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Maestro di San Francesco, cantore dell'Altro Cristo. Perugia celebra l'artista senza nome

 

San Francesco come Gesù, il Nuovo Cristo, il Tredicesimo Apostolo venuto per salvare la Chiesa e il mondo.

C'è la mano di un pittore tra i più grandi del Duecento ma di cui non di sa nulla dietro la stagione che verso le metà di quel secolo vide nascere e svilupparsi ad Assisi il cantiere internazionale di artisti impegnati a mettere il Santo al centro della scena nel solco ideologico tracciato da Bonaventura da Bagnoregio. Fu appunto il Maestro di San Francesco, chiamato così alla fine dell' '800 dallo storico dell' arte tedesco Henry Thode, a raccogliere la lezione di Giunta Pisano che superava la rappresentazione del crocifisso con gli occhi aperti e trionfante sulla morte, umanizzandone invece nella sofferenza i tratti e le sembianze, inserendo elementi di novità come le figure intere di San Giovanni e della Madonna ai lati della croce e del Santo, anche lui con le stimmate, ai piedi sanguinanti di Gesù.

A celebrarne il valore, oscurato pochi decenni dopo da Cimabue e dalla potenza di Giotto, è la Galleria Nazionale dell' Umbria dal 9 marzo al 10 giugno con la grande mostra 'L' Enigma del Maestro di San Francesco. Lo stil novo del Duecento umbro', nell'ottavo centenario delle stimmate del Patrono d'Italia, che sarà inaugurata dal minstro Sangiuliano. I curatori - Andrea De Marchi, Veruska Picchiarelli e Emanuele Zappasodi - hanno selezionato una sessantina di opere riunendo, come mai era avvenuto, sette dei nove dei capolavori mobili conosciuti del Maestro. Il cuore pulsante del racconto in otto sezioni è la Croce Dipinta di quasi cinque metri - la più grande con quella di Cimabue mai fatta in Italia e oggi divenuta il simbolo della Gnu - realizzata nel 1272 per la chiesa di San Francesco al Prato e le porzioni del dossale d' altare dipinto sui due lati che finalmente viene ricomposto con gli arrivi dalla National Gallery di Washington, dal Metropolitan di New York e dal museo del Sacro Convento.

L' allestimento, nel suggestivo blu notte che richiama la volta della basilica inferiore di Assisi, dove l' artista dipinse le scene della vita di Gesù speculari a quelle di Francesco come Alter Christus, evoca l'abside della chiesa perugina ''in dialogo'' con tutte le opere. Il percorso muove dalla Stauroteca di Cosenza, reliquiario dorato della croce realizzato a Palermo intorno al 1170 che rimanda al mondo bizantino, e si sviluppa con le croci di Giunta Pisano (dal museo della Porziuncola e da Pisa) che riprendono l' iconografia del Cristo sofferente presa a modello dal Maestro di San Francesco. Spicca, anche per il suo valore di reliquia, la tavola che raffigura il Santo tra due angeli che, secondo la tradizione, Francesco usava come giaciglio e sulla quale fu poggiato il suo corpo dopo la morte.

Qui il Maestro mostra per la prima volta la ferita al costato del Poverello, prova di santità delle stimmate certificate dai due papi dell' epoca Gregorio IX e Alessando IV. Le due croci di medio formato dal Louvre e dalla National Gallery di Londra si affiancano a quella della Gnu prima del gran finale con la grande Croce del 1270 che arriva da Gualdo Tadino e la Pala Agiografica di Santa Chiara, dipinta da Maestro di Santa Chiara, concessa eccezionalmente dalla Basilica di Assisi. ''Il maestro di San Francesco - osserva Veruska Picchiarelli - è stato pittore raffinatissimo, un artista dei sentimenti e della commozione per l' attenzione ossessiva ai dettagli e la capacità di esprimere gli affetti e il mondo interiore''. Un protagonista che ha avuto un ruolo fondamentale nel far nascere una tradizione stilistica, ''la passione degli Umbri'', e nel dare vita all' iconografia ufficiale del Santo ''interpretando in maniera lucida le direttive dell' ordine francescano e della Chiesa''. ''Mai come allora Perugia fu davvero caput mundi - ha rimarcato Andrea De Marchi -. Con Assisi era un po' la New York dell' epoca. Quelle opere descrivono un mondo ardente e incadescente. Un grande teatro che parla profondo con la forza dell' arte''. Avvolgente, infine, è la sala virtuale che ricostruisce la Basilica Inferiore di Assisi mappata al centimetro. Al visitatore viene suggerito un percorso verso questo luogo sacro straordinario dove la navata unica, nuda e spoglia diventò intorno al 1270 ''uno scrigno multicolore, l' enorme reliquiario con le cinque storie della vita del Santo sulle pareti da un lato e di Cristo dall' altro, un calidoscopio di cui oggi restano solo larve''. Tra le decorazioni della volta erano disseminati piccoli specchi per simulare le stelle nella notte. Un' altro effetto speciale dell' artista che rappresentò ''l' ultimo fuoco di artificio dell' eredità bizantina che sarà spazzata via da Giotto''.

