amore e rispetto per la cultura messicana, che aiutasse a mostrarne la bellezza e a dissolvere pregiudizi e barriere. Speriamo quindi di poter contribuire a costruire un ponte e non un muro».
«Coco è un film sull’importanza delle radici, sui sogni, sulla vita e sulla morte – sintetizza la Lodovini –, ma anche sul fascino del potere», mentre la De Angelis aggiunge: «È bello che i bambini riflettano su un tema doloroso come la morte, dal quale li si tiene spesso lontani per proteggerli». «La storia di Miguel racconta il sacrificio che c’è dietro la creatività, quando bisogna stabilire un ordine di priorità della vita » dice Bravi e a proposito della forza dei legami familiari Mara Maionchi commenta: «Ho un forte senso d’appartenenza alla famiglia, è un ricordo dolce, mai doloroso. Parlo dei miei parenti rievocando momenti divertenti, come se fossero ancora vivi. E finché sarò viva io, racconterò di loro alle mie figlie e ai nipoti, che non conoscono chi non c’è più»
da Avvenire

Donne, la discriminazione inizia sui sussidiari delle elementari


Poco rappresentate, confinate ai ruoli domestici, sottomesse. Così nei libri scolastici delle elementari si calpesta la parità di genere. In un libro la ricerca choc della pedagogista Irene Biemmi
Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi. Alla realtà corrispondono, o dovrebbero. La realtà caricano del peso enorme che è il significato. Qualche settimana fa, nel dibattito sui diritti dei migranti, è finito sotto i riflettori della cronaca il passaggio di un sussidiario della casa editrice Il Capitello presente sulle scrivanie di qualche migliaio di bambini delle quarte e quinte elementari. Il testo definisce i profughi come «clandestini», che vivono nelle nostre città «in condizioni precarie, senza un lavoro e una casa dignitosi». Motivo per cui, proseguiva il libro di testo, la loro «integrazione è spesso così difficile». Il passaggio è stato oggetto di pubblica condanna, come giusto (immaginiamo l’esito di simile equivalenza sui più piccoli), l’editore ha promesso un intervento più o meno immediato di rettifica.

Lo studio sulle case editrici 

Niente di tutto ciò avviene, invece, per le donne. Che – mentre il Paese si arrovella su come fermare l’ondata di stupri, femminicidi, molestie – a partire dai libri di scuola sono ignorate, e persino discriminate o addirittura calpestate. Senza che nessuno se ne accorga, e senza rettifiche . «Ma come, scusi, io questi libri non li ho mai visti...», esordisce sempre qualche insegnante durante i corsi di formazione tenuti da Irene Biemmi, pedagogista, ricercatrice e docente di Pedagogia sociale presso il Dipartimento di Scienze della formazione e psicologia dell’Università di Firenze. Biemmi è autrice di uno studio dirompente, realizzato nel 2010 e pubblicato nel libro Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari di Rosenberg & Sellier (una riedizione sta per essere affidata alle stampe con la prefazione di Dacia Maraini) condotto su un campione di dieci libri di lettura della classe quarta elementare di alcune delle maggiori case editrici italiane: De Agostini, Nicola Milano, Piccoli, Giunti, Elmedi, La Scuola, Piemme, Raffaello e infine proprio Il Capitello. Tutti intrisi di stereotipi sessisti, appunto. Testi cambiati, dal 2010 ad oggi? Tutt’altro, visto che una seconda ricerca condotta appena due anni fa sulla falsariga della prima, stavolta dall’Università di Catania (Corsini e Scerri gli autori), ha riscontrato che la situazione non solo non è cambiata, ma è addirittura peggiorata.

Principesse e mamme (soltanto)

