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L’Italia è così: un popolo di navigatori, di santi, di Ct della nazionale, di premier. E di amministratori delegati delle Ferrovie. Di Stato o private, non importa...


Binario 2, stazione di Roma Tiburtina, ore 9.55 di venerdì 6 febbraio. Ho sorseggiato un cappuccio caldo, ho acquistato una bottiglia da mezzo litro di minerale gassata, ho un paio di giornali e il pc. Tutto l’occorrente per il viaggio che mi porterà a Milano Porta Garibaldi, dove l’arrivo del treno ad alta velocità Italo è previsto per le 13.18. Il maltempo imperversa sulla penisola, gli Appennini sono battuti dalla neve, Bologna, Piacenza, Cremona e la pianura padana sono a rischio. Il traffico sui binari si preannuncia difficoltoso. In Italia succede sempre così, complici i mass media: d’inverno c’è l’emergenza neve, d’estate si mettono in guardia i cittadini dall’emergenza caldo. E per fortuna non ci sono più le mezze stagioni! Detto fatto: l’agenzia Sir mi dà l’incarico di salire a bordo e raccontare il “viaggio della speranza”.
 
Inviato per un giorno. Ed eccomi dunque al binario 2 a Tiburtina. Italo arriva puntuale: una giovane addetta al treno - che un tempo avremmo chiamato bigliettaia - mi invita molto garbatamente a prendere il posto e si offre persino di aiutarmi con la valigia (i capelli brizzolati producono questi effetti indesiderati). Mi accomodo, sistemo lo zaino, levo il cappotto, apro il computer e mi collego alla rete wi-fi, che però fa un po’ i capricci. Si parte. I sedili sono comodi, il vagone non affollatissimo, ben riscaldato, direi persino pulito. Gli altoparlanti annunciano, in italiano e in inglese, che siamo partiti (me ne ero accorto…) e che le prossime tappe saranno Firenze Santa Maria Novella, Bologna, Milano Rogoredo, Milano Porta Garibaldi e poi via, fino a Torino. La gente chiacchiera, un giovanotto discute ad alta voce al cellulare. Due studenti universitari sorseggiano caffè da un termos portato da casa. Un signore accanto a me sfoglia il “Corriere” e commenta fra sé un paio di notizie. Il paesaggio esterno cambia: dall’Urbe si passa alla periferia capitolina, poi alla pianura laziale, quindi le colline della bassa Toscana. Qui un annuncio prudente: “Stiamo viaggiando con circa mezz’ora di ritardo per via delle avverse condizioni atmosferiche. Terremo informati i passeggeri bla bla bla”.
 
Un “rosario laico”. Mezz’ora di ritardo su poco più di tre ore di percorso. “Poteva andare peggio”, penso tra me. Ma il signore del sedile accanto attacca a borbottare. “È una vergogna, per due fiocchi di neve si ferma l’Italia. Uno prende il treno ad alta velocità perché ha fretta ed ecco cosa succede”. Azzardo: “Beh, i siti on line dei giornali parlano di forti nevicate e grandi disagi. Speriamo che la situazione migliori”. “Speriamo un (caspita) - sbotta il distinto sessantenne -, questa è l’Italia. Il Paese va sempre peggio. Io devo arrivare a Milano per le 4 del pomeriggio perché ho una visita dal cardiologo. Non ci sono scuse, è una vergogna”. La parola “vergogna” gli ritorna sulle labbra per una decina di volte. Una sorta di “rosario laico”, intervallato da anatemi contro la politica, contro lo Stato, contro la “burocrazia che soffoca l’economia”, e via discorrendo. Oltre Firenze il ritardo si accumula e a Bologna il treno si ferma accanto ad altri mezzi ad alta velocità. Tutti fermi: Freccia Rossa, Italo. Un altro addetto passa vagone per vagone e spiega: “Signori scusate. La circolazione è al momento bloccata per via delle forti nevicate. Ci sono problemi alla linea elettrica. Si parla di una sosta di almeno 20 minuti. Per qualsiasi esigenza, siamo a disposizione”.
 
“Ma se rinasco…”. I minuti passano. Diventano 30, 45, 80, in tutto diventano 110. Il malumore serpeggia. Una mamma con un bimbo di 5 o 6 anni chiama il marito per rassicurarlo: “Alessandro, ciao. Sì. Siamo fermi, ma siamo al caldo. Carletto disegna. Ti faccio sapere…”. Due donne avanti con l’età si scambiano delle caramelle: “Per addolcire la giornata”, esclama una. Un ragazzotto dall’aria simpatica prova a risollevare gli umori: “Se la sosta fosse stata alla stazione di Napoli avremmo avuto qualcuno pronto a venderci panini, aranciate e caffè”. Ilarità generale. Solo l’uomo sui 60 ha da ridire: “Non c’è niente da ridere. Se rinasco, non voglio più rinascere in questo Paese di (marmellata)”.
 
Un popolo di santi e di Ct. In quel momento entra nel vagone la terza addetta in divisa. L’uomo le intima di fermarsi e parte la predica: “Ma perché non partiamo? Se nevica non c’è mica bisogno di spalare i binari. E poi cosa ci vuole a far muovere ‘sto treno. Signorina, quanti treni ci saranno in giro a quest’ora…”. La ragazza ascolta, annuisce, sorride con garbo facendo sì con la testa. Abbozza una spiegazione, piuttosto logica. Dal fondo della carrozza si alza una donna rabbuiata che urla: “Ma la racconti a qualcun altro”. Il passeggero al mio fianco rilancia, spiegando, per filo e per segno, come avrebbe risolto lui la situazione. “Ahó, ma chi sei? Un ingegnere ferroviario?” - rilancia il giovanotto simpatico che questa volta sfodera un colorito accento romano. “Te chiamano Sor Italo?”. Mi è impossibile trattenere una risata. Il signore si offende, si alza e cambia carrozza. Nel frattempo una mano amica deve forse aver spalato i binari. Il convoglio si muove e sfreccia fra Emilia e Lombardia. Poco prima delle 15.30 siamo a Porta Garibaldi. Ce l’abbiamo fatta. L’Italia è così: un popolo di navigatori, di santi, di Ct della nazionale, di premier. E di amministratori delegati delle Ferrovie.
agensir