Macef, Salone Internazionale della Casa e del Bijoux, giunge al traguardo delle 95 edizioni e torna a Fieramilano dal 12 al 15 settembre.
Qualità, affiancamento agli operatori, opportunità concrete e cambio di
data: ecco il contributo che Macef garantisce a visitatori e espositori
per affrontare e capire un mercato in grande trasformazione. Macef a
settembre inizierà una settimana dopo rispetto a quanto abitualmente
previsto dal calendario fieristico, una scelta tesa a valorizzare un
nuovo posizionamento nel panorama delle manifestazioni europee. “Una nuova collocazione temporale – ha sottolineato Cristian Preiata, neo Exhibition Manager di Macef – fortemente voluta dagli operatori e che Macef è riuscita a conquistare per favorire l’affluenza di espositori e visitatori”.
• I settori di Macef tra innovazione e tradizione
Tavola&Cucina, Arredo&Decorazione, Regalo e Bijoux. Ecco i quattro settori tematici
in cui si suddivide l’offerta firmata Macef. Un panorama ampio e
variegato del mondo “casa” e del comparto accessori, per una proposta
che unisce i grandi nomi del settore e le idee di piccoli imprenditori e
giovani designer, senza mai rinunciare a stile e qualità a servizio del
retail.
All’interno dei padiglioni di Macef trovano spazio sezioni che nel tempo sono diventate autentici must: Creazioni, accessori e soluzioni per l’home living e decor nati dall’estro di designer emergenti; L’Opera Italiana,
dove la tradizione è di casa, con le storie di vita artigiana
raccontate dalle aziende attraverso i loro migliori prodotti; e ancora Home Garden, per vivere con stile ogni angolo della propria dimora, anche all’aria aperta, Storie di cose sostenibili, per una casa sempre più accogliente ad impatto zero e Opere d’arti,
uno spazio dedicato a alle gallerie d’arte che propongono opere
(fotografie d’arte, quadri, sculture e installazioni) molto vicine al
mondo dell’arredo.
• Macef+, la fiera digitale conferma la voglia di fare business
I numeri parlano chiaro: con oltre 8.000 buyer certificati e 440.000 pagine visualizzate
il progetto digitale lanciato ufficialmente a Macef gennaio ha ottenuto
numeri incoraggianti e conferma la voglia di fare business. Con questo
spirito Macef+ si prepara a tornare il prossimo 23 settembre sulla piattaforma macefplus.com.
Anche in autunno quindi gli operatori potranno incontrarsi in rete per
conoscersi e fare affari, mettendo a frutto i contatti acquisiti al
Salone o creandone di nuovi. Un mese in più per sviluppare business “in
alta definizione”.
• Matching e formazione: le tante proposte a supporto del mercato
Dopo il riscontro positivo ottenuto lo scorso anno, è in calendario la
seconda edizione del Summit del settore “Casa – Tavola – Regalo”
sponsorizzato da Macef ed organizzato dal Gruppo 24Ore con la rivista Casastile. Un momento di confronto qualificato per gli operatori del settore che si presenta con un tema promettente: “La combinazione vincente: quali le parole chiave per interpretare il nuovo consumo?”
Il dibattito, prendendo la mosse da un'indagine esclusiva sul feeling
dei consumatori verso le offerte e gli approcci proposti dai punti
vendita del mondo della tavola, della casa e della cucina, indagherà i
possibili asset su cui puntare per intercettare i nuovi stili di
consumo.
Anche quest’anno, al termine, si svolgerà la premiazione della selezione del Global Innovation Award, il riconoscimento riservato ai punti vendita più innovativi.
Macef ha inoltre siglato un accordo con Nibi, il Nuovo Istituto di Business Internazionale legato alla Camera di Commercio di Milano e Promos,
che prevede l’organizzazione di tre seminari di approfondimento,
condotti da esperti docenti di questo istituto. Al centro degli
appuntamenti i nuovi scenari dell’internazionalizzazione, con
particolare attenzione a Russia, Emirati Arabi e Stati Uniti. Gli
incontri, focalizzati principalmente sul settore Decorazione e
Tavola&Cucina, mireranno a fornire una panoramica dell’attuale
scenario economico e sociale di questi mercati, per quanto riguarda le
potenzialità e i rischi legati alle iniziative di business (il calendario degli incontri sarà disponibile a breve).