Cosa raccontano, delle donne, i libri di testo su cui studiano le giovani generazioni? Che sono in minoranza quantitativa innanzitutto: è un mondo di uomini (o di bambini) quello dei sussidiari, dove dati alla mano i protagonisti delle storie sono per quasi il 60% maschili contro il 37% di femmine. «Significa che mediamente per 10 donne rappresentate compaiono 16 uomini, con picchi del doppio o addirittura più del doppio nei libri di alcune case editrici». Il caso più clamoroso? Quello di Raffaello, in cui il rapporto tra i due sessi è pari addirittura a 3,3: per ogni femmina, cioè, sono raffigurati tre maschi. Altro che “quote rosa”. E in un mondo quantitativamente abitato da maschi (pensare che nella realtà le cose stanno esattamente al rovescio) il passaggio al giudizio qualitativo è brevissimo: perché non si parla, delle donne? «“Forse perché non c’è molto da dire”, rispondono a volte i bambini, ridendo, nei laboratori che teniamo sulla parità di genere. Ed è significativo», continua Biemmi. La sua ricerca, d’altronde, mette in luce un altro elemento sconfortante: mentre agli uomini, nei libri di testo, vengono attribuite ben 80 professioni diverse (tra i mestieri maschili più ricorrenti: cavaliere, re, capitano, medico, pittore, poeta, esploratore, scienziato, marinaio, sindaco) alle donne ne toccano appena 23 (esauriti in larga parte da mamma e maestra, e poi da strega, fata, principessa, commessa e cameriera).
Ancora peggio quando si entra nel merito dell’aggettivazione attribuita ai due generi: gli uomini sono (e i termini, si badi bene, sono attribuiti esclusivamente ai maschi in tutti i libri presi in esame dalla ricerca) audaci, valorosi, coraggiosi, seri, ambiziosi, autoritari, duri, bruti, impudenti. Le femmine? In ordine di percentuale più rappresentata: antipatiche, pettegole, invidiose, vanitose, smorfiose, affettuose, apprensive, premurose, buone, pazienti servizievoli, docili, carine. Come dire (e come insegnare): il mondo maschile è forte, persino violento, quello femminile debole e superficiale. «Non serve un esperto per capire che impatto possono avere questi stereotipi, spesso presentati in modo del tutto acritico, sui nostri bambini – spiega Biemmi –. E non mi riferisco solo alle femmine, fin dalla tenera età incasellate nei pochi ruoli e atteggiamenti che per altro nulla c’entrano con quelli presenti nella realtà che le circonda, dove le donne (e le mamme anche) lavorano e non cucinano soltanto. Immaginiamo il peso di siffatto modello sui maschi, costretti a corrispondere alle aspettative di un mondo che li esige protagonisti perfetti e brutali, se necessario». Frustrazione, ansia, incapacità di relazionarsi con donne diverse da quelle che esistono nella loro mente: drammaticamente, si tratta dell’identikit dei troppi (e sempre più giovani) uomini violenti.

Le direttive europee e il “bollino di parità”

Pensare che dal 1998 anche in Italia esiste “Polite”, un progetto europeo di autoregolamentazione per l’editoria scolastica nato sulla scia della Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995, con l’obiettivo di promuovere la parità di genere nei libri di testo. A sottoscriverlo è stata l’Associazione italiana editori (Aie) e il rispetto delle norme in esso contenute prevede l’applicazione di un “bollino di qualità” alle pubblicazioni. «La beffa è che nonostante la parità di genere non sia nemmeno garantita dal punto di vista quantitativo nei libri di testo – osserva Biemmi –, molti di quelli presi in esame dalla mia ricerca e da quella più recente di Catania di quel bollino fanno bella mostra». Il motivo? Il bollino ce lo si autoassegna, visto che nel nostro Paese – a differenza di quello che avviene in Francia, per esempio – non esiste alcun controllo o supervisione da parte di un ente terzo (il ministero dell’Istruzione o un Osservatorio dedicato) sui libri di testo. Di più: del “Polite” non c’è traccia istituzionale online, nei domini italiani, tranne che in una breve sottosezione del sito dell’Aie. Risultato: il sessismo continua a imperare indisturbato coi suoi stereotipi là dove è più in grado di esercitare il suo potere culturale. Sui bambini. E mentre la riforma della “Buona scuola” si preoccupa di formare gli insegnanti a una (non meglio specificata) «cultura di genere», nessuno pensa alla formazione degli editori e degli autori dei libri di testo sulla parità fra i generi.
«La grande sfida dei prossimi anni è allora questa: che anche un solo, grande editore per la scolastica – auspica Biemmi – cominci a investire sistematicamente su questo tema». Basterebbe guardare alla letteratura d’infanzia (0-6 anni), che per assurdo nel nostro Paese – e per una volta al passo col resto d’Europa – sulle pari opportunità delle future generazioni sta compiendo passi da gigante, capofila i progetti innovativi di Settenove e di Giralangolo con la collana “Sottosopra”, ma anche alcuni esperimenti di San Paolo e Giunti. Leggere per credere.
da Avvenire

Idee. Daniel Lord Smail: «È tempo di esplorare la storia profonda»

