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TURISMO: COLLI BERICI FANNO IL 'PIENO' DI SAGRE E FESTE

(ANSA) - VICENZA, 28 LUG - L'area dei Colli Berici, comprendente una ventina di comuni vicentini a sud del capoluogo, non ''chiude i battenti'' per fine luglio e agosto.

Sino a dopo Ferragosto e' ricco il programma di sagre, feste paesane e ricorrenze patronali organizzate da comuni, Pro Loco e associazioni. A Mossano, per quattro giorni, da venerdi' 30 luglio e sino al lunedi' successivo, si terra' la Festa della Trebbiatura, storica manifestazione a carattere culturale e gastronomico, con la possibilita' di degustare i prodotti locali, in particolare vino, olio e prosciutto; prevista anche un'esposizione di mestieri, con la messa in scena delle varie fasi della trebbiatura. Ad Orgiano, dal 29 luglio al 4 agosto, annuale Sagra di San Gaetano, che proporra' stand gastronomici con specialita' locali, pesca di beneficenza e parco divertimenti. Domenica 1 agosto ad Alonte si terra' l'''Anguriata Alpina sotto il cielo d'estate'' promossa dal gruppo Ana locale. Altro evento a Campiglia dei Berici, dal 5 al 9 agosto, con la Sagra della Madonna della Neve, antica festa paesana in localita' Pavarano, con la possibilita' di gustare la cucina locale immersi nel verde. Ad Agugliaro, dal 6 al 27 agosto, viene riproposta la Sagra di San Bortolo, con stand gastronomico che proporra' carne alla brace e pesce fritto.

L'area dei Colli Berici e' famosa soprattutto per i vini e per questo a Barbarano Vicentino, martedi' 10 agosto, la sera di San Lorenzo, viene organizzata la manifestazione ''Calici di stelle'', con esposizione di stand e assaggi di vini proposti delle aziende vinicole della zona. A Sarego, dall'11 al 16 agosto, Sagra dell'Assunta, che congloba nel suo ambito la Festa del pesce fritto. A Villa di Fimon di Arcugnano, dal 13 al 16 agosto, Sagra di San Rocco con cene e degustazioni a base di lepre. (ANSA).

È Lui il bastone del nostro cammino

di Antonio Maria Mira - avvenire.it 1 agosto 2010


La salita. È l’elemento che caratterizza la nostra prima tappa sul 'Camino de Santiago'. Che l’accompagna, la racconta. Su verso O’ Cebreiro, 12 chilometri da Vega de Valcarce, 600 metri di dislivello, fino a raggiungere quota 1293, splendido balcone sulle valli galiziane. Salita come metafora della vita, come faticosa crescita, insieme.

Aiutando chi, meno abituato, arranca sulle volte del sentiero. Insieme come abbiamo passato la notte, tutti e cinquanta nella grande palestra del paese.

Negli albergue, gli ostelli per pellegrini, non c’era posto per tutti. E allora fuori stuoini e sacco a pelo per un sonno rigeneratore prima di affrontare la salita. Sveglia alle 5.30, colazione comunitaria (anche così ci si conosce meglio). Una preghiera al Signore, di ringraziamento e di richiesta di sostegno, 'bastone del nostro cammino'. Gli incontri con Lui, lungo il nostro sentiero, si ripetono.

Ogni chiesetta è aperta per i pellegrini, col tavolo dove apporre i timbri sulla 'Credential del Peregrino' per documentare di aver percorso almeno 100 chilometri a piedi e ottenere la Compostela, il documento che certifica la partecipazione al 'Camino'.

Così nella minuscola San Juan Bautista a Ruitelan, nell’aerea San Andreas a La Faba (siamo a più di metà tappa e c’è anche una freschissima fontana) e nella bellissima chiesa preromanica di Santa Maria a Real a O’Cebreiro.

Occasioni di preghiera, a piccoli gruppi, mentre la fila si sgrana. Ma nessuno è lasciato da solo. Chi ha più fiato ed esperienza dà una mano ai novelli. Compaiono le prime vesciche e i miracolosi cerotti che tutti i camminatori conoscono bene. Intanto il sentiero sale nel bosco di querce e castagni, seguendo il corso del rio Valcarcel, prima in terra poi a pietroni, lucidati dal passaggio di migliaia di pellegrini. E sono proprio tanti quelli che incontriamo.