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Superstar del Duecento, a Perugia il Maestro di San Francesco

 

Ha toccato i vertici della pittura del Duecento ma resta senza nome l' artista che ha raccontato San Francesco nella meravigliosa biografia per immagini realizzata a secco in tempi da record tra il 1255 e il 1260 nella navata unica della Basilica Inferiore di Assisi.

L' autore di quel capolavoro e delle vetrate nella Basilica Superiore, che con i fondamenti concettuali di Bonaventura da Bagnoregio pose Francesco al centro del progetto che lo indicava come il salvatore della Chiesa e del mondo, fu il protagonista di una svolta radicale che venne oscurata in breve tempo dall' arrivo sulla scena di Cimabue.

''Fu l' ultimo fuoco di artificio dell' eredità bizantina che sarà spazzata via da Giotto'', dice Andrea De Marchi, curatore con Veruska Picchiarelli e Emanuele Zappasodi, della mostra che la Galleria Nazionale dell' Umbria gli dedica dal 10 marzo al 9 giugno, nella ricorrenza degli 800 anni delle stimmate del Santo morto nel 1226. ''L' enigma del Maestro di San Francesco. Lo stil novo del Duecento umbro'' si snoda, appunto, tra il museo del capoluogo e Assisi, riunendo per la prima volta sette delle nove opere attribuite all' artista sconosciuto e altre cinquanta per contestualizzare il racconto, con arrivi di rarità da musei stranieri prestigiosi - Louvre, National Gallery di Londra, Metropolitan Museum di New York, National Gallery di Washington. L' obiettivo è ''accendere i riflettori su un giro di boa fondamentale della storia dell' arte'' e proporre un itinerario nei luoghi in cui operò il pittore - chiamato sul finire dell' 1800 dallo studioso tedesco Henry Thode ''Maestro di'' come accadde per molti altri artisti dell' epoca noti per i soggetti raffigurati ma non identificabili per l' assenza di firma e documentazione.
Punto di partenza e fulcro del percorso è la enorme Croce Dipinta datata 1272, di quasi cinque metri - tra le più grandi con quella di Cimabue mai realizzate in Italia - posta all' ingresso della Gnu di cui ormai rappresenta il simbolo. Un capolavoro mozzafiato per lo splendore dei colori e la bellezza del soggetto, il crocifisso descritto nella sua sofferenza di uomo, il corpo piegato su un lato, con gli occhi chiusi, l' esatto contrario del Cristo trionfante sulla morte, eretto e con gli occhi aperti dell' epoca precedente come quello di San Damiano. La grande Croce, dipinta per la chiesa perugina di San Francesco al Prato, si richiamava al modello realizzato nel 1236 da Giunta Pisano, conservata nel museo della Porziuncola e concessa per l' esposizione con un' altra tavola fondamentale, Francesco tra due angeli, realizzata dal maestro di San Francesco sull' asse di legno sulla quale secondo la tradizione fu appoggiato il corpo morto del Santo. Assisi, dopo la canonizzazione nel 1228 e la posa della prima pietra della basilica due anni dopo, divenne un cantiere internazionale con l' arrivo di artisti francesi e tedeschi. In questo clima effervescente, il Maestro raccontò Francesco dipingendo i momenti salienti della sua vita su un lato della navata in dialogo con le scene della vita di Gesù sul lato opposto, appunto per rafforzare l' idea che il santo povero fosse il Nuovo Cristo, anche in virtù delle stimmate ricevute. Le scene erano un tripudio di colori e decorazioni fino ai piccoli specchi disseminati nel blu della intera volta per simulare, illuminate dalle fiaccole, le stelle nella notte. Tinte oggi sbiadite che rendono solo lontanamente l'idea dello sfarzo pensato per l' epoca. Nel 2016 un ospite 'speciale' in visita alla Galleria Nazionale dell' Umbria davanti al grande Crocifisso del Maestro di San Francesco riassunse in una sola frase la chiave di lettura della mostra che sta per aprirsi: ''Qui c' è Giunta Pisano ma non c'è ancora Cimabue''. Non era il parere di uno storico dell' arte di lungo corso ma il commento ammirato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

