FELTRINELLI 1+1  IBS.IT
Visualizzazione post con etichetta Messina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Messina. Mostra tutti i post

Via libera al Ponte: cantieri entro l’anno e apertura nel 2032

 

Il Ponte sullo Stretto compie un piccolo passo verso la realtà: il consiglio di amministrazione della società Stretto di Messina ha approvato la Relazione di aggiornamento al progetto definitivo.

“Confermo che l’intenzione è aprire i cantieri entro l’anno 2024 e aprire al traffico stradale e ferroviario il ponte nel 2032”, ha detto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, al question time al Senato, esprimendo la propria soddisfazione per il via libera all’opera.

“È un grande risultato, si conferma un progetto straordinario. Dopo i molti ponti ‘Messina Style’ costruiti nel mondo, è il momento di realizzarlo nello Stretto di Messina”, ha sottolineato l’amministratore delegato della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci. In particolare, la Relazione “ha attestato la rispondenza del progetto definitivo al progetto preliminare”, è stato, fra l’altro, approvato l’aggiornamento della documentazione ambientale, l’analisi costi-benefici, l’aggiornamento del piano degli espropri, il programma di opere anticipate da avviare dopo l’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipess.

Confermate, quindi, tutte le caratteristiche tecniche dell’opera e dei suoi collegamenti a terra. Il Ponte, il cui costo è salito a 13,5 miliardi dagli 8,5 miliardi del 2011, sarà lungo 3,3 km e sarà progettato per avere una vita di 200 anni. Sarà in grado “di garantire” tempi medi di attraversamento “di circa 15 minuti” per i servizi ferroviari diretti tra Villa San Giovanni e Messina Centrale, rispetto agli attuali 120 minuti per i treni passeggeri e almeno 180 minuti per i treni merci, e di “circa 10/13 minuti su gomma” rispetto agli attuali 70 minuti per le auto e 100 minuti per i mezzi merci, ha illustrato la società Stretto di Messina.

Le opere stradali e ferroviarie di collegamento del Ponte al territorio comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari (circa l’80% sviluppati in galleria) che collegheranno, dal lato Calabria, l’autostrada del Mediterraneo (A2) e la stazione Fs di Villa San Giovanni e, dal lato Sicilia, le autostrade Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20) nonché la nuova stazione Fs di Messina.

Sul fronte occupazionale, per tutta la durata del cantiere (7 anni) si avrà un impatto occupazionale diretto di circa 30.000 unità lavorative per anno cui aggiungere l’impatto occupazionale indiretto e indotto, stimato in 90.000 unità, per un totale di 120.000 unità lavorative generate dell’opera, spiega la società.

Cifre che però vengono definite “una bufala” dal Coordinamento locale ‘Invece del ponte’ e “fittizie” dal co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs Angelo Bonelli. “Attendiamo ora di esaminare i documenti per una valutazione approfondita, inclusa un’analisi costi-benefici che evidenzi l’impatto positivo del progetto”, ha detto Bonelli.

travelnostop.com


Un'eredità arrivata "per caso": il professore Agliolo, l'ultimo costruttore di campane di Messina

 

Un'immagine d'epoca della famiglia Trusso (foto del Museo Fotografico Franchina)

Esiste ancora chi fabbrica le campane in Sicilia? Riusciamo ad immaginare le fattezze di chi ha consacrato una vita a questo mastodontico e duro mestiere?


Ebbene l’ultimo fonditore di campane nella provincia di Messina vive a Tortorici, paesino nebroideo con un’immensa eredità per questa lavorazione del bronzo.

È uno dei due rimasti in Sicilia in parziale attività ed è il più anziano di due. Lui si chiama Francesco Agliolo, ha 70 anni ed è, ad onore di cronca, un ex docente di scuola media in pensione dal 2010. Il comune di Tortorici conserva il primato di ospitare la più antica fonderia dell’Isola che apparteneva ai Trusso, l’ultima famiglia di fonditori.

Questi non hanno avuto discendenti troppo interessati a tramandare il valore della preziosa arte, tanto è vero che l’attività si ferma al 1956 e il fabbricato degli artigiani è passato diproprietà all’Amministrazione municipale.
Ci sono tracce dei Trusso nel 1629, mediante una campana che porta la loro firmata e ritrovata a Patti. Sebastiano Trusso è scomparso in un incidente stradale sei anni fa.