Un saluto e via. Il sentiero esce dal bosco, tra praterie e profumati cespugli di macchia. Ecco la grande lapide che segna il confine tra la Castiglia e la Galizia e che ci annuncia 152,5 chilometri a Santiago. Un ultimo strappo e siamo a O’Cebreiro, dove nel 1207 un gruppo di monaci costruì un ospedale per i pellegrini.

Noi, invece, siamo attesi da un’altra accogliente palestra.

Vacanze: italiani non sanno risparmiare

ROMA - Il 40% degli italiani si considera abbastanza bravo a risparmiare quando organizza le proprie vacanze ed il 49% si dice addirittura molto bravo e capace di accaparrarsi tutti gli sconti e le migliori offerte disponibili. Ma la realtà sembra ben diversa. A rivelarlo è il portale Expedia che ha intervistato oltre 500 maggiorenni. La ricerca evidenzia però come gli italiani si caratterizzano per il minor numero di giorni a disposizione per i propri viaggi rispetto agli utenti delle altre nazionalità e per la disponibilità a spendere di più per singola notte di soggiorno in hotel.

I viaggiatori tricolori, sembrano quindi peccare di eccessiva fiducia nelle proprie capacità senza però impegnarsi troppo nell'attività di ricerca e valutazione delle soluzioni più convenienti. L'11% che confessa qualche difficoltà a riguardo, lamenta soprattutto la lunghezza e la difficoltà della ricerca delle migliori offerte all'interno dei siti, non sempre facilmente reperibili (49%). Si tratta di una problematica più sentita dalle donne (56%), rispetto al 39% degli uomini.

Interrogati sui più efficaci accorgimenti per riuscire a risparmiare nella prenotazione delle proprie vacanze, gli italiani identificano come soluzione ottimale nel 64% dei casi la prenotazione con maggiore anticipo (sebbene si distinguano in Europa per l'abitudine a prenotare molto sotto data, in media solo 25 giorni prima della partenza) e per il 61% l'attenta ricerca di offerte e sconti. Segue un 48%, che crede sia più conveniente partire in bassa stagione. A loro avviso le destinazioni più convenienti dell'estate 2010 saranno il mare europeo (39%), seguito dalle capitali europee (18%) e dalle destinazioni italiane (14%).

ansa

I Colori del lago


Il sito tematico (www.coloridellago.it) promuove un turismo ecosostenibile organizzando escursioni, naturalistiche e storico-archeologiche, di taglio decisamente inusuale ma in intelligente sintonia con l’ambiente incontaminato della Tuscia. La sua coordinatrice, Vera Risi, guida autorizzata, è una giornalista di cultura e costume che ha abbandonato Roma e tutto per andare a vivere in questi luoghi “magici”, come ama definirli: è lei a guidare chi “è affetto dalla mia stessa febbre dell’esplorazione”.

Le sue uscite hanno l'obiettivo di mettere in contatto diretto la persona con la natura, con la dimensione del tempo (passato e presente) e con gli animali per ristabilire quel feeling tra umano e ambiente che spesso in città si perde. Le escursioni (a piedi, in bicicletta o a cavallo) permettono di scoprire questi luoghi incontaminati e inesplorati attraversando quella che in passato era l’Etruria: “Anche se emergono le tracce lasciate dai Romani e gli affascinanti resti del cupo Medioevo e dello splendente Rinascimento – spiega Risi - quella che riaffiora continuamente è la preesistente cultura etrusca: emerge tra le sepolture affrescate di Tarquinia, tra le necropoli rupestri di Castel d’Asso, Norchia e Blera, tra le tombe a camera e gli altri resti misteriosi che questo nobile popolo ci ha lasciato”.

Noi suggeriamo di farsi portare ai laghi di Vico e Mezzano che, coi loro corsi d’acqua limpidi e gelidi, scavano le rocce vulcaniche creando canyon e forre dalle profondità vertiginose, nelle quali è dolcissimo smarrirsi.

ansa

Bolsena, gastronomia chilometro zero

Il lago di Bolsena vanta acque molto pulite e ricchissime di pesci grazie non solo alla scarsa urbanizzazione delle sue coste, ma anche al fatto che negli anni ‘90 alcuni pescatori del territorio hanno creato due incubatoi ittici che garantiscono l’ecosistema del lago (una pesca responsabile quindi, attenta al ripopolamento delle acque).