ansa.it

Da Perugino a Piero, riapre la Galleria Nazionale dell'Umbria. Dopo un anno di lavori brilla a Perugia lo scrigno di capolavori

 

La grande croce del Maestro di San Francesco del 1272, meraviglia di quasi cinque metri metri, è il pezzo da novanta di apertura. Poi il Perugino con l' Annunciazione Ranieri e altri 14 dipinti, scelti tra i 23 che costituiscono il corpus di opere del pittore più consistente al mondo.

E infine, il sommo Piero della Francesca con lo straordinario Polittico di S. Antonio, che tutti conoscono ma ignorano sia conservato qui. E' il tris d' assi della Galleria Nazionale dell' Umbria che dal 1 luglio riapre al pubblico dopo un anno di lavori da cinque milioni di euro con un nuovo allestimento dei suoi tesori. Una collezione arricchita da tanti jolly, dal senese Duccio di Boninsegna ad Arnolfo di Cambio, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Pinturicchio, Luca Signorelli, i caravaggeschi fino al barocco di Pietro da Cortona e Bernini. E la novità della sala dedicata al contemporaneo con Gerardo Dottori, Pietro Dorazio e due tele di Alberto Burri.
    ''E' una storia dell' arte quasi completa'', commenta compiaciuto il direttore Marco Pierini. Alleggerire è stata la parola d' ordine degli interventi. Il numero delle opere esposte è passato da 280 a 235, togliendo pezzi 'ripetiviti' del Cinquecento e integrando con lavori dai depositi o ottenuti in comodato anche dall' estero. Il bianco delle pareti dà ora nuova luce agli ambienti. Ma l' operazione di restyling non è stata facile. ''Abbiamo allestito nel peggior momento possibile prima per la pandemia e poi per la guerra - spiega all' ANSA il direttore - perché oltre al blocco dei lavori sono aumentati i prezzi di tutti i materiali e i tempi delle forniture si sono dilatati. Pensavamo di riuscire a completare i lavori in nove mesi, ne abbiamo impiegati 12''. Il risultato premia gli sforzi.
    Il visitatore segue ora un percorso obbligato nelle 39 sale della Galleria in cui si snoda il racconto che comincia con le sculture di Arnolfo di Cambio e Nicola Pisano e i bronzi della Fontana Maggiore della città. Segue ''l' azzardo'' contemporaneo voluto da Pierini affidando allo scultore Vittorio Corsini la ricostruzione delle due vetrate perdute di San Costanzo e San Lorenzo nella Cappella dei Priori, affrescata da Benedetto Bonfigli tra il 1450 e il 1470 con la 'fotografia' della Perugia dell' epoca. La prima delle due sale - prima erano sette - dedicate a Pietro Vannucci, il Perugino, che il direttore definisce scherzosamente 'il pittore noioso più divertente del mondo'', accoglie le sue opere giovanili, con la Pietà del Farneto, datata 1472, la sua prima conosciuta, le Tavolette di San Bernardino, l' Adorazione dei Magi, e la celebre Annunciazione Ranieri. Un' altra chicca, è la stupenda sala dai grandi finestroni lasciata vuota perché si guardi verso l' alto per ammirare gli affreschi e il soffitto prezioso. A rendere orgoglioso il direttore è il sistema ''unico al mondo, pensato da noi e realizzato dalla ditta Arguzia di Benevento'', che grazie a un braccio meccanico su una base di acciaio consente a di allontanare senza sforzo dal muro le molte opere su tavola di grandi e medie dimensioni per controllare e intervenire facilmente sul retro. Sulla parete di uno dei corridoi l' artista Roberto Paci d'Alò ha tracciato sul percorso del Tevere la 'linea del tempo' del territorio, dal 1236 data della prima opera esposta in galleria, al 1961, prima marcia della Pace promossa dal filosofo Aldo Capitini, antifascista e antesignano della non violenza vissuto nel palazzo. Ecco poi la sala con le copie delle opere di Raffaello, che dal 1502 al 1506 fu a Perugia e realizzò capolavori, tra cui la Deposizione Baglioni, oggi alla Galleria Borghese, a Roma, perché il cardinale Scipione Borghese nel 1608 la fece rubare dalla Chiesa di San Francesco al Prato. A Pierini piace ricordare che la Galleria è l' unico museo nazionale nato civico e ospitato in un palazzo sede del comune. Al primo piano c' è l' ufficio del sindaco e si riunisce il consiglio, e questo spiega il legame così forte con i perugini. Il 2019, l' ultimo anno da considerare prima dell' emergenza Covid, ha segnato il picco di 98 mila spettatori.
    ''Nel 2023, lo dico con un po' di sfrontatezza, puntiamo a 120-130 mila persone - si augura il direttore - anche perché sarà tutto per il Perugino. Celebreremo il quinto centenario della sua nascita con una grande mostra''. (ANSA).

Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale

Rassegna a Perugia. Arte. Bolle di sapone. Il gioco e la vanitas

«Le conquiste di Napoleone» (disegno satirico d'epoca, particolare).
Avvenire

Un bus nella periferia di Milano viaggia apparentemente tranquillo con a bordo cinquantuno ragazzini. All’improvviso l’ombra della tragedia si stampa sulla vettura: l’autista, senegalese, minaccia di uccidere tutti i bambini come gesto cruento verso la politica del governo italiano su chi arriva dal mare: «Oggi da qui non esce vivo nessuno», dice, dopo aver cosparso di benzina il bus. Tutto sembra appeso a un filo, ma la prontezza di alcuni ragazzini del bus che non si sono fatti prendere dal panico e l’intervento delle forze dell’ordine sventa l’epilogo funesto. Tutti vivi e fieri del modo con cui sono stati protagonisti nello sconfiggere la minaccia (con tanto di comparsate televisive del tipo “che fenomeni!”). Sarebbe quasi un apologo a lieto fine se non fosse tutto vero. Tre giorni dopo mi trovo sulla strada verso Perugia quando una persona a me cara mi invia un sms tristissimo dove mi dice che due ragazzi di Bologna, due fratelli di una famiglia keniota da molti anni in Italia, sono morti cadendo dall’ottavo piano di un condominio nella periferia. Andavo a Perugia per vedere la mostra di cui oggi parlerò, il cui tema “figurativo” sono le bolle di sapone come simbolo della relazione tra vanitas arte e scienza e come “forma dell’utopia”. Il fatto è che all’origine di quel gioco, che prese piede proprio fra i bambini, quando nel XVI secolo si diffuse il sapone in Europa, c’è un’allegoria tragica: quella dell’uomo bolla che già lo scrittore latino Marco Terenzio Varrone, nella seconda parte del II secolo a.C. aveva così sentenziato: «L’uomo è una bolla, tanto più se è vecchio» e a lui s’ispirò Erasmo diciassette secoli dopo quando negli Adagia ribadiva: «Homo bulla est», motto che, scrive nel catalogo (Silvana) Veruska Picchiarelli stilando la scheda del dipinto di anonimo olandese Quis evadet?, avrebbe fatto da viatico all’iconografia dell’uomo bolla che si affermerà proprio in quel secolo, il Cinquecento. 
Questo lo schema iconografico riassunto dalla studiosa: «Un putto sorridente intento a soffiare bolle di sapone, apparentemente ignaro di essere condannato a durare poco più delle sfere iridescenti prodotte nel suo gioco, come ammonisce l’iscrizione “Homo bulla” vergata alle sue spalle». Il titolo dell’opera infatti chiede: “chi sarà risparmiato?”. La domanda, pensando ai due fatti da cui ho iniziato questa nota, è raggelante. In un caso tutti salvi, nell’altro due ragazzini che fanno un volo di quasi trenta metri e si schiantano al suolo (e forse, come pare, per un fatale incidente, occorso perché, messi in punizione dal padre, stavano cercando di “evadere” attraverso la fuga rocambolesca da un balcone). In un caso, dunque, l’esile filo di fumo che siamo regge il peso del fato mentre nell’altro si spezza. Un segreto scritto nell’iconografia antica delle bolle di sapone. 
Nella mostra di Perugia un bel dipinto attribuito all’olandese Gerrit Dou, attivo in pieno Seicento, raffigura Due ragazzi che soffiano bolle di sapone di cui, come scrive Carla Scaglioni, esiste una replica databile circa alla metà del secolo, che aveva a pendant il ritratto di un fumatore (tabacco e sapone arrivarono in Europa più o meno contemporaneamente tra XV e XVI secolo). Per questo, osserva la studiosa, la valenza allegorica sembra certa e allude alla transitorietà della vita e alla vanitas dei godimenti terreni. L’accostamento fra bolle di sapone e fumo «elementi inconsistenti e fugaci, legati alla metafora della dissoluzione della materia (e del corpo) e quindi della morte» non è affatto casuale. Dou, da almeno mezzo secolo, è considerato l’inventore di questo soggetto dei due ragazzini (e varianti) che poi ha ispirato altri pittori arricchendosi di molteplici elementi iconografici. E il tema incontrò parecchio il gusto dell’epoca e a seguire, se è vero che, come osserva ancora Carla Scaglioni, se ne trovano altri esempi fino agli inizi del Settecento. In mostra lo si ritrova in un dipinto di Domenicus van Tol, dove compare in primo piano un cane addormentato, e in quello di Pieter Cornelisz proveniente dagli Uffizi.