Licensing: ecco un altro tema destinato a suscitare
vivo interesse tra gli operatori e che sarà al centro di un evento che
affronterà lo sviluppo di questo new trend e le sue potenzialità. Si
tratta di una “prima volta”: il mondo delle Licenze prende contatto
diretto con la Casa, il suo stile, le sue tendenze. Il settore home si
sta rivelando una nuova frontiera di grande interesse per questo mondo:
un settore in cui il delicato equilibrio tra ricerca del gusto e del
fashion si mescolano al potere del brand offrendo al comparto nuovo
vigore e impulso.
Infine si riconferma il programma di match-making,
un’agenda di incontri che Macef gestisce direttamente per favorisce gli
incontri tra buyer ed aziende ed aziende, ottimizzando il tempo a
disposizione in Fiera.
• Macef e Trenitalia, promozioni speciali per “non perdere il treno” del business
Macef e Trenitalia confermano la propria partnership per rendere più
agevoli gli spostamenti dei visitatori di Macef che a settembre potranno
raggiungere la fiera a bordo di convogli Frecciarossa e Frecciabianca
che effettueranno fermate straordinarie alla stazione di Rho Fiera. Le
fermate speciali sono state programmate al mattino e nel pomeriggio per
facilitare gli spostamenti degli operatori. Inoltre, i soci Cartaviaggio
di Trenitalia che arriveranno a Macef in Frecciarossa e Frecciabianca
potranno entrare al Salone gratuitamente.
fonte: http://www.macef.it/riflettori-puntati-su-macef-settembre
Guccini racconta il suo percorso umano, oltre che musicale, e guarda al futuro che ci attende
di BRUNETTO SALVARANI
Si intitola
L’ultima Thule ed è il disco finale della carriera di uno dei più grandi
cantautori-poeti d’Italia. In questa lunga chiacchierata, Guccini
racconta il suo percorso umano, oltre che musicale, e guarda al futuro
che ci attende.
Francesco Guccini durante il concerto in onore di Demetrio Stratos il 14 giugno 1979 all’Arena di Milano. OLYCOM
La
notte pavanese che lui canta nell’ultimo disco è ancora di là dal
sopraggiungere quando, oltrepassato il Ponte della Venturina e lasciato
alle spalle l’estremo lembo appenninico di terra emiliana, tocchiamo
finalmente Pàvana. Non è la prima volta che, con un paio di amici, vengo
a trovare Francesco Guccini: per incontrarlo, chiedergli come sta e
ringraziarlo una volta di più per quello che è, e per come è. Si tratta
di un piacevole rituale, «un pellegrinaggio», scherziamo fra noi
affrontando la salita conclusiva, che ogni volta conferma nella
sensazione di trovarsi di fronte a una persona autentica, semplice di
un’antica cortesia; certo non a un divo, ma a un uomo capace di dubbi e
perplessità, capitato per sbaglio in un Paese tutto diverso, che non
c’entra niente con lui. Nonostante la sua popolarità, addirittura in
crescendo dopo il grande successo dei suoi lavori più recenti: il volume
di memorie Dizionario delle cose perdute, che per parecchie settimane
nel 2012 è stato tra i più venduti in Italia, e L’ultima Thule, l’album
con cui ha scelto di congedarsi dalla scena della musica, uscito alla
fine dello scorso novembre e diventato in breve disco di platino. Che
abbiamo ascoltato, senza timore di risultare retorici, non solo con
ovvia curiosità, ma anche e soprattutto con sincero affetto. Perchè
siamo cresciuti con lui.
Il cantautore in una immagine recente, davanti alla sua casa di Pàvana, sull’Appennino tosco-emiliano. FRANCESCO CONVERSANO
L’abbiamo
sempre considerato il fratello maggiore che non abbiamo avuto, l’amico
saggio cui confidare qualcosa di davvero segreto, il cantautore famoso
ma in grado di resistere al fascino perverso dello star-system (abbiamo
appreso solo dopo, un po’ per naturale coerenza e il resto per naturale
pigrizia e naturale timidezza). Così, le sue dichiarazioni sul fatto che
si sarebbe trattato della sua definitiva fatica artistica in campo
musicale ha, inevitabilmente, aumentato il tasso di commozione. Perchè
il sapore di tramonto di una lunga stagione che si porta dietro è –
ammettiamolo – qualcosa che ci riguarda da vicino. La chiusura di
un’esperienza intergenerazionale e condivisa con tanti, eppure da
custodire gelosamente, e l’esaurirsi di un tempo che si apre su un altro
non necessariamente peggiore, nella consapevolezza che le cose umane
sono segnate dalla loro evanescenza. Ed eccolo qui, il Maestrone, ben
piantato nella sua barba candida, i suoi 73 anni non celati e la sua
tana appenninica avvolta di libri e di ricordi.