In zona si possono gustare i coregoni (pesci d’acqua dolce talmente pregiati da essere chiamati “le spigole di lago”) e le anguille (citate persino da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia per come si rivoltano per l’onde… e da Dante Alighieri nel girone dei golosi perché di esse era ghiotto papa Martino IV, che per dar loro miglior sapore le affogava nella vernaccia).

La cucina, povera e semplice, vanta anche ottimi legumi, come il delicato Fagiolo del Purgatorio, la raffinata Lenticchia di Onano e il gustoso Cece del solco dritto di Valentano, tutti ottenuti ancora con tecniche agricole tradizionali. Altro ottimo prodotto è la patata dell’Alto Viterbese, talmente buona da essere celebrata con una sagra che si svolge nel mese di agosto.

E poi l’aglio rosso di Proceno, dal sapore forte, dal profumo intenso e dalla buona digeribilità. Infine, non si può trascorrere qualche giorno in questo territorio senza gustare l’agnello o il maiale a bujone, una cottura fatta con conserva di pomodoro, salvia, rosmarino e peperoncino che conferisce a queste carni un gusto unico.
ansa

Cineturismo a Soave, Montalcino, e Chianti

Arriva finalmente su grande schermo il vino Made in Italy. Dopo il cult-movie Sideways, una produzione americana, la Summit Ent. di Santa Monica, torna a scommettere sul tema vino, con 'Letters to Juliet' al cinema in Italia dal 25 agosto e gia' uscito negli Usa da maggio, con la regia di Gary Winick. Con paesaggi vinicoli che, c'e' da scommettere, sapranno attrarre i cineturisti.



Stavolta e' il vigneto Italia a far da cornice, magnificata dalla fotografia di Marco Pontecorvo, alle vicende di una giovane reporter del New Yorker (Amanda Seyfred) che giunge a Verona (www.comune.verona.it), scoprendo ed entrando a far parte del team delle 'segretarie di Giulietta' Capuleti, che ogni giorno rispondono alle lettere inviata alla paladina di tutti gli innamorati, per la celeberrima opera di Shakespeare Giulietta e Romeo. Mentre il fidanzato, Gael Garcia Bernal, aspirante chef e patron di un ristorante di cucina italiana a New York, si entusiasma per le lezioni di risotto all'Amarone, le aste dei vini, le cerca dei tartufi nel territorio veneto. La prima parte del film si svolge a Verona, e nelle suggestive gallerie sotterranee di Borgo Rocca Sveva, centro d'eccellenza di Cantina di Soave (www.cantinasoave.it). ''Si tratta di una importante occasione promozionale - ha detto il direttore generale di Cantina di Soave Bruno Trentini - per i nostri vini e per l'intera denominazione del Soave, anche in chiave turistica''.

Alla ricerca di un amore perduto, la vicenda approda poi in Toscana, a Siena e nelle due aziende di proprieta' di Elisabetta Gnudi Angelini, il relais Borgo Scapeto a Castelnuovo Berardenga e l'azienda vinicola Caparzo (www.caparzo.com), il cui Brunello di Montalcino scandisce le tappe fondamentali del viaggio di Vanessa Redgrave, Christopher Egan e Vanessa Redgrave, gia' giovane protagonista di 'Mamma mia'.

Le riprese a Borgo Scopeto (www.borgoscopetorelais.it), circondato dalle colline di Vagliagli, ''dovevano durare solo una settimana, nella nostra piscina, ma poi la produzione - ha sottolineato il direttore del relais Alessandro Montermini - ha scelto il nostro albergo per tutte le riprese, coinvolgendo nella pellicola gli ospiti. Il Brunello Caparzo ha fatto da collante nei piccoli momenti di tensione nel set, e la passione per la buona cucina ha coinvolto anche gli attori, a punto che la Redgrave ci ha chiesto il permesso di preparare la torta del suo compleanno e ha trascorso le sue pause di lavoro tra farine e mattarello''.