Karel Dujardin, «Ragazzo che soffia bolle di sapone» (1663, particolare)
Karel Dujardin, «Ragazzo che soffia bolle di sapone» (1663, particolare)
D’impostazione diversa, ma splendido per contrappunto fatale fra la bolla di sapone tenuta da un ragazzo nella mano sinistra e quella, ancor più grande, collocata nella valva di una conchiglia su cui si regge in equilibrio, il quadro di Karel Dujardin. Ispirato probabilmente al Cristo Bambino stante sul Globo di Antoon Van Dyck, è un’«allegoria della transitorietà e della brevità della vita umana». Dujardin, olandese che soggiornò negli ultimi tre anni di vita in Italia, dove morì a Venezia, era pittore colto, forse anche membro dell’Accademia di pittura di Haarlem, come ricorda Veruska Picchiarelli; il sorriso del ragazzino dai capelli biondi con tanti boccoli, osserva la studiosa, è un segno manifesto della sua incoscienza: «volgendo le spalle al porto e allontanandosi dalla riva, egli ride mentre gioca a soffiare bolle di sapone e non si accorge delle minacciose nuvole all’orizzonte e del mare sempre più increspato, ad annunciare una tempesta della quale è scontato l’esito». 
Ma ecco la morale: il fascino iridescente dei colori corruschi che la superficie della bolla cattura, incanta e spinge l’uomo, per amor di meraviglia e di bellezza, a sfidare la propria precarietà, quasi dimenticandosene. Più o meno nella stessa epoca Newton studiava le rifrazioni dei raggi sulle bolle di sapone, approfondendo i problemi dell’ottica e segnando la strada all’utilizzo sperimentale delle lamine saponate che nell’Ottocento, come ricordaMichele Emmer, saranno un modello empirico per affrontare vari problemi matematici e fisici. Ma non è qui che la bolla di sapone trova la sua piena collocazione nella conoscenza; essa resta allegoria della nostra finitezza e dell’essere la vita una realtà soffice, delicata e quasi inafferrabile nel suo alito; allo stesso modo della materia lieve da cui nasce, gonfiandosi di un respiro, il miracolo di una bolla che sotto la luce riflette il mondo sul quale si eleva. È davvero il miracolo della vita, la sua eterea ma potente sostanza pneumatica, che dovrebbe spingerci non soltanto ad avere di essa una considerazione retta sulla prudenza, per quanto protesa nell’azzardo, ma anzitutto a proteggerne la durata. Quanto più l’essere è fragile tanto più è prezioso e il modo di trattarlo deve esserne consapevole.
Cagnaccio di San Pietro, «Bolla di sapone» (1927)
Di quello che era un “caso serio” vestito di un’apparenza ludica si è persa con l’avanzare della modernità e con l’imporsi delle forme pubblicitarie la sostanza tragica, che pure resta intonsa nel significato simbolico (i bambini giocano con la meraviglia, ma anche loro vedendo le bolle che salgono verso il cielo e a un certo punto scompaiono vanificando la materia di cui son fatte, provano rammarico, ed è giusto che sia così, che generi in loro un dispiacere infantile da allontanare subito dopo con un nuovo soffio dentro la cannuccia). Tra Otto e Novecento le bolle di sapone diventano attributo di leggiadre signore, come fanno vedere i dipinti di Ranvier e Carcano, o le réclame di saponi industriali, dove magari (è il più spiritoso e meno scontato) Lancillotto trafigge una bolla che tuttavia pare immune dal suo fil di spada, come si vede nella pubblicità del sapone Paff-Seife disegnata da Maga. C’è ancora un’ombra di tragicità invece nel dipinto di Max Beckmann immerso nella pesantezza di un pensiero triste e malinconico; che diventa humour nero nella pipa da cui esce una grande bolla in Ce qui manque à nous tous di Man Ray (e qualcosa, forse, fa eco l’ampolla da chimista cui Duchamp impose il titolo Aria di Parigi). Durezza contro fragilità: la bolla di sapone ingaggia la sua lotta vittoriosa nel segno della libertà che vola oltre i muri, nella fotografia di Günter Zint Il ragazzo che vive nei pressi del Muro( 1963). Il bambino col suo alito genera decine di bolle, mentre sul Muro si vedono in grande le lettere KZ: era già la sigla di un campo di concentramento berlinese nel quale le SS rinchiudevano prigionieri destinati a fare il lavoro di sgombero delle macerie dopo i bombardamenti. Nella storia, come si sa, tout se tient, e una bolla di sapone può essere più forte di un muro di segregazione. 