Il batterista Ellade Bandini.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
Dove
si lamenta da subito di essersi deciso a tornare troppo tardi, quando
già da tempo Bologna non la sentiva più sua; e dove comunque ha rimesso
radici da oltre un decennio, accompagnato amorevolmente dalla moglie
Raffaella, che insegna Lettere in una scuola media qui vicino, con la
quale ha risistemato questa casa avita. Accompagnati da un buon
bicchiere di vin santo – in onore del sottoscritto, ci tiene a precisare
– si comincia a ragionare de L’ultima Thule. «Sì, ci siamo divertiti a
registrarlo, stando qui, insieme con i musici – come li chiamo io da
sempre – per un mese intero, e non in un asettico studio di
registrazione cittadino. Come si può notare dalle riprese de La mia
Thule, il documentario girato nell’occasione ». Che è andato anche in
onda sulla Rai, e in cui si può constatare la straordinaria operazione
che ha trasformato magicamente l’antico mulino del bisnonno Chicon –
oggi un bed and breakfast gestito dai cugini del Nostro – in una sala
discografica dotata di ogni genere di conforto. La cornice più giusta
per un album impregnato di memorie, tra gioia e nostalgia, e di
celebrazioni di quel che resta di antiche speranze. Come capita di
regola ai vecchi, vi affiorano soprattutto le cose più lontane, che
appaiono come le più forti e le più vere, avendolo accompagnato una vita
intera.
Roberto Manuzzi alla fisarmonica.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
Ha
voluto con sè, ovvio, al modo dei marinai che si accodarono baldanzosi a
Ulisse nel suo estremo folle volo, i soliti compagni: Ellade Bandini,
Juan Carlos Flaco Biondini, Roberto Manuzzi, Antonio Marangolo,
Pierluigi Mingotti, Vince Tempera. Marinai di lungo corso e sicuro
mestiere che del loro comandante sanno ormai tutto, soprattutto di
quanto c’è bisogno per accompagnarlo adeguatamente: discrezione, ordine,
compostezza e una manciata di coloriture che non disturbino la
comprensione delle parole e l’ascolto della voce. Tra le canzoni
presenti nel disco, la sua predilezione va a Canzone di notte n. 4, la
quarta – appunto – che nel corso della carriera ha dedicato a quel
momento magico e unico in cui le cose tornano a essere sè stesse:
«Stavolta si tratta di un pezzo che torna indietro nel tempo, alla mia
infanzia, quando il mulino di Chicon ancora funzionava, luogo mitico dei
miei anni giovanili, fino a chiudersi su una visione attuale, con le
luci del presepe e il raggiungimento di un senso di pace e tranquillità.
Quegli anni lontani sono qui evocati anche dalle due voci che,
all’attacco del brano, richiamano quelle dei miei genitori che mi
ricordano che a letto si va per dormire non per leggere, perchè la luce
elettrica andava risparmiata.
In
realtà, però, una cosa del genere non me l’hanno mai detta... Anche se è
vero, piuttosto, che mio padre spesso, quando mi vedeva divorare i
giornalini a fumetti, mi rimproverava perchè sosteneva che così non
avrei mai coltivato la voglia di leggere! Pensa te! Io che nella mia
vita non ho fatto altro che leggere, sin da bambino... Ho letto di
tutto, a cominciare dai romanzetti d’appendice che trovavo in casa
portati da mia zia, che faceva la cameriera in quel di Genova e per
questo era considerata l’intellettuale di famiglia!». Quella della
lettura è davvero un’idea fissa per Francesco, che sente ancor più da
quando un fastidio agli occhi gli crea più problemi del solito per
dedicarsi a quest’operazione così usuale. Tanto che, quando mi viene di
chiedergli con che cosa a suo parere dovrebbe uscire un giovane dopo
avere frequentato le scuole superiori, risponde al volo: «Le cose che
dovrebbe aver acquisito un giovane sono... una sola: l’amore per la
lettura.