Quando si parla di “storia” come ponte per meglio comprendere il presente, non si può prescindere dal minimizzare la moltitudine di sfaccettature possibili celate dentro la stessa parola “storia”. Ancor più se, nella selezione del punto di osservazione con cui confrontarsi, si prende in considerazione il «lasso di tempo » precedente i manuali scolastici, smontando quindi lo schema narrativo più familiare a favore di un tuffo in ciò che c’era prima che l’uomo divenisse «cultura ». La diramazione di strade possibili è tortuosa, oltre a presentare tutta una serie di criticità – anche interdisciplinari –, ma Daniel Lord Smail, docente di storia ad Harvard, in Storia profonda (Bollati Boringhieri, pagine 214, euro 24), argomenta la «coevoluzione di natura e cultura», provando a illustrare i percorsi su cui questi due concetti hanno proliferato, fino al presente.
La molteplicità della storia e l’adeguatezza della formazione scolastica, sono solo alcuni dei temi discussi, insieme alla volontà di cucire assieme alla storia, cultura e biologia, in un abito complesso, quindi un nuovo approccio atto a superare un atteggiamento di fondo spesso figlio di pregiudizi. Dove inizia la storia? Lo storico ha il dovere di porsi questa domanda, senza soprassedere sulle conseguenze della risposta. Solo così si può creare un grande racconto che guarda al futuro con completezza.
Come mai ci sono voluti dieci anni prima che il libro fosse pubblicato in Italia?
«Quando il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti ha attirato molti lettori. Diversi colleghi mi hanno detto che il mio lavoro era troppo particolare per guadagnarsi l’attenzione dei lettori europei. Il libro è stato pubblicato precendetemente alla prima ondata di nuove borse di studio in diversi campi, quando la storia delle emozioni stava cominciando a decollare e campi come il nuovo materialismo, approcci come l’epigenetica, stavano cominciando a emergere e attirare l’attenzione. Ora, molti lettori in Europa e negli Stati Uniti sono sempre più interessati a questi nuovi approcci».
Con questo lavoro si è superata parte della ritrosia verso il concetto di “storia profonda”?
«È importante distinguere lo studio del passato profondo dal concetto di storia profonda. Lo studio del passato profondo è svolto ovunque da archeologi, antropologi, paleontologi, paleoantropologi, genetisti e studiosi in diversi altri campi. Negli ultimi trent’anni in questi campi ci sono state trasformazioni rivoluzionarie che hanno reso più semplice raccontare la storia del profondo passato dell’umanità. Studiosi italiani come Luigi Luca Cavalli-Sforza, uno dei miei eroi intellettuali, sono stati pionieri in questo sforzo. Il concetto di “storia profonda” si riferisce alla necessità di riformare la nostra comprensione dei confini cronologici della storia. In generale, il problema è più acuto negli Stati Uniti che in Europa. Ai bambini viene insegnata una storia relativamente poco profonda, che copre solo gli ultimi millenni, e nel caso degli Stati Uniti, appena tre o quattro secoli. Quando gli studenti vengono all’università, quindi, spesso devono annullare questa storia per cogliere una storia profonda che si estende su tutta la storia della specie o del genere».
È possibile conciliare questa nuova interpretazione con quella più radicata culturalmente?
«A un certo livello, la risposta è no, in parte per le ragioni descritte nella mia risposta precedente. La storia profonda non è molto compatibile con un concetto di storia incorniciato, sia implicitamente che esplicitamente, dalla temporalità. Inoltre, la storia profonda propone che se vogliamo comprendere certe cose sul presente e sul futuro, la storia del passato molto recente, che non copre più di pochi millenni, è insufficiente. Detto ciò, ritengo che la storia sia fiorita quando ci sono molti approcci diversi nel passato umano e dove nessuno di essi ne esclude un altro. Non ogni storia deve essere una storia profonda».
Quanto è importante che la storia di questo libro cominci in Africa? Soprattutto in questo momento storico, anche in riferimento a quell’accenno al razzismo di cui si parla nel libro.
«È estremamente importante, oltre che essere parte critica del libro. Sì, siamo tutti africani. Naturalmente, i paleoantropologi lo hanno detto per generazioni. È tempo che lo dicano anche gli storici. A questo proposito, la storia profonda è anche una delle storie che devono essere raccontate da e per i popoli indigeni in tutto il mondo. Ho avuto molte affascinanti conversazioni con studiosi delle Americhe e dell’Australia circa i collegamenti tra la storia profonda e la storia indigena. È importante rispettare il fatto che i popoli indigeni non necessitano necessariamente di una storia profonda, soprattutto perché il concetto occidentale della storia stessa può essere antitetica alla propria cosmologia».
La storia sacra ha inciso davvero così tanto sugli sviluppi dello studio della storia? Oppure rientra in quel genere di inerzia cui si accenna riguardo lo studio della storia stessa?
«Nel tardo diciannovesimo secolo e all’inizio del Novecento gli storici erano preoccupati di violare i principi della cronologia breve. Come ho sostenuto, la storia sacra era “tradotta” in un diverso quadro cronologico. Tale quadro, per inerzia, ha continuato ad un certo grado fino ad oggi».
È possibile formare una nuova coscienza storica?
«Posso solo parlare per me stesso, ma sì, è possibile formare una nuova coscienza storica usando il concetto di storia profonda. Il libro stesso non sarà sufficiente. Bisogna essere disposti e desiderosi di tenersi aggiornati con i recenti risultati che emergono dall’archeologia, dalla paleoantropologia e dalla genetica. Non vorrei tuttavia dire che la nuova coscienza storica sia in procinto di emergere».
Riprendendo il concetto di imprevisto del libro, ad esempio parlando di Internet, cosa può insegnare questo spostamento del punto di osservazione nello studio della storia?
«Adesso usiamo Internet in modi che erano completamente imprevisti quando è stato creato; in altre parole, l’esistenza stessa di Internet ha permesso di modificare il modo in cui ci troviamo in relazione a Internet. In sintesi, ciò significa che tutti gli elementi del nostro ambiente vissuto che abbiamo creato o alterato sono attori nella creazione della storia».
Dopo questo lavoro si può dire che scienza e storia siano più vicine?
«Questo libro potrebbe contribuire a creare un maggiore dialogo tra scienza e storia. Infatti ci sono un numero crescente di applicazioni scientifiche alla storia, che maturano da campi quali l’archeologia scientifica e la genetica. Non c’è dubbio che gli storici interessati ai tipi di domande indotti dal concetto di storia profonda dovranno imparare a collaborare con gli scienziati in quei settori».
da Avvenire