Novità del Movimento Turismo del Vino: CONFERENZA INTERNAZIONALE ENOTURISMO 2012 a Perugia

ATTESI IN UMBRIA 40 PAESI PER LA CONFERENZA INTERNAZIONALE ENOTURISMO 2012

(Servizio in  preparazione sulla web radio)

Amici del Movimento le iscrizioni all'International Wine Tourism Conference & Workshop sono ancora aperte, pertanto vi invitiamo tutti a partecipare
Degustazioni, press tour, case history da tutto il mondo, workshop per più di 300 professionisti, tra tour operator, aziende, giornalisti, blogger e player dell’enoturismo provenienti da 40 Paesi. Questi i numeri attesi per la 4^ Conferenza Internazionale sul Turismo del Vino (Perugia, 30 gennaio - 2 febbraio 2012) l’evento che tra un mese farà tappa in Umbria e per la prima volta in Italia, grazie alla partnership tra l’organizzatore Wine Pleasures e il Movimento Turismo del Vino Italia, con le sue mille cantine italiane associate. Nell’iniziativa – che vede anche la partecipazione della Regione Umbria attraverso l’Apt Umbria - si farà il punto sugli strumenti per promuovere un’economia che in Italia vale 5 miliardi di euro e che non conosce crisi. Secondo la presidente del Movimento Turismo Vino, Chiara Lungarotti:  “Il vino è un prodotto sempre più globale. Anche la promozione dell’enoturismo, che è la vetrina del settore, deve seguire la stessa strada. Per intercettare nuovi pubblici – ha continuato la presidente Lungarotti – è indispensabile perciò puntare anche sugli strumenti offerti dai nuovi media. Promozione sul web 2.0 e app per smartphone e tablet sono elementi ormai centrali quanto la qualità del vino e dell’accoglienza”.
Ed è proprio sui nuovi media – lo strumento usato dal 30% degli enoturisti italiani per organizzare la propria vacanza (dati Città del Vino – Censis 2011) – che si concentreranno diverse relazioni previste nelle 5 sessioni plenarie. Strade del Vino 2.0., realtà aumentata, Twitter, sono solo alcuni degli argomenti della conferenza, dove interverranno anche l’assessore alle Politiche Agricole e Agroalimentari della Regione Umbria, Fernanda Cecchini, il direttore del Centro Estero Umbria, Massimiliano Tremiterra e dell’assessore alle Politiche Agricole della Regione Puglia, Dario Stefàno. Numerose le degustazioni in programma, con esperti da tutta Europa: dall’Italy Grand Tasting, a cura del ‘Master of Wine’, Jane Hunt (30 gennaio ore 19.00) alla degustazione “Tutta Puglia” a cura di MTV Puglia (31 gennaio ore 17.00) al tasting vini passiti MTV Umbria (1 febbraio ore 18:30), alle cene a tema Croazia e Umbria. Focus inoltre su territori con gli educational tour dedicati a tour operator e giornalisti per conoscere le eccellenze di Toscana, Campania e naturalmente dell’ Umbria, con le sue 190 cantine di cui 62 socie del Movimento Turismo del Vino. Il 2 febbraio la domanda internazionale incontrerà l’offerta umbra nel Workshop sul Turismo del Vino (Sala Podiani- Galleria Nazionale dell’Umbria ), realizzato in collaborazione con la soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria: una piattaforma per promuovere i territori attraverso la vendita pacchetti enoturistici, prodotti del turismo eno-gastronomico e servizi correlati.
Per info www.movimentoturismovino.it e www.iwinetc.com.
Tra i patrocini e i partner dell’evento: Regione Umbria, Assessorato Agricoltura, APT Umbria, Centro Estero Umbria, Camera di Commercio Umbria,Comune e Provincia di Perugia, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell'Umbria, Coordinamento delle Strade del Vino, La Bottega di Olivia&Marino, 2.0