Il maestro Vince Tempera.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
è
questa l’acquisizione più importante, che ti consente di coltivare la
curiosità per il mondo! Purtroppo, anche se conosco la scuola italiana
solo per i racconti che me ne fa Raffaella, penso abbia subito un netto
declassamento, e anche la lettura non sia molto considerata. Qualsiasi
lettura! Ricordo che, quando mi diedero il Premio Montale, vent’anni fa,
era stato premiato insieme a me l’illustre poeta Nelo Risi, che nelle
interviste sui suoi autori chiave rispose: Baudelaire, Leopardi...
mentre io dissi il Paperino di Carl Barks, un autentico capolavoro!». E
ridacchia. D’ altra parte, assieme alla lettura, tra le sue grandi
passioni c’è la scrittura, praticamente da sempre. «Sì, è vero: sin da
bambino volevo fare lo scrittore, anche se i miei genitori non ne erano
per nulla convinti! Tanto più che, parlando con il mio maestro delle
elementari, a Modena, mio padre che gliel’aveva rivelato si era sentito
replicare brutalmente: “Sì, lo scrittore! Lui che a scrivere è un
cane!”. Beh, penso che quel maestro avesse risposto così soprattutto
perchè, come tutti dalle nostre parti all’epoca, era impregnato di
positivismo, e disdegnava le attività umanistiche... ».
Il cantautore durante la registrazione del suo album.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
Una
passione che lo portò, alla tenera età di dodici anni, a vincere un
concorso indetto dal settimanale cattolico a fumetti Il Vittorioso, il
cui tema era Descrivi la tua città. Naturalmente Francesco dedicò lo
scritto a Sambuca Pistoiese, iniziando così: «Nella forra tortuosa e
boscosa del Limentra occidentale...». Poi il primo lavoro, accettando
per stipendio pochi soldi per firmare improbabili pezzi di cronaca sulla
Gazzetta di Modena («un’esperienza massacrante, ventimila lire al mese
per dodici ore al giorno!»); una passione che, ora che ha deciso di
smetterla con la musica («e non tornerò indietro in questa decisione, mi
conoscete», anche se ride di gusto quando gli suggeriamo di dire che
era stato frainteso...), avrà modo di coltivare ancor più intensamente.
Intanto, con due progetti in corso: per Natale, probabilmente, dovrebbe
uscire la seconda parte del Dizionario delle cose perdute («ci metterò
dentro la cabina telefonica e le cartoline con le scritte prestampate,
quelle con le foto dei due innamorati; oggi ormai nessuno più scrive
cartoline...»).
La proiezione al cinema Odeon di Bologna del film Francesco Guccini, la mia Thule.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
E poi
la seconda puntata della saga di Poiana, l’ispettore della Forestale
Marco Gherardini, che ha fatto il suo esordio come protagonista nel noir
appenninico di Malastagione, uscito un paio d’anni fa, scritto a
quattro mani con lo scrittore e amico Loriano Macchiavelli: «L’Appennino
non sarà come le Alpi o le Rocky Mountains, ma ogni tanto, come tutte
le montagne, richiede le sue vittime sacrificali...». Verrebbe da dire:
nonostante la fine della sua lunga avventura musicale, il Nostro ha
«tante cose ancor da raccontare», non più nei palasport, ma dagli
scaffali delle librerie. Poi si torna sull’ultimo lavoro, giunto a ben
otto anni da Ritratti, del 2004. In cui Francesco, dopo L’isola non
trovata (1971), recuperata dal prediletto Guido Gozzano, ricorre alla
metafora di un’altra isola, quella di Thule, descritta nei diari
dell’esploratore greco Pitea come una terra di fuoco e ghiaccio dove non
tramonta mai il sole. Il suo Virgilio stavolta è un altro poeta che
apprezza da sempre, Jorge Luis Borges (il riferimento è alla poesia Un
lettore, da Elogio dell’ombra).