Pro orantibus. La Giornata per la clausura: le voci di chi si dona pregando

Era il 1953 quando papa Pio XII volle la Giornata pro orantibus. È la giornata dedicata alle comunità di clausurasparse in tutto il mondo, un’occasione per sostenere quanti hanno abbracciato la vita contemplativa e hanno fatto della preghiera la propria missione. L’appuntamento si celebra oggi, memoria liturgica della Presentazione di Maria al Tempio, perché nell’offerta radicale della Vergine al Signore si riconosce pienamente l’ideale della vita consacrata.

Suor Brigida, dall'Indonesia a Napoli

«Sono felice di essere tutta di Dio», esclama radiosa suor Brigida della Sacra Famiglia, 31 anni, che da poco ha fatto la professione perpetua nel monastero delle Passioniste di Napoli. «Con il cuore colmo di gioia – racconta –, elevo il mio inno di ringraziamento alla Santissima Trinità, che mi ha dato questo dono meraviglioso della vocazione. Il Signore mi ha amata per primo e mi ha chiamata a vivere più intimamente con Lui nella vita di preghiera e di contemplazione del suo amore immenso per il mondo e per gli uomini. Sono felice di seguire passo dopo passo Gesù, mio maestro e mio sposo. Sono cosciente della mia debolezza, ma confido nella fortezza della sua misericordia. Credo che la sua misericordia è più grande dei miei peccati e che Lui mi ha scelta non per la mia bravura ma solo per la sua misericordia».
Suor Brigida è un fiore trapiantato in Italia dall’Indonesia, sua terra natia. Studentessa brillante, durante gli anni del liceo conosce la comunità passionista di Maumere, nell’isola di Flores. A vent’anni entra in monastero. I genitori avrebbero preferito l’ingresso in una congregazione di suore di vita attiva, per avere maggiori possibilità di continuare a frequentare la loro unica figlia, ma lei sente con forza il fascino del carisma passionista e sceglie la clausura. Dopo un periodo passato nel monastero indonesiano, suor Brigida accetta di venire in Italia. Mentre vive la sua consacrazione nel convento di Napoli, esplodono i sintomi di una grave patologia renale, ma questo non spegne il sorriso della giovane religiosa che affronta con coraggio una lunga degenza all’ospedale Cardarelli, assistita dalle consorelle e dall’équipe medica. La malattia ha i suoi alti e bassi, ma il giorno della professione perpetua è senza nubi.
«Sì, mi sono accorta che il mio cammino è lungo – commenta suor Brigida – ma sono certa che il Signore è con me tutti i giorni della mia vita. Mi incantano le parole della Scrittura, tratte dal libro del profeta Isaia: “Tu sei preziosa ai miei occhi e io ti amo”. Il Signore non mi lascerà mai, perché sono preziosa ai suoi occhi, e mi ama veramente. Mi ama con amore misericordioso. E alla sua misericordia affido tutta la mia esistenza. Desidero essere come un parafulmine per il mondo tramite l’orazione continua e voglio ricambiare con tutto il cuore l’amore ardente di Gesù Crocifisso. Nella preghiera ricordo i miei genitori e i parenti che sono lontani, in Indonesia, e che mi hanno donata alla congregazione; prego per tutta la mia famiglia passionista, con tanta gratitudine per il bene e la luce che mi ha dato per farmi crescere nella virtù e nell’amore di Dio e del prossimo; prego per tutti coloro che mi sono stati vicini durante il mio ricovero all’ospedale, per il mio padrino e la mia madrina italiani che mi hanno aiutata e mi hanno accolta come una figlia. In particolare ricordo al Signore le giovani che si sentono chiamate alla vita religiosa. A ciascuna di loro vorrei dire: non temere di darti al Signore, non perdere tempo con gli indugi, perché nulla è più dolce dell’amore di Gesù».

