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Pellegrini a Gerusalemme: è qui la patria dell'homo viator

 

Pubblichiamo alcune delle pagine conclusive di Fra cielo e Terra. Gerusalemme e l’Occidente medievale (Carocci) di Antonio Musarra, docente di Storia medievale alla Sapienza di Roma.

Come tema storiografico, il rapporto tra Gerusalemme e l’Occidente medievale è apparentemente inesauribile. Per non parlare delle implicazioni sugli altri cristianesimi, quelli orientali, ovvero sulle altre fedi abramitiche. Siamo di fronte a uno snodo essenziale dell’autocoscienza cristiano-occidentale, per quanto tale espressione possa apparire problematica. Certo, la Gerusalemme albergante nel nostro immaginario è una costruzione culturale, posta progressivamente in essere nell’Occidente medievale. Nella Città terrena, così come in quella celeste, è andato specchiandosi, a lungo, il desiderio di trascendenza dell’homo europaeus. Tale desiderio fu tanto importante da spingere ad appropriarsi della sua sacralità, traslandone forme e immagini vicino a sé. V’è da chiedersi, dunque, se tale moto d’appropriazione sia proprio anche di altre forme culturali e religiose.

Un’analisi di questo tipo non è ancora stata fatta, benché la Città Santa sia stata al centro di studi molteplici. Vale la pena, pertanto, limitarsi a qualche osservazione partendo da quello che risulta essere il fenomeno più ampio e vistoso: il pellegrinaggio; per le religioni abramitiche – profondamente sorelle, nonostante secoli di violenze e incomprensioni – una grande esperienza di fede, che si realizza nel tentativo di raggiungere i “luoghi” di Dio, quegli spazi in cui epifanicamente riverbera la presenza di Colui che, secondo le Scritture, avrebbe deciso di mettere la sua “tenda” tra di noi (Es 40,34-35). Non siamo di fronte soltanto a una splendida metafora spirituale; ma a qualcosa di molto concreto. Lungo il cammino, la persona sperimenta nuovi modi di percorrere l’esistenza, nuove forme nelle relazioni, un nuovo modo di guardare e pensare sé stessa, favorito dal movimento, dal flusso, dalla lontananza, dal sentirsi “decentrati”.

Salire a Gerusalemme è un’esperienza dello spirito, interpretabile in maniera differente ma accomunata dal sostrato umano che unisce tutti i popoli, al di là delle differenze di credo. Certamente, parlare di spazi in rapporto con Dio può creare qualche problema. Non è, forse, vero che non c’è luogo dove Dio non si possa incontrare? Per la maggior parte delle religioni, il divino è ugualmente presente in ogni angolo dell’Universo; il mondo intero può considerarsi “tempio” della sua presenza. Ciò non toglie, tuttavia, che, come il tempo può essere scandito da momenti speciali di grazia, in modo analogo lo spazio possa essere segnato da particolari interventi salvifici. Tutte le religioni hanno avuto questa intuizione; in tutte le religioni troviamo tempi e spazi sacri nei quali l’incontro con l’Altro (o con l’Alto) può essere sperimentato in modo più intenso di quanto non avvenga abitualmente.

La sacralizzazione d’un luogo dipende dalla misura in cui esso esprime la specificità dell’intervento di Dio. L’Israele biblico, progressivamente cosciente di ciò, concentrò poco alla volta lo spazio sacro nel Tempio di Gerusalemme. Ancora oggi, gli occhi dei suoi figli si volgono a ciò che di esso resta: «Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme» (Sal 122 [121],1-2).

Per i musulmani, il pellegrinaggio alla Mecca – sovente, dopo aver visitato al Quds – è un mezzo di purificazione. Nel viaggio verso e attorno la casa di Dio, l’uomo può chiedere perdono per i suoi peccati e venire mondato a motivo del proprio pentimento. Dopo il pellegrinaggio, il credente porta il titolo meritorio di Hajji – dall’arabo ḥājj, participio attivo del verbo ḥajja (“fare il pellegrinaggio”) –, impegnandosi ad attendere a una vita maggiormente devota.