Ne
è uscita una canzone a metà fra il bilancio e il saluto da lontano:
dopo un viaggio, lungo quasi mezzo secolo, che si spegne in una lunga
cavalcata barocca, con l’occhio rivolto all’orizzonte, dove tutto
finisce (L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo / si spegnerà per
sempre ogni passione / si perderà in un’ultima canzone / di me e della
mia nave anche il ricordo). Ma è vero che l’avevi in testa da tanto
tempo? «Certo, la prima strofa l’ho scritta una quindicina d’anni fa, ma
il titolo l’avevo già deciso subito dopo Radici, nel ’72: pensavo di
chiuderla lì con la mia carriera di cantautore... Ero giovane, avevo
speranza nella vita che andava avanti, mentre penso che qui sia già
indicativa la foto usata per la copertina del disco. Scattata
sull’ottantesimo parallelo, non ritrae un tempo che passa ma l’arrivo di
un tempo passato, giunto su una nave senza ciurma, perchè non c’è più
l’equipaggio di un tempo, che ha le vele afflosciate. Non c’è più niente
da fare, se non andare e perdermi là, nell’Ultima Thule, in quel luogo
mitico lontano e perso nel ghiaccio... nella fine infinita». Mentre
Francesco parla, mi torna in mente un passaggio del monaco Enzo Bianchi
che rileggo spesso e mi verrebbe da applicare a questa situazione, che
dice più o meno: «Credo ci sia posto per una spiritualità degli
agnostici e dei non credenti, di coloro che sono in cerca della verità
perchè non sono soddisfatti di risposte prefabbricate, di verità
definite una volta per tutte... una spiritualità che si nutre
dell’esperienza dell’interiorità, della ricerca del senso e del senso
dei sensi, del confronto con la realtà della morte come parola
originaria e con l’esperienza del limite; una spiritualità che conosce
l’importanza anche della solitudine, del silenzio, del pensare, del
meditare».
Il bassista Pierluigi Mingotti.
FRANCESCO CONVERSANO
FRANCESCO CONVERSANO
Mi
torna in mente, poi, qualche verso de Gli artisti, altro pezzo de
L’ultima Thule, così autobiografico e struggente e dalle atmosfere
chiaramente francesi, dove lui canta: Fabbrico sedie e canzoni/, erbaggi
amari, cicoria,/ o un grappolo di illusioni/ che svaniscono nella
memoria,/ e non restano nella memoria. Come li spieghi, Francesco?
«Orazio, il grande poeta latino, ha scritto: Ho eretto un monumento più
duraturo del bronzo e più immortale dell’immortale mole delle piramidi.
Io non credo che farò quella fine lì, non ho scritto canzoni più
durature del bronzo e delle piramidi. Penso che ci siano canzoni che
fanno parte della vita di ognuno, ognuno di noi ricorda brani legati a
certi episodi del suo percorso, ma non sono molto più che grappoli nella
memoria ». Ma se è così, come si spiega che molti giovani conoscano a
memoria le tue canzoni e non pochi ti seguano addirittura in ogni data
dei tour? «Me l’hanno già chiesto altre volte, e di solito me la cavo
con una battuta, rimandando alla mia grande bellezza fisica... Non lo
so, forse perchè le mie canzoni sono scritte per dire delle cose,
nascono da qualcosa di vero, e di questo i giovani se ne accorgono!».
Mentre lo salutiamo, dopo le foto di rito che vanno ad aggiornare il
nostro già corposo album, sbuca non si capisce da dove il gatto nero che
compare nella Canzone di notte n. 4. E la notte, che s’insinua in ogni
anfratto,/ contro gli angoli più oscuri del paese. La lunga notte
pavanese.
BRUNETTO SALVARANI
Jesus Luglio 2013
Terme, benessere e piacere etrusco
Fino a qualche tempo fa ci si
potevano bagnare solo i Papi, oggi sono aperte a tutti: le terme della
Tuscia viterbese si concentrano nell’area che si estende a nord dei
Monti Cimini sino alla catena dei Volsini. Dalla Città dei Papi a
Saturnia, quindi, passando per il ‘Bagnaccio’. La zona che si estende a
nord di Viterbo è ricca di sorgenti sulfuree di origine vulcanica.
Alcune libere e perse tra i campi di mais, altre all’interno di
strutture ricettive convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale,
ce n’è per tutti i gusti, tasche e orari.
Le ‘Terme dei Papi’ sono tra le più note di Viterbo. Aperte tutto l’anno e con una grande piscina scoperta, si trovano poco fuori la cinta muraria medievale. Il complesso termale, che ospita un albergo ed un ristorante, è specializzato in cure inalatorie, fangoterapia, ‘Grotta’ e cure per vasculopatie periferiche. La convenzione con l’SSN ne rende libero l’accesso se muniti di ricetta e ticket sanitario. (http://www.termedeipapi.it/index.php?zn=infoutili&subzn=&page=1)
Il ‘Bagnaccio’ è, invece, del tutto differente. Queste erano ‘pozze naturali’ d’acqua solfurea perse nella campagna. Recentemente ristrutturate, sono state date in concessione regionale ad un’associazione omonima che ne cura pulizia e mantenimento. La campagna circostante, adibita a parcheggio, le rende meta ideale per i camper e la strada in terra bianca, unica via d’accesso, ne impedisce l’affollamento.