Suor Luisa: «Anche la malattia è amore»

Suor Luisa Odifreddi, visitandina di Pinerolo, è come la candela dell’altare: arde perennemente, e più si consuma più dona luce. Ha 79 anni ed è segnata da una dura malattia. In ogni incontro condivide con l’interlocutore ciò che ha nel cuore: la sua passione per Dio, un amore imparato fin da bambina, sulle ginocchia della mamma. Il morbo di Sjogren che l’ha colpita nel 2000 non ha incrinato la sua fede. Suor Luisa è ben cosciente della prognosi del suo male (una sindrome che danneggia il sistema immunitario): prima di entrare in monastero, è stata per diversi anni religiosa fra le Suore di Carità di Santa Giovanna Antida, dove divenne capoinfermiera e guida delle infermiere in formazione.
Suor Luisa, che cosa pensa del mistero della sofferenza?
Penso che tutto è amore. Proprio questi anni di malattia mi hanno portata ad avere la certezza che Dio è amore e che ogni prova è un dono dell’immenso amore con cui Dio mi ha creata, dell’amore con cui mi ha chiamata e del crescendo di amore con cui mi accompagna ogni giorno. Mi sostengono la Parola di Dio, l’Eucarestia quotidiana e alcuni sprazzi di luce che Dio mi dona, come l’esempio di un giovane sacerdote, rimasto totalmente paralizzato e che poteva comunicare solo con la punta di un dito. Le sue ultime parola alla mamma furono: «Quando guardo il Crocifisso e leggo la scritta Inri, penso: “Io non ritorno indietro”». E anch’io, con l’aiuto della grazia di Dio, ripeto: «Io non ritorno indietro ». Perché sono felice di abbandonarmi alla volontà del Padre.
Quale sarà lo sviluppo della malattia?
È una malattia di cui tanti aspetti restano ignoti. Mi metto davanti al mio Crocifisso, penso alle sofferenze di Gesù e gli dico che voglio stargli vicina, anche sul Calvario. Maria è stata vicina a Gesù in croce ed è vicina con infinita tenerezza ad ogni sofferente. Mi piace pregare il Rosario, dirlo più volte ogni giorno. La Madonna è mamma! Ricordo con tanta riconoscenza mia mamma, mi sento risuonare nel cuore le sue parole. Penso di avere questa pace nel cuore, grazie all’intercessione materna di Maria e all’amore di mia mamma che mi ha cresciuta per Dio e ora certo prega per me dal cielo.
E la morte?
La morte è entrare nella vita, è abbandonarsi all’amore, fra le braccia di Dio. Ciò che separa le persone è solo la mancanza di amore. Eppure, anche quando ci sono delle sofferenze morali, quale grande grazia ci viene data. Allora, con l’aiuto di Dio, è il momento di pregare, soffrire, togliere la “s” alla parola “soffrire' e vivere la parola “offrire”. E perdonare, pregando per chi ci ferisce. È Dio che ci mette nel cuore questo fuoco d’amore e ci fa capire che tutto è grazia.
da Avvenire