Per il cristiano, la concentrazione dello spazio sacro ha il suo culmine in Cristo, nuovo “tempio” (Gv 2,21), in cui abita la «pienezza della divinità» (Col 2,9). Secondo Paolo anche la Chiesa è “tempio” (1Cor 3,17), e lo è persino ciascun discepolo del Cristo, in quanto abitato dallo Spirito Santo (1Cor 6,19; Rm 8,11). Il pellegrino, pertanto – l’homo viator per eccellenza – è colui che è straniero su questa Terra, giacché egli è cittadino del Cielo; l’intera sua vita è un pellegrinaggio verso la patria celeste. Tutto ciò, evidentemente, non esclude che i cristiani possano avere luoghi di culto; è necessario, tuttavia, ch’essi ne comprendano il carattere funzionale, nella consapevolezza che la presenza di Dio non possa essere racchiusa in nessun luogo. Tale tensione si manifesta già nei testi evangelici. Con tutta probabilità, è su di essa che il Medioevo poggerà quel desiderio di traslazione della sacralità gerosolimitana in Occidente di cui si è detto.

Ancora una volta, tuttavia, va sottolineato quanto la dimensione celeste e quella terrestre restino inscindibili, caratterizzando, di fatto, l’approccio cristiano alla Città Santa. È quanto rammenta, del resto, in tempi più recenti, un pellegrino d’eccezione: uno dei “grandi” del Novecento, Giovanni Paolo II. Giunto in Terrasanta nel 1963, il giovane Karol Wojtyła scrisse parole ricche di emozione che compendiano il senso del pellegrinaggio cristiano: «Giungo in questi luoghi che Tu hai riempito di Te una volta per sempre […]. O luogo! Quante volte, quante volte ti sei trasformato prima che da Suo divenissi mio! Quando Egli ti riempì la prima volta, non eri ancora nessun luogo esteriore, eri soltanto il grembo di sua Madre. Oh, sapere che le pietre su cui cammino a Nazaret sono le stesse che il suo piede toccava quando era ancora Lei il Tuo luogo, unico al mondo. Incontrarti attraverso una pietra che fu toccata dal piede di Tua Madre! O luogo, luogo di Terra Santa – quale spazio occupi in me! Perciò non posso calpestarti con i miei passi, debbo inginocchiarmi. E così attestare oggi che tu sei stato un luogo d’incontro».

Recarsi in spirito di preghiera da un luogo all’altro, da una città all’altra, negli spazi particolarmente segnati dall’intervento di Dio, aiuta l’uomo contemporaneo non soltanto a vivere la vita come un cammino, ma a dargli plasticamente l’idea di un Dio che lo ha anticipato, che lo precede, che si è messo Egli stesso in cammino sulle strade dell’uomo. Il Dio dei cristiani – ma, potremmo dire, il Dio di Abramo – è, dunque, uno straordinario compagno di viaggio. Del resto, nei Vangeli, Gesù stesso è presentato come sempre in cammino da un luogo all’altro per annunciare la vicinanza del regno di Dio. «Venite, saliamo sul monte del Signore» (Is 2,3), dunque. La parola di Isaia, che immaginava un pellegrinaggio ideale nella cornice d’un ritorno dei popoli alla propria sorgente, conclude idealmente questo itinerario, nella speranza che l’uomo di oggi avverta sempre più pressante il richiamo a riscoprire la storicità delle proprie radici, antidoto efficace per il rispetto di quelle altrui.

avvenire.it

Camminare in Emilia Romagna nel 2023. C'è solo l'imbarazzo della scelta!

 

Tante le attività e le esperienze, dalle passeggiate di avvicinamento alle camminate di più giorni, lungo i Cammini dell'Emilia Romagna.  Vieni a trovarci presso lo stand dei Cammini e Vie di Pellegrinaggio dell'Emilia Romagna per scoprirle.

