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Gallura e Sulcis da scoprire sugli ex tracciati ferroviari

 

CAGLIARI - A piedi o in bici, lungo i tracciati di ferrovie storiche non più in uso. Vecchi cammini ferrati dove i rumori della natura hanno preso il posto dei fischi del macchinista e dello sbuffare delle locomotive a vapore. In "Vie Verdi" la giornalista e autrice di reportage Ornella D'Alessio conduce nel cuore della Gallura sulla Calangianus-Monti e nel sud ovest della Sardegna sulla Carbonia-Sant'Antioco-Calasetta, tra scenari naturalistici, ponti, passaggi a livello, memorie, archeologia. Sono due tra i venti tracciati italiani ferroviari dismessi raccontati nel suo libro-guida edito da Cinquesensi, con la loro storia e il riuso in chiave turistica come percorsi ciclabili. In tutto 208 pagine arricchite da foto in bianco e nero, strumento prezioso per incoraggiare un turismo lento e sostenibile legato al mondo delle rotaie.

La Calangianus-Monti è una passeggiata o pedalata sulle tracce della prima linea pubblica a scartamento ridotto ad entrare in servizio in Sardegna nel 1888 in contemporanea alla Cagliari-Isili. Quaranta chilometri in uno straordinario contesto naturalistico ai piedi del Monte Limbara. Suggestivo il passaggio tra pareti granitiche, o l'incanto di sorgenti, querce da sughero, ginepri, cisti, lecci, mirti e lentischi, immersi in profumi di stagione. Verso Monti, guardando a est, si possono vedere costa e mare e il colpo d'occhio arriva fino alle cime dell'isola di Tavolara. Ai lati del tragitto le case cantoniere numerate. La prima parte del percorso è attrezzata per la ginnastica a cielo aperto.

Subito 'sapore' di antichi mestieri con il tracciato Carbonia-Sant'Antioco-Calasetta. Appena si parte dopo 500 metri appaiono le due torri dei due pozzi principali della miniera di Serbariu. Si estende per 27 chilometri in pianura il tratto ciclabile, ricalcato sulla vecchia ferrovia. In asfalto ecologico color mattone, corre parallelo alla statale 126 tra oleandri, olivastri, eucaliptus, bassa macchia mediterranea, filari di Carignano, vitigno tipico del Sulcis, e vecchie case cantoniere abbandonate. E tra i siti spicca la centrale termoelettrica di Santa Caterina, a San Giovanni Suergiu.

Dall'Archeologia industriale ai segni più antichi della storia con i menhir Su Para e Sa Mongia, ribattezzati il frate e la suora, le ex Saline di Stato e a Sant'Antioco il ponte romano Pontimannu. 

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Turismo o carbone, dilemma del Sulcis ‎