per i dettagli del programma:
conference programme
social programme
tour operator programme

Per contatto:
InterCOM
Ufficio stampa Conferenza Internazionale Turismo del Vino e Workshop (IWINETC) 2012 per MTV
Ilaria Koeppen 334.3486392 koeppen@agenziaintercom.it
Simone Velasco 339.5818511 simovela@gmail.com
tratto da http://www.movimentoturismovino.it

UMBRIA JAZZ 2010: INTERESSATI 17 MLN ITALIANI, 15MO EVENTO NAZIONALE



Perugia, 10 lug - E' partita con il concerto di Mario Biondi e gli incognito Umbria Jazz 2010. Il successo di pubblico gia' verificabile nel capoluogo, conferma, secondo l'organizzazione, la ricerca ''Sponsor Value - Cultura e Spettacolo'' realizzata da StageUp Sport & Leisure Business e Ipsos, secondo la quale nel 2009 ha interessato 17 milioni di italiani quasi 80mila in piu' rispetto al 2008. Al 15* posto nella classifica degli eventi piu' seguiti a livello nazionale, l'evento di Perugia e' primo fra quelli organizzati in Umbria . Secondo lo studio, gli italiani interessati all'evento, nato nel 1973 , sono equamente distribuiti fra uomini e donne, in prevalenza giovani e adulti dai 25 ai 44 anni (54%), impiegati (28%), di cultura mediamente molto elevata (il 19% di essi e' laureato). La kermesse e' particolarmente seguita anche da imprenditori, dirigenti, liberi professionisti (11%), commercianti e artigiani (6%). L'analisi di StageUp e Ipsos sottolinea come la crescita di interesse di Umbria Jazz fra il 2008 e il 2009 sia in linea con quella di altri festival dello stesso genere, confermandosi, rispetto ai dati diffusi anche dall'Osservatorio Regionale sul Turismo dell'Umbria, un evento a forte fidelizzazione dei visitatori e con elevate potenzialita' in termini di ripercussioni sul territorio soprattutto per quel che riguarda il settore turistico.

''Umbria Jazz - ha detto Giovanni Palazzi, presidente di StageUp - e' fra gli eventi di spicco della cultura italiana e un esempio di come una manifestazione culturale possa fungere da traino per lo sviluppo di un intero territorio.

L'evento ha elevati margini di crescita per ampliare il bacino di interessati e di sponsor oltre il Centro Italia e per incontrare ancor piu' le esigenze dei turisti soprattutto stranieri''.