Dove? Presso "Fa la Cosa Giusta" dal 24 al 26 marzo 2023 a FieraMilanoCity. 

Ti asperttiamo anche il 25 marzo 2023 dalle 13:00 alle 14:00 ( presso la Piazza dei Grandi Cammini) all'appuntamento "Camminare in Emilia Romagna. Primavera Estate Autunno 2023: esperienze ed attività lungo i Cammini dell'Emilia Romagna" dedicato alle esperienze e proposte del 2023 in compagnia dei referenti dei Cammini e degli operatori regionali.

Curiosità ed esperienze nel 2023 lungo la via Francigena, la Via Matildica del Volto Santo, la via di Linari, il Sentiero dei Ducati, la via Romea Germanica Imperiale, la via Romea Strata, la via Romea Nonantolana, la via Mater Dei, la via degli Dei, la via della Lana e della Seta, il Cammino di Sant'Antonio, la via Romea Germanica, il Cammino di Dante,  il Cammino di San VIcinio, il Cammino di San Francesco da Rimini a La Verna e molto altro...prepara il tuo zaino!

 

Fa la Cosa Giusta, Pad. 3 stand Mb22, Fiera Milano City

in https://camminiemiliaromagna.it/

Via Francigena: candidatura a patrimonio Unesco sostenuta da quattro Paesi

Regno Unito, Francia, Svizzera e Italia chiedono il riconoscimento di “patrimonio mondiale” per la millenaria via dei pellegrini che attraversava il cuore dell’Europa. Intanto il cammino viene riscoperto da un numero crescente di turisti
Un tratto italiano della Via Francigena

Marco Guerra – Città del Vaticano
Prosegue l’iter della candidatura della Via Francigena a Patrimonio dell’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura). Entro l’autunno verrà presentato e condiviso con i quattro ministeri di beni culturali di Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Italia (i Paesi lungo i quali si snoda l’itinerario) lo studio tematico europeo sul riconoscimento della Francigena come patrimonio mondiale. Il dossier per la candidatura a Patrimonio dell’Unesco è stato già approvato dal ministero dei Beni Culturali italiano, dopo l’accordo tra le sette Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Liguria, Lazio, Valle d’Aosta, con il coordinamento della Toscana) attraversate dall’itinerario.

Una via nel cuore dell’Europa

La strada, che attraversa il cuore dell’Europa Occidentale da Canterbury a Roma, nel Medioevo era percorsa dai pellegrini che dall’Inghilterra e dalla Francia volevano recarsi alla Basilica di San Pietro o proseguire verso la Terra Santa imbarcandosi nei porti della Puglia. Fu anche un tragitto commerciale per trasportare le merci dell’Oriente nelle fiere del Nord Europa. L’enorme valore spirituale, storico e culturale di questo cammino viene rivissuto ogni anno da decine di migliaia di pellegrini e di turisti che percorrono almeno una parte del tracciato.