Il Sulcis Iglesiente, tutto carbone e metalli fusi, non c'è più. Quella storia del Novecento italiano, fatta di una totalizzante monocultura estrattivo-metallurgica, è archiviata. Comunque vada a finire la vicenda della Carbosulcis. E anche se si trovasse un compratore per lo stabilimento di Alcoa. Ora, con urgenza drammatica, inizia a prospettarsi il problema dello sviluppo strategico di uno dei territori con l'economia più sfibrata e con la struttura sociale più logorata del nostro Paese. E, qui, si confrontano due opzioni differenti: quella di una ipotesi neo-manifatturiera ben temperata, perché inserita in un portafoglio di attività distinte e complementari (per esempio il turismo), e quella radical-terziaria, che ritiene ormai obsoleta l'industria pesante e punta solo sul turismo, la vera miniera inesplorata nel cuore del Mediterraneo. «Il Sulcis Iglesiente – asserisce Salvatore Cherchi, presidente della Provincia e per dieci anni sindaco di Carbonia – ha competenze manifatturiere significative. Perché rinunciarvi? L'importante è impostare una diversificazione produttiva in grado di valorizzare prima di tutto settori vicini all'industria, come le energie alternative. E, poi, fra le altre cose, guardare al turismo, che è fondamentale». Cherchi è un ingegnere minerario, ex del Pci, che in parlamento è stato relatore per il governo Prodi della finanziaria per l'ingresso nell'euro. Dunque, nella sua visione, prova a contemperare tradizione e modernità. Gli operai (in carne e ossa) e gli specialisti della green economy (per ora auspicati). Più, naturalmente, i servizi. Quanti invece vorrebbero tirare una riga sul Sulcis delle fabbriche e delle gallerie sono ben rappresentati da Roberto Frongia, giuslavorista e, dal 1999 al 2004, assessore regionale al turismo nella giunta di centro-destra. Frongia appartiene alla piccola formazione dei Riformatori Sardi, un gruppo legato a Mario Segni e al movimento referendario degli anni Novanta. «Non possiamo rimanere appesi alle decisioni delle multinazionali – dice – dobbiamo ripartire da noi stessi e dalla nostra terra. Si creino percorsi di flex security per chi esce dalle grandi fabbriche e dalle gallerie. Ma si scelga soprattutto il turismo. Al massimo, il vecchio Sulcis può restare nell'archeologia industriale delle miniere ripensate per i turisti». Dunque, con maggiore o minore intensità e esclusività, tutta la classe dirigente locale giudica il turismo il nuovo oro. In questo settore, però, molto va fatto. La provincia di Carbonia Iglesias ha 55 alberghi, il 7% dell'intera isola. I posti letto sono 2.622, soltanto il 3% del totale sardo. Meno di 50 posti letto per struttura. Ogni anno sono non più di 55mila le persone che vengono qui a fare le vacanze (il 2,4% degli arrivi sull'isola) con una permanenza media di 4,5 giorni a testa (sotto le 250mila giornate, il 2% del totale sardo). Secondo l'Istat il valore aggiunto creato dal turismo nel Sulcis Iglesiente è inferiore ai 30 milioni di euro l'anno. E, stando a un trend strutturale precedente alla recessione, fra il 2001 e il 2008 è sceso dello 0,8% all'anno, mentre in tutta la regione è cresciuto di oltre l'uno per cento. In pochi conoscono il mare di Pan di Zucchero, Cala Domestica e Porto Pino. E, nell'entroterra, il Tempio di Antas, con le sue suggestioni puniche e nuragiche, e Marganai Oridda, una delle foreste più antiche d'Europa. Luoghi con una rilevante potenzialità turistica, dove però bisognerebbe arrivare con più facilità di oggi. Per esempio, la strada statale 126, che collega Carbonia, Iglesias e Sant'Antioco, andrebbe sistemata. «Servirebbero 166 milioni di euro», afferma Frongia. Oltre che a spostarsi, nel Sulcis Iglesiente, bisogna anche arrivare. «Il porto di Sant'Antioco – dice Cherchi – va trasformato da attracco industriale a punto di sbarco per i turisti». Infrastrutture materiali, ma anche culturali. «Abbiamo sempre fatto i minatori e gli operai – nota Frongia – dunque dobbiamo imparare l'arte e la professione dell'accoglienza. Non è una cosa semplice. Ma è l'unica strada». Naturalmente, turismo significa ambiente. In una delle zone d'Italia che ha più sofferto l'impatto dell'industria primaria. Qui è prodotto il 65% dei rifiuti speciali di base di tutta l'isola. E, se davvero si vuole puntare sul turismo, al di là dell'esito della vicenda Alcoa, qualcuno prima o poi dovrà capire se va tutto bene nell'acqua e nella terra intorno a Portovesme.

LE CRITICITÀ DEL TURISMO

Infrastrutture carenti
Per poter puntare sul turismo la provincia di Carbonia e Iglesias deve dotarsi anche di infrastrutture adeguate. Per esempio, la statale 126 che collega Carbonia, Iglesias e Sant'Antioco ha bisogno di interventi per 166 milioni
Ricettività scarsa
Anche sul fronte della ricettività le cifre lasciano a desiderare: la provincia conta 55 alberghi, pari al 7% dell'intera isola; mentre i posti letto sono 2.622, pari ad appena il 3% del totale della Sardegna. In pratica, meno di 50 posti letto per struttura
Vacanzieri di nicchia
Non superano le 55mila unità le persone che ogni anno si recano nella provincia per trascorrere le vacanze, con una quota del 2,4% sugli arrivi complessivi sull'isola. La permanenza media è di 4,5 giorni a testa
Valore aggiunto basso
Secondo l'Istat, il valore aggiunto del turismo nell'area è inferiore ai 30 milioni annui
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