Ancora più a nord, nell’entroterra grossetano, l’acqua delle terme di Saturnia sgorga da tremila anni ad una temperatura costante di 37 gradi. Famose per la suggestiva cascata offrono numerose possibilità di svago come il vicino campo da golf e ristoranti gourmet. (http://www.termedisaturnia.it/it/)
Le ‘Terme dei Papi’ sono tra le più note di Viterbo. Aperte tutto l’anno e con una grande piscina scoperta, si trovano poco fuori la cinta muraria medievale. Il complesso termale, che ospita un albergo ed un ristorante, è specializzato in cure inalatorie, fangoterapia, ‘Grotta’ e cure per vasculopatie periferiche. La convenzione con l’SSN ne rende libero l’accesso se muniti di ricetta e ticket sanitario. (http://www.termedeipapi.it/index.php?zn=infoutili&subzn=&page=1)
Il ‘Bagnaccio’ è, invece, del tutto differente. Queste erano ‘pozze naturali’ d’acqua solfurea perse nella campagna. Recentemente ristrutturate, sono state date in concessione regionale ad un’associazione omonima che ne cura pulizia e mantenimento. La campagna circostante, adibita a parcheggio, le rende meta ideale per i camper e la strada in terra bianca, unica via d’accesso, ne impedisce l’affollamento.
Ancora più a nord, nell’entroterra grossetano, l’acqua delle terme di Saturnia sgorga da tremila anni ad una temperatura costante di 37 gradi. Famose per la suggestiva cascata offrono numerose possibilità di svago come il vicino campo da golf e ristoranti gourmet. (http://www.termedisaturnia.it/it/)
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Bordeaux, il vino più buono del mondo
Lo pensano molti enologi di
fama mondiale che il vino di Bordeaux sia il migliore del mondo. Di
sicuro comunque è uno dei più noti e apprezzati. Prodotto nella zona
della Gironda, tra i fiumi Garonna e Dordogna, si declina a partire dai
vitigni di Cabernet franc, Cabernet-Sauvignon e Merlot per i rossi e in
quelli di Sauvignon, Sémillon e Muscadelle per i bianchi. Anche i rosè
non sono male, e sono molto ricercati. In particolare, i vigneti del
Médoc sono sulla riva sinistra del Gironda, da Saint-Vivien-de-Médoc a
Bordeaux, quelli dei Graves a sud di Bordeaux, lungo il Garonna fino a
Langon, quelli di Blaye e Bourg tra la riva destra della Gironda e
Charente Marittima, quelli del libournese sulla riva destra della
Dordogna, e quelli Entre-Deux-Mers tra la Dordogna e la Garonna.
Le vigne hanno una lunga storia, molto fascinosa: si racconta che i notai di Bordeaux, visti i prezzi elevatissimi dei vini italiani, vollero creare dei vigneti autoctoni. Il commercio del vino cominciò a svilupparsi però solo nel XII secolo, quando Eleonora d’Aquitania si sposò con il re d’Inghilterra Enrico II. Dopo che, un secolo dopo, il re di Francia conquistò la Rochelle, dal cui porto si esportavano i vini bordolesi, l’Inghilterra divenne il maggiore importatore, anche grazie ai privilegi fiscali concessi ai negozianti. Quel vino era chiamato “claret” per via del suo colore chiaro, vista la miscela di uve diverse (prima del XVI secolo i vitigni ancora non avevano assunto la struttura degli attuali filari). Nel XVII secolo intanto, gli olandesi cominciarono ad esportare in Europa bevande alla cioccolata, caffè, the, birre e gin, cambiando il gusto dell’epoca.
Per questo cominciarono ad essere commercializzati anche i vini della penisola iberica, e in particolare i vini di Porto. Bordeaux rispose alzando la qualità del suo vino: la famiglia Pontiac per prima decise infatti di mettere in nuove barrique il vino e di occuparsi di curare di più le vigne. Fu allora che nacquero i vigneti del Médoc ed i grand cru bordolesi.