La “riscoperta” del cammino

“Oggi la Francigena è stata riscoperta e reinterpretata come moderna via di pellegrinaggio”, ha detto, intervistato da Vatican News, Luca Bruschi direttore dell’Associazione Europea delle Vie Francigene, che ci ha aggiornato anche sullo stato della procedura necessaria per il riconoscimento dell’Unesco:
R. – L’iter di candidatura procede. Dopo lo studio dell’analisi preliminare della candidatura del tratto italiano, presentato lo scorso maggio dalle sette regioni italiane, su suggerimento dell'Unesco e dell'Icomos si è incominciato a ragionare su una candidatura allargata su scala europea, nel senso di prendere in considerazione tutto l’itinerario europeo, cioè da Canterbury a Roma. A che punto siamo ora? Dallo scorso gennaio, un gruppo di lavoro ha portato avanti un’analisi storico-scientifica su uno studio tematico europeo che riguarda i quattro Paesi e i 2.000 chilometri. Questo studio tematico è adesso all’attenzione delle regioni italiane, in particolare della Toscana – capofila di questo progetto di candidatura – e questo studio tematico verrà presentato e condiviso con i quattro ministeri d’Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia in autunno, affinché tutti i ministeri concordino sull’iter che stiamo portando avanti, sulla procedura e sui prossimi passi.
Vogliamo ricordare che cos’è la Via Francigena, l’importanza storica di questa strada che ha collegato il cuore dell’Europa?
R. – La Via Francigena è una via millenaria di pellegrinaggio, di commercio che unisce l’Europa del Nord a Roma, in direzione di Gerusalemme. E’ una via che si rifà al diario dell’arcivescovo Sigerico, quando nel 990 – arcivescovo di Canterbury – annotò le sue tappe nel viaggio di ritorno da Roma, dove andò a ricevere il pallio dal Papa, fino a Canterbury. Quindi, 79 tappe che ha lasciato in questo diario che si trova conservato a Londra alla British Library. E fondamentalmente, oggi è stata riscoperta, reinterpretata come moderna via di pellegrinaggio attraverso quattro Paesi e circa 650 piccoli comuni o villaggi che fanno parte di quell’Europa “minore” e non così conosciuta.
Cosa si incontra, lungo questa strada?
R. – Solo nel tratto italiano ad oggi sono stati identificati circa 350 beni culturali, come centri storici, ponti, antichi casolati romani o chiese o cattedrali, che quindi si inseriscono all’interno di questa candidatura. E c’è tantissimo patrimonio religioso, come possiamo bene immaginare, perché lungo tutto questo itinerario ci sono tantissime pievi, chiese o riferimenti – effettivamente – alle vie di pellegrinaggio che nel periodo medievale, in maniera devozionale, venivano fatte.
Chi percorre, oggi, la Via Francigena?
R. – Lo scorso anno, circa 45 mila camminatori hanno fatto tra i sei e i sette giorni di cammino. Poi c’è chi se la fa tutta e parte da Canterbury e in tre mesi di tempo arriva a Roma, chi invece cammina magari semplicemente il weekend o nei lunghi ponti che ci sono durante l’anno. La Toscana è il tratto che più di tutti è stato strutturato, messo in sicurezza e valorizzato. Questi numeri non riguardano tutti pellegrini e viandanti che arrivano effettivamente a Roma; si tratta di persone mediamente bene istruite o comunque di persone curiose di conoscere il patrimonio e il territorio; persone che mediamente viaggiano con motivazioni di ricerca e motivazioni spirituali. Poi c’è anche chi – per il 10-15% - dice di farlo anche per motivazioni religiose. Per ora, circa la metà sono pellegrini italiani e per l’altra metà vengono dall’Europa o dall’Europa del Nord oppure dalla Corea del Sud, dall’Australia, dagli Stati Uniti, dal Brasile e anche dagli altri continenti.
In un’Europa alla ricerca delle proprie radici, di una identità comune che importanza ha la Via Francigena? Ricordiamo che la candidatura ha carattere transnazionale, quindi le nazioni europee si riconoscono nel suo patrimonio?
R. – Diciamo che fondamentalmente è un progetto che non ha un colore politico, ma è un progetto nato per unire, per costruire ponti e quindi si può semplicemente dire che la Francigena è un ponte di dialogo tra l’Europa del Nord e l’Europa mediterranea, tra l’Europa anglosassone e l’Europa latina. Ed effettivamente è, come si diceva, un ponte di cultura a maggior ragione in un’Europa in cui si fatica, fondamentalmente, a trovare una propria identità. E’ un progetto che ha una grandissima identità culturale nella quale davvero si riconosce anche la natura e la storia dell’Europa.
vaticannews

Quaresima, Settimana Santa e Pasqua al Calvario di Domodossola. Proposta per le parrocchie

Il Rettore, don Pierluigi Giroli,  del Santuario del Sacro Monte Calvario di Domodossola scrive a tutti i Parroci  per sottoporre alla loro cortese attenzione il programma delle celebrazioni del tempo di Quaresima della Settimana Santa e di Pasqua 2018. Con vero piacere ha invitato le comunità parrocchiali  a partecipare e a unirsi nella preghiera alla comunità religiosa del Noviziato Rosminiano della Provincia Italiana di “San Maurizio” venendo in pellegrinaggio, e magari partecipando all’animazio
ne dei riti di questo tempo forte. 