Ma la fabbricazione delle campane in questo territorio viene attestata già nel 1388 con la testimonianza scritta del Vescovo di Catania Simone Del Pozzo che argomentava sul campanone di 66 “cantàra” ad opera del “Mag. Nicolaus de Terra Turturichio”. Questo risalta ancora sul campanile del Duomo di Catania.

Nel 1999, Agliolo ricevette proprio nell’ambito scolastico la responsabilità di gestire un Laboratorio di Microfusione, dove poter insegnare agli alunni a fondere le campane, dopo l’acquisto dei forni adeguati. Il professore è totalmente scollato dall’entourage specialistico dei Trusso perché non è mai stato alle loro dipendenze nella fonderia che, peraltro, è diventata dal 2009 (dall’epoca del restauro) un sito turistico da visitare con tutti i suoi reperti.

Questo impianto dismesso e costruito nell’ultimo decennio del secolo XIX è un Museo che omaggia un altro professore, Rosario Parasiliti ovvero un grande conoscitore della storia di Tortorici, che è deceduto nell’estate del 2012.

Si presenta in muratura d’argilla con mattoni cotti in fornace e compattati con argilla rossa, su una superficie di circa sette × sei metri. Il forno circolare in muratura, che è l’anello fondamentale, con diametro di circa tre metri, occupa quasi tutto lo spazio.

La fonderia è costituita dalla “cammara du focu” (camera di combustione), con base a forma di mezzo cerchio e dal
contiguo “furnu” (camera di fusione) si introducevano rame, stagno e rottami di bronzo. Attorno al forno, a comparire dislocati per l’ambiente fonderia sono tutti gli attrezzi che servivano a preparare e rifinire i manufatti.

Alcune campane sono sistemate nel fabbricato: una del 1676 di 70 centimetri a monte,dietro la fonderia nel giardino ed una all’ingresso. Altre datate 1498 e successive fino al XXI secolo si possono apprezzare nel Museo Etno-antropologico.

L’antico impianto è vincolato dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina. È visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.30; nei pomeriggi e nei giorni di sabato e festivi, contattando il numero telefonico 328 6590199.

Nel tessuto sociale teso al recupero degli antichi mestieri, varie realtà ed enti quali il Centro di Storia Patria, il Comune, la Pro-Loco e la Scuola Media “N. Lombardo” hanno favorito un ritorno alle origini riscattando la creazione dei metalli a Tortorici.

L’istituto scolastico, in particolare, è quello in cui il prof. Agliolo era in servizio con le materie Educazione Tecnica e Artistica. Con questo tipo di lezioni pratiche è stata effettuata la fusione di alcune campane e sono stati forgiati utensili artistici in rame.

Il docente ha tenuto corsi pomeridiani con Fondi europei ai ragazzini delle scuole medie per oltre dieci anni, nel territorio di Sant’Agata di Militello e Capo D’Orlando, insieme a un’altra professoressa di tecnica.

Un valido laboratorio della cera e creta è stato sfruttato con lo scopo didattico. In quel periodo, sostiene Agliolo, vennero fatte tre/ quattrocampane di 50 - 60 centimetri nella sua fonderia. Un’altra in collaborazione con il Rotary Club di Sant’Agata di Miltello è stata inviata in una chiesetta in Africa.

Agliolo si definisce innanzitutto uno scultore del legno che si dilettava ad esporre i suoi lavori. Nel tempo libero, insegna il mestiere ad un allievo “ragazzone” di circa 40 anni.

L’altro fonditore esistente in Sicilia è il 38enne Luigi Mulè Cascio che vive e lavora nel comune di Burgio (in provincia di Agrigento), con cui Tortoirci ha allacciato un gemellaggio. Nella sede agrigentina, si concretizzano anche commissione d’elite quali mortai e torchi per le cucine delle industrie.