Il film e' stato molto apprezzato negli Stati Uniti, dove sta ottenendo successo di pubblico con pagine dedicate su tutti i principali Social network. E il ritorno c'e': ''arrivano gia' le prime prenotazioni in albergo - ha detto Montermini - o telefonate di vecchi clienti che hanno riconosciuto la struttura sul film. E le vendite del Caparzo annata 2005 volano, sulla scia del film e dei 92 punti assegnati da Robert Parker nella sua guida ai vini''.

L'esperimento di product placement in una pellicola di distribuzione internazionale non e' la prima volta che coinvolge il vino italiano: gia' una etichetta-cult nel mercato mondiale, il 'Sagrantino 25 anni' del produttore umbro Marco Caprai e' approdata nel 2009 su grande schermo nel film 'Holy Money' del regista belga Maxime Alexandre.

ansa

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Proposte di turismo alternativo lontano dal popcorn passivo

Inseguendo il cinema in treno

di Isabella Farinelli

L'enormità del gesto si configura nella disarmante battuta del taxista: "Non mi dirà che ha fatto il viaggio in treno da Perugia a Bologna per vedere un film". Ebbene sì, e non senza associare, al gusto della bravata, un vago senso di colpa. Magari per non aver raccolto sufficienti informazioni sul campo, dopo aver setacciato la rete, riguardo alla possibilità di gustare la commedia A proposito di Steve - niente di che, dichiarano le critiche mainstream, ma mettiamo che uno volesse vederla proprio per quello. Per farsi due risate senza impegno. Che poi a ben guardare c'era anche l'impegno, non solo da parte di un'acrobatica Sandra Bullock nei panni - e nella maschera - di ossessiva autrice di cruciverba e croci per malcapitati blind dates, ma anche per la parodia di certo voyeurismo mediatico, incarnato da una bislacca troupe televisiva - niente male Thomas Haden Church e soprattutto Ken Jeong, mentre Bradley Cooper doveva essere insignificante da copione.
Ode al disimpegno: esula dal tono estemporaneo, sia dell'avventura sia della narrazione, la vexata quaestio del perché le pellicole arrivino o no nelle sale italiane, intendendo per italiane anche quelle extra Roma e Milano, e la programmazione ordinaria a prescindere dai provvidenziali ripescaggi delle rassegne a tema o d'intrattenimento. I motivi di botteghino, più volte evocati, risultano evidenti allo spettatore che, per cautelarsi dal popcorn passivo (il rumoroso sgranocchiare altrui) predilige pomeriggi feriali, ma alla lunga non sono buon presagio proprio per chi si ostina a inseguire la sala e il grande schermo anziché rinchiudersi nel dvd. Qualunque sia il rapporto causa-effetto, è attuale e noto il paradosso che riguarda la stessa Bullock: a differenza del contemporaneo All about Steve, con The Blind Side ha vinto il consenso unanime della critica, ma è stata negata al pubblico nostrano a eccezione del dvd. Per essere più precisi, The Blind Side è stato proiettato, lunedì 26 luglio, al Fiuggi Family Festival.
Alla luce di indagini informali ma estese, il caso di Perugia appare emblematico di molte realtà demograficamente confrontabili. Nel capoluogo umbro, la migrazione cinematografica, avente come tappa le pur comode multisale periferiche o la vicina Foligno, è iniziata nel gennaio scorso con la chiusura - auspicabilmente temporanea - dell'ultimo sopravvissuto in pieno centro, lo storico Turreno, della cui inaugurazione come teatro aveva dato notizia nel giugno 1891 perfino "Il Paese" di Pecci (con la gratitudine "di tanti lavoratori e operai che per quasi due anni sono stati provveduti di lavoro"). Vero che soluzioni di buon livello sono ancora offerte in area urbana da piccole sale (Zenith e Cinematografo comunale Sant'Angelo). Il recupero estivo è in parte garantito da manifestazioni