Le vigne hanno una lunga storia, molto fascinosa: si racconta che i notai di Bordeaux, visti i prezzi elevatissimi dei vini italiani, vollero creare dei vigneti autoctoni. Il commercio del vino cominciò a svilupparsi però solo nel XII secolo, quando Eleonora d’Aquitania si sposò con il re d’Inghilterra Enrico II. Dopo che, un secolo dopo, il re di Francia conquistò la Rochelle, dal cui porto si esportavano i vini bordolesi, l’Inghilterra divenne il maggiore importatore, anche grazie ai privilegi fiscali concessi ai negozianti. Quel vino era chiamato “claret” per via del suo colore chiaro, vista la miscela di uve diverse (prima del XVI secolo i vitigni ancora non avevano assunto la struttura degli attuali filari). Nel XVII secolo intanto, gli olandesi cominciarono ad esportare in Europa bevande alla cioccolata, caffè, the, birre e gin, cambiando il gusto dell’epoca.
Per questo cominciarono ad essere commercializzati anche i vini della penisola iberica, e in particolare i vini di Porto. Bordeaux rispose alzando la qualità del suo vino: la famiglia Pontiac per prima decise infatti di mettere in nuove barrique il vino e di occuparsi di curare di più le vigne. Fu allora che nacquero i vigneti del Médoc ed i grand cru bordolesi.
Mart, autunno super con Antonello da Messina. Dal 5/10 due grandi mostre. Bray, e' esempio da seguire
(di Silvia Lambertucci)
ROMA - Il genio rinascimentale di Antonello da Messina che invade le sale del contemporaneo. E a fare da contrappunto uno sguardo sui ritratti di oggi che è anche una riflessione sull'Altro inteso come 'altro da se'. Uscito dal suo anno nero, con l'emorragia di finanziamenti e di visitatori (-50% nel 2012) che lo ha fatto precipitare nelle classifiche internazionali, il Mart di Rovereto guarda al futuro e rilancia, offrendo per l'autunno una doppia mostra di sicuro richiamo.
Costata intorno alle 900 mila euro, la rassegna dedicata al grande Antonello da Messina (così pure come l'Altro Ritratto) aprirà le porte al pubblico il 5 ottobre e si potrà visitare fino al 12 gennaio 2014. Di richiamo i grandi prestiti internazionali, come sottolinea la direttrice del Mart Cristiana Collu, con l'atout di opere che mancavano persino nell'imponente retrospettiva romana di Palazzo delle Esposizioni, come Il Ritratto d'uomo appena restaurato e prestato dal Philadelphia Museum of art, il Salvator Mundi della National Gallery di Londra, la Madonna Benson che arriverà dalla National Gallery di Washington.
"Avvicinare antichità e contemporaneo non è un'idea nuova ma funziona", fa notare Ferdinando Bologna curatore della sezione dedicata ad Antonello da Messina. Il senso "é quello di un confronto fra due incontri con la realtà avvenuti in tempi diversi", spiega. Ma anche un modo per recuperare il senso della storia, riproporlo come radice di ciò che siamo, "Antonello non è solo un pittore di ritratti. E un pittore di tutto" che con i suoi quadri racconta dunque qual'era la visione del mondo al culmine del Rinascimento.
Il progetto, curato con Federico De Melis, propone quindi un'indagine sulla figura del grande pittore del Quattrocento e del suo tempo , attraverso lo studio degli intrecci storico artistici e delle controversie ancora aperte. Curata dal filosofo Jean Luc Nancy, esponente del pensiero post decostruzionista da sempre interessato al discorso del ritratto e della reciprocità dello sguardo fra soggetto e spettatore, la seconda rassegna, L'altro ritratto, torna al contemporaneo con un'esplorazione che comprende tutte le tecniche artistiche, dalla pittura al video, e intreccia diverse generazioni.
Un percorso che parte dai grandi ritrattisti , italiani e stranieri, del Novecento come Vito Acconci, Alberto Giacometti, Gerard Richter, Lucien Freud, Francesca Woodman, Giulio Paolini, Thomas Ruff, Shizuka Yokomizo sino ai lavori più recenti di Jeff Wall, Mark Lewis, Barbara Probst, Margot Quan Knigt, passando per le sperimentazioni di Douglas Gordon e Fiona Tan. Per il Mart non finisce qui: in progetto per l'autunno, in previsione del centenario che ricorre nel 2014 anche una mostra sulla Grande Guerra, aperta dal 4 ottobre al 24 maggio. E sabato 19 ottobre riapre la Galleria Civica di Trento, la cui gestione é stata affidata proprio al museo diretto da Cristina Collu.