La “Fonderia Virgadamo” che dovrebbe essere l’alter ego di quella dei Trusso all’avanguardia (ammodernata con forni a gas o a metano) nasce dal nonno materno di Mulè Cascio. La prima campana di Burgio si attribuisce al1671 con la fonderia della famiglia di Antonio Arcuri, trasferita poi alla dinastia di Luigi.

Don Mario Virgadamo (nonno di Luigi) è stato l’ingegno puro autodidatta che ha il grossissimo merito di aver donato una campana nel maggio 1993 in curia ad Agrigento a Papa San Giovanni Paolo II.

Luigi, di contro, ha conseguito la laurea all’Accademia delleBelle Arti di Palermo. All’arte della sua famiglia si annoverano migliaia di esemplaricampanari che eseguono anche basi di note musicali, nelle chiese dall’Europa all’Africa, dal Sud America fino all’Estremo Oriente.

Il gemellaggio con l’artista artigiano Luigi ha prodotto un medaglione lavorato dal prof. Agliolo con il simbolo del proprio comune: l’aquila con due teste nel 2001. Agliolo ha anche scritto un libro “I Campanari di Tortorici” con l’associazione Gal dei Nebrodi e prefazione del chirurgo Francesco Stagno D’Alcontres. Ha fabbricato campane particolariper l’ex presidente della Regione Siciliana lombardo, un’altra per il Parco dei Nebrodi. Tra le sue opere ce n’è una anche con pianta ottagonale.

Ha sempre realizzato i lavori più massicci nella sua casa in campagna con metodi antichi. Un’altra è stata realizzata nel Giubileo del 2000 del peso di 140 chili che si trova montata su un traliccio all’interno dellascuola “Lombardo”. Ricorda anche una mostra di nove campane all’Expo di Milano nelluglio 2015, accompagnato da un esperto suonatore di tradizione popolare.

Per passatempo per invogliare i giovani. Sa bene che fabbricare campane è un mestiere molto pericoloso perché si fonde a 1250 – 1300 gradi una lega al 78% in rame e 22% di stagno puro. Prima si procede con l’interno con mattoni refrettari, si ricoprono di cera (con pennello) che è lo spessore del bronzo, poi la colombella dove si attacca il batacchio. Indispensabili il compasso che va progettato e traccia il risultato finale ed un cerchio a terra su una lastra o su mattoni.

Le famiglie di fonditori erano una quindicina nella località dei Nebrodi e hanno rifornito campane in chiese importantissime dal Sud al Nord Italia e persino in Africa. A tagliare il nastro di partenza sono stati gli Arena originari di Patti, sottolinea Agliolo.

Le fonti storiche rivelano che ci sono campane di stampo e manifattura di Tortorici al Vaticano, a Bologna, nel campanone del duomo di Catania, in almeno due chiese a Palermo (in quella della Gancia dove la campana è intrisa di memoria perché diede il via ai moti siciliani e nella Basilica Cattedrale), in una chiesa a Sciacca, nel Duomo di Messina accanto al gallo la campana di Clarenza (i cui fonditori sono i Salicola), ancora a Messina le due campane collocate al Museo Regionale.

Da documentare a Malta, tre campane nel Museo di Arte Sacra della Cattedrale della Città di Medina. A comunicarlo è il presidente del Centro di Storia Patria dei Nebrodi Salvatore Foti. È stata scoperta una scritta in latino che faceva pensare ai Fonditori Tortoriciani in un catalogo di una mostra maltese, in occasione di una ricorrenza.

I costruttori si spostavano in base alle dimensioni della campana che veniva commissionata generalmente dalla Curia e la colata veniva realizzata direttamente sulposto per ovvie difficoltà di trasporto. Tutte le fonderie presenti a Tortorici sono piccoli fabbricati ad una elevazione dove si doveva smontare il tetto che proteggeva il contenitore delle campane.