Fin dal lontano 1657 il Sacro Monte Calvario di Domodossola fu luogo di pace, di preghiera e di meditazione.

Il complesso di edifici costruito sulla sommità del colle, con il passare di quei primi decenni dell'ottocento, ritrovò in parte la sua vitalità di casa per ritiri spirituali e luogo di preghiera diventando soprattutto casa di formazione dell'Istituto. Dopo alterne vicende, dal febbraio 1828, con la venuta di Antonio Rosmini divenne la culla dell’Istituto della Carità (Padri Rosminiani) da lui fondato.

Dal 1976 si è ripresa con rinnovato vigore l'ospitalità per quanti desiderassero nella pace e nel silenzio incontrare Dio e coltivare la crescita del proprio spirito nella fede.
Nel 1991, dalla Regione Piemonte è stata istituita anche la RISERVA NATURALE SPECIALE REGIONALE.

Per tutto il tempo di Quaresima, ogni domenica, alle ore 15.00 si può partecipare alla solenne Via Crucis che si svolge lungo la Via delle Cappelle partendo dalla città via via salendo. E' possibile per gruppi parrocchiali animare la Via Crucis e trascorrere la giornata o il fine settimana al Calvario con possibilità di ospitalità, di vitto e alloggio. 

Per approfondire:
www.sacromontecalvario.it

Per info e prenotazioni, telefoni ai contatti:
tel. 0324/242010
cell. 340/3544798
388/9069404 Stefano Novizio delegato dell’accoglienza dei pellegrini e.mail rettorecalvario@hotmail.com
accoglienzacalvario@hotmail.com



Terra Santa: Magdala nuovo sito di pellegrinaggio sul lago di Tiberiade

Con la scoperta di importanti reperti archeologici risalenti al tempo della predicazione di Gesù sulle rive del lago di Tiberiade, Magdala – il paese di Maria Maddalena, oggi Migdal – si avvia a diventare un altro sito di pellegrinaggio in Terra Santa. Qui, ai piedi del Monte delle Beatitudini e poco distante da Cafarnao, i Legionari di Cristo hanno eretto una chiesa e vogliono costruire anche un Centro di accoglienza per i pellegrini. A Gerusalemme, Roberto Piermarini ha intervistato il fondatore del “Magdala Center”, padre Juan Maria Solana, il quale spiega l’importanza delle scoperte archeologiche di Migdal:

R. – Abbiamo trovato innanzitutto, credo, il pezzo più importante: la sinagoga. Una sinagoga del primo secolo, molto ben conservata, una sinagoga ricchissima e, secondo gli archeologi israeliani, eccezionale, che ha l’intera struttura con mosaici ed affreschi. Soprattutto, lì abbiamo trovato l’altare della sinagoga ed è la prima volta che si trova un altare in una sinagoga di quel periodo. È una delle sette sinagoghe più antiche al mondo. Questo altare, una pietra scolpita su tutti i lati, rappresenterebbe – secondo gli specialisti e gli studiosi – il Tempio di Gerusalemme: questa è una novità archeologica assoluta, perché non si era mai trovata una descrizione fisica di com’era il Tempio di Gerusalemme ai tempi di Gesù.
D. – In questa zona, è stata trovata anche quella che definiscono la "barca di Gesù", che si trova in un kibbutz proprio a Magdala…
R. – Effettivamente. Nel 1986, ci fu un anno di siccità ed il lago si ritirò. Sui fondali del lago trovarono questa barca del primo secolo che adesso si conserva e quasi direi che “si venera”, anche se non è accertato che sia di Gesù al 100%. Però, è un richiamo molto forte alla vita di Gesù, ai pescatori, alla vita del lago che è così eccezionale per noi credenti, per coloro che leggono il Vangelo.
D. – In questa zona è stata eretta una chiesa. A chi è dedicata?
R. – Questa chiesa è ispirata a un brevissimo passo del Vangelo di Luca, capitolo 8. Il primo versetto dice: “Gesù predicava”. Questa predicazione noi l’abbiamo “fotografata” nell’altare di questa chiesa che è appunto una barca fatta ispirandosi a quella barca trovata prima e anche a un mosaico molto bello trovato nella proprietà dei francescani a Magdala. Quindi, l’altare è a forma di barca e dietro c’è il lago: è uno spettacolo bellissimo. Luca 8, continua dicendo: “Lo seguivano i Dodici e un gruppo di donne che lo servivano”. Quindi, la Chiesa principale – a parte l’altare a forma di barca – ha 12 colonne con altrettante icone, quindi i Dodici. Poi, ha un atrio antistante dedicato alle donne del Vangelo, molto suggestivo perché l’insieme, oltre a essere molto armonioso, molto bello, è anche molto espressivo di queste donne. Tra l’altro, ha otto colonne e su sette di esse abbiamo scolpito i nomi delle donne che seguivano e servivano Gesù, volendo significare che erano colonne della Chiesa. Non è detto che fossero di seconda classe perché non erano Apostoli: io non lo so, dovremmo approfondire cosa facevano le donne che seguivano Gesù. Ma, secondo me, non solo cucinavano e lavavano i vestiti, ma sicuramente appoggiavano il ministero di Gesù, gli avvicinavano la gente, spiegavano le sue parabole. Erano persone che facevano parte di tutto il collegio che Gesù aveva creato per edificare la sua Chiesa. Quindi, prime pietre vive di questa Chiesa edificata da Gesù, colonne, donne che seguivano Gesù.
D.  Quindi, adesso nei pellegrinaggi in Galilea ci sarà un’altra sosta anche a Magdala che invece prima non veniva considerata?
R. – Infatti, prima si passava solo lungo la strada indicando Magdala, ma si diceva che non c’era niente. Adesso, ci sarà una nuova tappa nei pellegrinaggi dei fedeli che vengono in Terra Santa anche perché è vicinissima a Cafarnao, al Monte delle Beatitudini. Quindi, non bisogna trascorrerci mezza giornata ma si passa di lì per una sosta per ricordare la predicazione di Gesù e per ricordare queste donne, figure bellissime di donne che accompagnavano e appoggiavano il ministero di Gesù. 

Pellegrini all'alba

Galizia, Spagna, aprile 2010 - Ci mettiamo in strada che ancora è notte. Sul Camino Inglés venticinque chilometri a piedi, anche oggi - verso Santiago. La terra dei sentieri è molle di umidità a quest'ora, nei villaggi deserti le imposte serrate. C'è una luna inquieta fra le nuvole, alla cui luce fredda gli alberi spogli sembrano anime ischeletrite. Avanziamo in fila, alla luce delle torce, recitando il Rosario.
Il buio è ancora fondo quando un gallo canta, stridulo. È bello sentirlo, promessa nell'oscurità. Continuiamo ad andare, di buon passo. Nei campi, le corolle dei fiori ancora chiuse. Da est si allarga un chiarore rosa. Un velo di nebbia si alza dalla terra, fantasmatico, e svanisce.
Il sole si leva all'orizzonte: lento, rosso, regale. Come a un segnale, gli uccelli prendono a cantare. Un'imposta si apre, nelle case si accendono le luci. Il nuovo giorno che si alza ci commuove - i nostri passi ora più veloci, e più certi. Quelle che sotto la luna sembravano anime in pena si rivelano chiome di alberi ancora nude, ma già coperte di gemme. Dall'oceano nuvole gonfie scaricano sui campi, come una benedizione, una pioggia fresca. Splendono le calle selvatiche, sul sentiero per Santiago. Che miracolo, questa luce di alba che ha vinto la notte, una volta ancora. 
avvenire.it