ROMA - Il genio rinascimentale di Antonello da Messina che invade le sale del contemporaneo. E a fare da contrappunto uno sguardo sui ritratti di oggi che è anche una riflessione sull'Altro inteso come 'altro da se'. Uscito dal suo anno nero, con l'emorragia di finanziamenti e di visitatori (-50% nel 2012) che lo ha fatto precipitare nelle classifiche internazionali, il Mart di Rovereto guarda al futuro e rilancia, offrendo per l'autunno una doppia mostra di sicuro richiamo.
Costata intorno alle 900 mila euro, la rassegna dedicata al grande Antonello da Messina (così pure come l'Altro Ritratto) aprirà le porte al pubblico il 5 ottobre e si potrà visitare fino al 12 gennaio 2014. Di richiamo i grandi prestiti internazionali, come sottolinea la direttrice del Mart Cristiana Collu, con l'atout di opere che mancavano persino nell'imponente retrospettiva romana di Palazzo delle Esposizioni, come Il Ritratto d'uomo appena restaurato e prestato dal Philadelphia Museum of art, il Salvator Mundi della National Gallery di Londra, la Madonna Benson che arriverà dalla National Gallery di Washington.
"Avvicinare antichità e contemporaneo non è un'idea nuova ma funziona", fa notare Ferdinando Bologna curatore della sezione dedicata ad Antonello da Messina. Il senso "é quello di un confronto fra due incontri con la realtà avvenuti in tempi diversi", spiega. Ma anche un modo per recuperare il senso della storia, riproporlo come radice di ciò che siamo, "Antonello non è solo un pittore di ritratti. E un pittore di tutto" che con i suoi quadri racconta dunque qual'era la visione del mondo al culmine del Rinascimento.
Il progetto, curato con Federico De Melis, propone quindi un'indagine sulla figura del grande pittore del Quattrocento e del suo tempo , attraverso lo studio degli intrecci storico artistici e delle controversie ancora aperte. Curata dal filosofo Jean Luc Nancy, esponente del pensiero post decostruzionista da sempre interessato al discorso del ritratto e della reciprocità dello sguardo fra soggetto e spettatore, la seconda rassegna, L'altro ritratto, torna al contemporaneo con un'esplorazione che comprende tutte le tecniche artistiche, dalla pittura al video, e intreccia diverse generazioni.
Un percorso che parte dai grandi ritrattisti , italiani e stranieri, del Novecento come Vito Acconci, Alberto Giacometti, Gerard Richter, Lucien Freud, Francesca Woodman, Giulio Paolini, Thomas Ruff, Shizuka Yokomizo sino ai lavori più recenti di Jeff Wall, Mark Lewis, Barbara Probst, Margot Quan Knigt, passando per le sperimentazioni di Douglas Gordon e Fiona Tan. Per il Mart non finisce qui: in progetto per l'autunno, in previsione del centenario che ricorre nel 2014 anche una mostra sulla Grande Guerra, aperta dal 4 ottobre al 24 maggio. E sabato 19 ottobre riapre la Galleria Civica di Trento, la cui gestione é stata affidata proprio al museo diretto da Cristina Collu.
Turismo: Widmann, attirare inglesi con il calcio estivo
La squadra di calcio inglese del
FC Watford, allenata dalla leggenda del calcio Gianfranco Zola,
attualmente si sta allenando a Malles nell’Alta Val Venosta.
L'assessore Thomas Widmann ha incontrato i dirigenti della
squadra.
L'evento è interessante e significativo in quanto la presenza
della squadra inglese può essere indubbiamente un veicolo
pubblicitario importante per l'economia turistica della Val
Venosta e dell'Alto Adige nel suo complesso. In questo senso
Widmann sottolinea che il Watford è una squadra piuttosto
importante del campionato inglese e può contare su un numero
considerevole di fans composto per lo più da famiglie. Il
mercato turistico britannico rappresenta un elemento importante
del bilancio provinciale con circa 200.000 pernottamenti
all'anno e singolarmente i turisti britannici sono tra gli
ospiti che investono maggiormente nella vacanza con un esborso
di circa 240 euro pro capite al giorno. (ANSA).
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