sparse nel territorio: da Gubbio a Montefalco, anche cortometraggi; a Perugia, il discreto assortimento del cinema serale all'aperto in ArenAria e ai Giardini del Frontone. "Penombre", rassegna di muto e documentari in siti non cinematografici, è stata gemmazione invernale di "Isole", cartellone estivo di spettacoli musicali in approdi remoti della provincia, come Sant'Emiliano in Congiuntoli, sotto il cielo di Fonte Avellana squassato da uno di quei temporali che Dante seppe descrivere così bene parlando di san Pier Damiani. Per quanto non previsto dai cartelloni di cui sopra, l'estate si fa complice di sconfinamenti a cerchi concentrici, dai cinema di Montevarchi e Poggibonsi con il contesto aretino e senese a partire da Monteoliveto, sino alla multisala di Savignano con le suggestioni pascoliane e, volendo tralasciare la zona balneare, l'immediato entroterra ricco di atmosfere naturali degne di watching.
Clemente Alessandrino dava per risaputo che le preghiere siano più potenti se formulate in lingua "barbara", ma è vezzo umano ricolorare situazioni e luoghi attraverso nomi esotici, riaprendo gli occhi su orizzonti prossimi con lo sguardo altrui. Lo spettatore viaggiante diventa coprotagonista di un road movie a mille incroci (All about Steve a modo suo lo è, partecipando di quella commedia americana che rimescola tutto nel gioco del possibile, non necessariamente a prezzo di compromessi). L'effetto è ampliato se si viaggia in treno, tenendo sulle ginocchia un libro e scegliendo un posto accanto al corridoio piuttosto che al finestrino, con gli occhi bene aperti sullo scambio tra panorami dentro e fuori. "Dovunque io sia, dovunque io vada, vi è sempre un andare nel mio stare, e viceversa": dice più o meno così un esule oggi molto amato, Kahlil Gibran; per lui, come per molti migranti del nostro tempo, il viaggio non è stato un gioco. È per reazione contro l'efficientismo vacanziero che Arnold Spitzweg, la recente creatura di Philippe Delerm, intitola "antiazione" il proprio blog (La parte migliore del giorno, traduzione di Elena Riva, Milano, Frassinelli, 2010, pagine 156, euro 16), salvo poi divenire piacevolmente compartecipe della famiglia umana il cui brusio gli arriva nel cortile parigino. La letteratura slow travel ormai è sterminata; due soli emblemi: Sulle ali di un Ape, da Lisbona a Pechino in 212 giorni (di Paolo Brovelli, Milano, Corbaccio, 2007, pagine 497, euro 19,60 - l'Ape è naturalmente il motocarro) e In viaggio con l'asino (di Andrea Bocconi e Claudio Visentin, Parma, Guanda, 2009, pagine 173, euro 13 - con esplicito richiamo alla Modestine di Stevenson). Nel manuale Slow Travel (Milano, Ponte alle Grazie, 2008, pagine 138, euro 11) Gaia De Pascale ne dà ampio conto, mettendo in guardia gli incauti dal rischio di un fast uguale e contrario. Anche Momo, l'indomita bambina di Michael Ende, con l'inseparabile tartaruga Cassiopea doveva difendersi dai Signori Grigi, ghiotti dell'altrui tempo assurdamente risparmiato.
Al ritorno, dai finestrini dell'intercity scorrono senza sottotitoli le immagini del tramonto sull'Appennino: "orefiore" di sogni, ricordi, progetti e, nello stesso scompartimento, un rumoroso gruppo di giovani statunitensi. Su queste pendici, inghiottite dolcemente dalla notte e più voracemente dalle gallerie, si snodarono in secoli diversi la ricerca francescana e quella più irrequieta ma ugualmente intensa di Dino Campana, che chiamò viaggio anche l'amore. Oggi l'aggettivo slow, traslato dagli spostamenti alle più disparate attività umane, e la predilezione per itinerari mistici e forme fantasiose di "turismo religioso" sembrano sgorgare, con variazioni, dalla medesima ricerca, centripeta piuttosto che centrifuga, personale quanto assetata dell'alto e dell'altro.