Altötting, il cuore cattolico della Baviera

Altötting, ribattezzata Herz Bayerns, il "cuore (religioso) della Baviera", è un paese di 13.000 abitanti a 90 km a est di Monaco che attira ogni anno circa 1 milione di turisti e pellegrini.
La forte presenza di edifici religiosi e la secolare devozione mariana hanno trasformato Altötting nel luogo di pellegrinaggio più famoso della Germania cattolica: il motivo di tanto interesse è da attribuire alla presenza della statua della "Madonna nera" venerata nel piccolo santuario della Gnadenkapelle che si trova in mezzo alla Kapellplatz. La statua, realizzata in legno di tiglio, è così chiamata perché annerita dal tempo e dal fumo delle candele.
Originariamente questo santuario a pianta ottagonale era una cappella, edificata intorno all'anno 700, che la leggenda vuole ospitasse il fonte battesimale usato dal vescovo Rupertus von Salzburg per battezzare il primo duca bavarese di fede cattolica.

La Madonna nera
Wallfahrts- und Verkehrsbüro Altötting
Intorno al 1330 arrivò in città una statua raffigurante la "Madonna col bambino" che venne subito posta in questa cappella; nel 1489 ci furono due apparizioni della Madonna. Nel 1670 l'altare dove è tuttora custodita la statua venne arricchito di preziose decorazioni d'argento mentre più di duemila ex-voto sono visibili sia dentro il santuario che nel porticato esterno.
All'interno, di fronte alla statua della Madonna, si trovano, custoditi in preziose urne d'argento, i cuori di tutti i re di Baviera tra i quali quello di Ludwig II (†1886) e di altri importanti esponenti della famiglia Wittelsbach. La Gnadenkapelle è aperta tutti i giorni dell'anno dalle 5.30 alle 20.30.
Tra gli altri monumenti di Altötting si segnalano la chiesa barocca di St. Magdalena, officiata dai Gesuiti fino alla soppressione dell'ordine (1773), St. Konrad che conserva le spoglie del frate cappuccino Konrad (morto nel 1894 e canonizzato da Pio XI nel 1934), la Basilica di St. Anna, consacrata nel 1912, la gotica Stiftspfarrkirche, edificata tra il 1499 e il 1511, con l'annessa Schatzkammer (camera del tesoro) e infine il Panorama (Gebhard-Fugel-Weg 10), un edificio che ospita al suo interno un enorme affresco circolare sulla Crocifissione di Cristo... un'opera che affascina anche i non credenti.
La Processione dell'Assunta
Wallfahrts- und Verkehrsbüro Altötting


Matrimonio di pellegrini a Santiago de Compostela

Vivere quel giorno senza preoccuparsi del vestito, del ricevimento, degli invitati, per ritornare ad un esperienza spirituale umile e semplice. Un blog raccoglie le loro storie

Il giorno del matrimonio è per il credente il momento in cui la sua comunione con la persona amata viene consacrata davanti a Dio e, come tale, esso assume per chi lo vive un intenso valore spirituale. Per cogliere appieno il significato di questa scelta alcune coppie, già da anni, celebrano il loro matrimonio al termine di un pellegrinaggio verso luoghi significativi per la cristianità.

Tra le mete preferite da questi “sposi pellegrini” c’è la città di Santiago de Compostela nella regione spagnola della Galizia che fin dal Medioevo è stata la destinazione ultima di un cammino di forte esperienza religiosa.
«Nel fascino del cammino di Santiago – dice Francesco Dragoni, il primo ad essersi sposato a Santiago - si colloca la storia di tanti sposi pellegrini. Desiderio comune a tutti è vivere le nozze in completa intimità con se stessi e con Dio, aggirando le convenzioni sociali e le prosaicità che in genere circondano la celebrazione del matrimonio, anche di quello religioso».