“Certamente non c’è campana, in Sicilia e anche nella vicina Calabria, che non sia stata fusa da Tortoriciani”. E questo diceva nel 1700 circa da tale V. Amico.
balarm.it

Messina valorizza fortezze su Peloritani Assessore Signorino presenta itinerari ed escursioni in trekking

 © ANSA

MESSINA - "La nostra città punta sempre di più sul turismo di qualità e per questo vogliamo valorizzare la fruizione dei monti Peloritani e i "forti" messinesi: un sistema di oltre 20 costruzioni militari di rara bellezza e di grandissimo valore paesaggistico che sono diventati dei veri contenitori culturali, ospitando al loro interno eventi musicali, spazi espositivi, aree museali, percorsi naturalistici, a piedi e con fuoristrada, di straordinaria bellezza". A dirlo l'assessore comunale al Turismo di Messina Guido Signorino presentando itinerari tra i forti messinesi da proporre ai visitatori ed escursioni in trekking sui monti Peloritani. "Costruiti nella seconda metà dell'800 per difendere lo Stretto da attacchi nemici, - spiega il prof. Vincenzo Caruso, referente Coordinamento Forti dello Stretto - i Forti di Messina sono oggi delle magnifiche terrazze da cui ammirare uno dei panorami più belli al mondo. Messina, con il suo porto naturale, per la sua posizione geografica privilegiata ha assunto nei secoli un posto di rilievo dal punto di vista storico, militare e strategico nel Mediterraneo. Le dominazioni susseguitesi hanno dotato la città dello Stretto di una serie di fortificazioni che la rendono unica tra le città marinare d'Europa. Dall'epoca spagnola fino al periodo umbertino, le opere fortificate di Messina sono un segno del passato, che costituiscono oggi un provato esempio di valorizzazione turistica finalizzata ad una ricaduta economica positiva sul territorio". "Unici per tipologia per la loro posizione strategica - prosegue Signorino - una volta recuperati e resi fruibili alla collettività dagli Enti e dalle Associazioni che li gestiscono, d'intesa con il Comune di Messina, i Forti dello Stretto sono un patrimonio eccezionale per la nostra città".
   
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Santa Maria di Mili, una meraviglia abbandonata alle porte di Messina


La città di Messina è conosciuta per le sue peculiarità artistiche, prima tra tutte il duomo, meta giornaliera di migliaia di turisti che rimangono sorpresi e incantati dal campanile animato e dal ruggito del leone che squarcia quotidianamente il cielo di mezzogiorno.
Ma per tanti monumenti così conosciuti, ce ne sono altrettanti di eguale bellezza che vengono dimenticati e abbandonati al loro destino. È il caso della Chiesa normanna Santa Maria di Mili, che assieme all’ex monastero annesso, siede dimenticata sulle riva sinistra del torrente Mili, poco distante dal centro abitato di Mili San Pietro.
La Chiesa è una dei più antichi esempi di architettura religiosa arabo-normanna in Sicilia. Fu il conte Ruggero d’Altavilla ad edificarla nel 1090, per poi seppellirvi dopo due anni il figlio Giordano, morto durante una battaglia a Siracusa. Affidata ai monaci basiliani fino al 1542 e al Grande Ospedale di Messina in seguito, viene acquisita nel 1866 dal Demanio, che vendette il monastero a privati, mentre la Chiesa è attualmente patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’interno.
Sul sito del comune esiste una sezione interamente dedicata alla Chiesa di Santa Maria di Mili, in cui vengono spiegate peculiarità storiche, architettoniche e artistiche dell’abbazia. In fondo, viene annunciata la possibilità di effettuare visite guidate prenotatili contattando l’indirizzo emailinfo@milisanpietro.it.
Passando dalle parti del torrente Mili, però, il panorama che si presenta non è quello che tipicamente invoglia al turismo: la chiesetta abbandonata è ricoperta da erbe selvatiche e rovi, tana di animali selvatici, preda di vandali e in balia delle intemperie. Facile immaginare parti della struttura pericolanti, che la renderebbero più adatta a escursioni spavalde e avventurose che non a gite turistiche e culturali.
Quello di Santa Maria di Mili è solo uno degli esempi che si potrebbero fare di strutture e monumenti analogamente trascurati, il cui fascino è condannato a diventare sinistro e selvaggio. Eppure basterebbe poco per trasformare l’indignazione di chi si trova a passare da quelle parti in sorrisi compiaciuti, riqualificando la chiesa e rendendola strumento utile a solleticare il turismo culturale.
Foto di Giovanni Lombardo in stettoweb.com