(L'Osservatore Romano - 1 agosto 2010)

Tempo di vacanze. L'uomo in cammino e il pellegrinaggio

L'uomo in cammino
e il pellegrinaggio

di Rino Fisichella

Aeroporti sovraffollati, stazioni intasate e autostrade dove si cammina a passo d'uomo. Sono queste le immagini che giungono nei giorni in cui milioni di persone partono per il meritato periodo di riposo dalla fatica quotidiana del lavoro. In queste condizioni non sempre la partenza per le vacanze è vista come un momento di rilassamento; spesso diventa motivo per ulteriore stress; eppure, il pensiero di raggiungere la meta agognata fa dimenticare anche la fatica. Appartiene alla natura dell'uomo mettersi in cammino.
Il progresso tecnologico ci ha fatto dimenticare l'importanza del percorrere a piedi anche lunghi tratti di strada; quando questo avveniva, la gioia per il percorso compiuto era immediata e la gratifica che ne derivava, suscitava maggior entusiasmo per la conquista di una tappa ulteriore. L'homo viator potrebbe essere una delle intuizioni più significative per valutare le profondità nascoste dell'essere umano e verificare quanto, nel mistero che lo costituisce, quello del raggiungere una meta sia tra le finalità più coerenti con la sua intelligenza e volontà.
In questo cammino, tuttavia, l'uomo rischia di disperdere alcune potenzialità che gli sono proprie. Senza una meta, il cammino diventa un errare a vuoto e il rischio di perdere se stesso e il senso del proprio vivere non è estraneo. Perché l'essere in cammino abbia senso è necessario che si individui un obiettivo e si concentri lo sforzo - anche di tutta la vita se necessario - per poterlo raggiungere. L'obiettivo è il fine verso cui si tende.
Appare difficile, soprattutto oggi, compiere scelte che abbiano valore per tutta la vita se l'obiettivo rimane limitato all'orizzonte dell'interesse materiale. È urgente e necessario che si propongano finalità tali da sintetizzare il senso della vita e siano capaci di provocare a tal punto da consegnarsi a esse come riscontro reale e fattivo di felicità. Una metafora che coglie questa istanza è certamente il pellegrinaggio. Esso oltrepassa i confini delle religioni e delle ideologie per presentarsi come un fenomeno universale.
Dal primo pellegrinare di Abramo verso una terra che il Signore gli avrebbe mostrato fino ai pellegrinaggi dei nostri giorni si nota un incessante e incantevole esprimersi dell'animo umano nel tendere verso una meta. I mesi estivi offrono a molti l'opportunità di un pellegrinaggio. Cogliere l'istanza sottesa e viverla in conformità e coerenza con l'obiettivo prefissato, può essere sorgente di vera spiritualità dalla quale in un tempo come il nostro molti si sentono attratti e ne ricercano il senso.
Il cristianesimo ha una sua peculiare interpretazione del pellegrinaggio. Esso è legato, in primo luogo, a un santuario. Come esprime il termine stesso, è uno spazio sacro delimitato che lo rende diverso da ogni altro luogo. La terra giustamente chiamata "santa" per aver accolto in sé il mistero del farsi uomo da parte di Dio offre un'opportunità unica.
Anche gli altri luoghi, comunque, dove il flusso di pellegrini è quantificato ogni anno in milioni, permettono di cogliere l'esperienza di fede che viene vissuta, ognuno per la sua parte e per il significato peculiare che possiede. Roma, Santiago de Compostela, Lourdes, Fátima, La Salette, Guadalupe, Jasna Góra, Efeso, tutto ciò che questi e tanti altri nomi riportano alla mente indicano una particolare esperienza di fede che può e deve essere comunicata e vissuta.
La peculiarità del pellegrinaggio cristiano, comunque, aggiunge qualcosa di straordinariamente grande per verificare anche la natura della stessa fede che si inserisce nelle culture e ne permette lo sviluppo. Fin dai documenti più antichi che possediamo in proposito - basti pensare al diario di Egeria, pellegrina in Terra Santa verso la fine del iv secolo - la descrizione del senso del pellegrinaggio si mescola con la curiosità per i luoghi, le usanze e i linguaggi dei popoli incontrati. Insomma, una ricchezza di conoscenze che costituiscono un vero patrimonio di cultura.
Etimologicamente peregrinus indica colui che attraversa i campi o le frontiere. In ogni caso, chi cammina verso una meta, ma capace di cogliere il senso degli eventi, farli diventare propri e comunicarli come vera esperienza di vita. Il pellegrinaggio dei nostri giorni, quindi, come esperienza di fede che si fa carico di mantenere viva la memoria. Coniugando desiderio di preghiera e curiosità intellettuale per cogliere la bellezza del creato e quella costruita dalle mani degli uomini.


(L'Osservatore Romano - 1 agosto 2010)