Il giorno del matrimonio spesso si accompagna a preoccupazioni per il ricevimento, gli invitati, la lista dei regali, l’abito e le bomboniere col risultato di mortificarne il senso religioso della celebrazione a favore di una mondanità dilagante anche nelle scelte forti della vita. «Sono in tanti – sottolinea Francesco - a manifestare disagio verso un simile modo di intendere il matrimonio e che desiderano invece più sobrietà. Celebrare le nozze al termine del cammino di Santiago è certamente una rottura rispetto alla tradizione, ma non si tratta di mera insofferenza verso la prosaicità che circonda il giorno delle nozze. Dietro la decisione di sposarsi a Santiago c’è la volontà degli sposi di tenere la consacrazione del loro rapporto affettivo isolata dal resto del mondo in modo da assaporare in maniera esclusiva i sentimenti, la semplicità, il profondo significato del momento senza dar peso all’esteriorità» .

Per cui questi sposi convolano a nozze vestiti come tutti i giorni, davanti al solo sacerdote officiante ed al massimo qualche altro presente, spesso un pellegrino conosciuto sul cammino o qualche diretto parente. Si vuol sottolineare che la celebrazione pur coinvolgendo amici e familiari nella gioia, alla fine è un momento che riguarda unicamente i futuri coniugi.
“In questo gesto non c’è nessun atteggiamento egoista o snob, per tenere alla larga parenti ed amici che si aspettano nozze tradizionali – ribadisce Francesco. L’affetto e la stima rimangono immutati e non vengono minimamente scalfiti dalla scelta di un matrimonio pellegrino, solo si assapora in confidenza sentimenti e sensazioni irripetibili».

Il cammino verso Santiago, diventa pure un esame della vita di coppia, che nel corso degli anni, potrà presentare insidie e difficoltà ma è col sostegno reciproco che potranno superarsi. L’avercela fatta, durante il cammino, trasmette fiducia e forza anche per le eventuali prove del futuro.

Ma chi sono nella quotidianità questi sposi pellegrini? «Non sono degli originali, ma persone la cui vita non è diversa da quella della maggior parte di noi, a conferma che si possono compiere scelte coerenti senza bisogno di essere dei superuomini o degli strambi». Ogni coppia che si è già sposata a Santiago porta un bagaglio di solidarietà, che gli è stata espressa lungo il cammino, ma che li fa sentire uniti anche con tutti gli altri che come loro hanno perseguito questa scelta. Da qui l’idea di un blog (http://ilcamminodeglisposi.blogspot.com), creato dai pionieri di quest’esperienza: Francesco e Michela Dragoni di Grosseto, oggi anche genitori della piccola Irene.

Nelle pagine web sono ospitate tante storie di coppie pellegrine: Marco e Monica da Bergamo Fabio e Laura di Piacenza, Maristella e Christian da Verona, Filippo e Tania da Nuraghe , Dino e Nadia di Brebbia (Va) , Claudia e Ivano di Alessandria, Lorenzo e Francesca di San Lucido, Diego e Stella di Ivrea, Diana e Mario e molti altri. C’è poi una sezione dedicata alle indicazioni pratiche per quanti vogliono seguirli in questa scelta.

«Alcuni degli sposi pellegrini – conclude Francesco -, pur risiedendo in varie regioni d’Italia, dalla Toscana alla Calabria, dal Piemonte alla Sardegna, e non essendosi mai incontrati direttamente, si scrivono cartoline d’auguri, si fanno presenti per i nuovi matrimoni. Attraverso la mail si stabilisce un legame forte anche per il supporto ricevuto da persone apparentemente estranee, ma accomunate dalla stessa esperienza.

Decisivo per questi sposi pellegrini si è rivelato il ruolo dei parroci, che hanno caldeggiato le autorizzazioni, evidenziando le genuine esigenze spirituali che animavano i richiedenti. Qualche parroco è addirittura volato in Spagna per celebrare il matrimonio dei suoi fedeli e star loro vicino in quel giorno e persino l’arcivescovo di Oristano, mons. Ignazio Sanna, ha voluto celebrare la funzione di due sposi sardi Filippo e Tania, nella cattedrale di Santiago de Compostela.
cittanuova.it