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Paolucci, salva la 'Cappella Sistina' di Pisa

PISA  - "Con questo restauro di enorme valore artistico e la restituzione del Camposanto Monumentale ai pisani si chiude il conto con la seconda guerra mondiale. La scena del Giudizio universale è la Cappella Sistina di Pisa". Lo ha detto Antonio Paolucci che ha guidato i lavori per il restauro degli affreschi del Camposanto Monumentale di piazza dei Miracoli, a Pisa, condotto dalle maestranze dell'Opera primaziale.
Il ciclo di affreschi noto come "Il trionfo della Morte" e attribuito al pittore trecentesco Buonamico Buffalmacco, di cui sono già state ricollocate in parete due scene, le Storie dei Santi Padri e l'Inferno, ha visto ora il completamento di quella che è forse la scena più bella, il Giudizio Universale, che presto sarà ricollocato in parete. Gli affreschi trecenteschi del Camposanto furono danneggiati il 27 luglio 1944 una granata provocò un incendio e la fusione del tetto di piombo: vennero subito staccati dalle pareti e iniziò così una lunga e affascinante storia di salvataggio e restauro.
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Centro di Spiritualità Rosminiana Sacro Monte Calvario Domodossola sede XI Cenacolo Rosminiano

Presso il Centro di Spiritualità Rosminiana (sala Bozzetti), in Borgata Sacro Monte Calvario, 8 di Domodossola (VB) ha avuto inizio Sabato 19 Novembre 2016 alle ore 9, con l'apertura del convegno da parte del Prof. Markus Krienke e del Dr. Lorenzo Airoldi, l'XI Cenacolo Rosminiano

Domodossola,  Le giornate di studio, che proseguiranno anche nella giornata di domani fino alle ore 12,30, hanno avuto come tematiche questione legare al tema "La libertà di Dio, sulla Teodicea di Rosmini" con approcci sistematici, etici, attualizzanti e storici. Un'altra sezione è dedicata a "Metaphisics and anti-Metaphisics"". Tutte le relazioni saranno videoregistrate a cura della "Cattedra Antonio Rosmini" (http://www.cattedrarosmini.org), diretta dal Prof. Markus Krienke Professore di Etica sociale cristiana e Dottrina sociale della Chiesa della Facoltà di Teologia di Lugano. Il ROSMINI INSTITUTE® (PHILOSOPHICAL RESEARCH CENTER) è stato riconosciuto dal Miur (Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca. La Cattedra Antonio Rosmini della Facoltà di Teologia di Lugano (diretta dal prof. Markus Krienke) si impegna nello studio del pensiero di Antonio Rosmini (1797–1855) il quale visse gli ultimi sei anni della sua vita a Stresa ed intrattenne numerose relazioni con il Ticino e Lugano in particolare. A tutto diritto il suo pensiero è stato definito “enciclopedico”, in quanto affronta le dimensioni del sapere umano a partire da una precisa impostazione teoretica che può essere caratterizzata con i termini “personalismo dialettico” e “ontologia trinitaria”. Ecco i due indirizzi della ricerca della Cattedra Antonio Rosmini: temi etico-sociali e metafisici. Secondo il “personalismo dialettico” la persona umana è e deve essere criterio per il giudizio delle strutture sociali, delle politiche concrete, dei processi economici e delle questioni ambientali, e via dicendo. A tal fine, la Cattedra Rosmini non si accontenta con una definizione metafisico-astratta della persona, ma cerca di tematizzare i vari aspetti dell’essere umano attraverso il confronto dialettico con tutte le sfere sociali in cui essa si realizza. Secondo l’“ontologia trinitaria” le antinomie e contraddizioni dell’esperienza umana trovano la soluzione soltanto in una prospettiva metafisica che interpreta l’essere nella prospettiva dell’essere assoluto il quale non è soltanto “uno” ma anche “trino”. In questo modo, Rosmini attualizza la grande tradizione metafisica del pensiero occidentale, nella luce del contributo del cristianesimo, per la modernità, proponendo nuove possibilità di capire i grandi “perché” dell’essere. Questi indirizzi si svolgono mediante la ricerca, la stesura di tesi, convegni filosofici e conferenze serali pubbliche. In queste attività la Cattedra Antonio Rosmini viene accompagnata con il Rosmini Institute (Varese) che gestisce la “VideoCattedra Rosmini” (ROSMINIANA ISSN 2284-4406 – www.cattedrarosmini.org) con video lezioni gratuitamente scaricabili da internet e la “Rosmini TV”, accessibile via streaming (www.rosmini.tv). 

segnalazione a cura del Prof. Giuseppe Serrone
XI Cenacolo Rosminiano 19 -20 Novembre 2016
La Casa del Sacro Monte Calvario è un luogo ideale per organizzare ritiri, esercizi spirituali, incontri di gruppo, vacanze e fine settimana di condivisione, corsi biblici, meditazioni, discernimento, presentazioni, convegni, concerti musicali, incontri e vacanze studio.
Durante la permanenza al Sacro Monte Calvario è possibile sperimentare la pace e silenzio di un luogo completamente immerso nella natura e tranquillità, circondato da un ampio giardino realizzato sui resti di un antico castello medievale.
La casa dispone di quattro aree notte distinte e gestibili in modo indipendente. Sono presenti camere singole e doppie, tutte dotate di bagno interno con acqua calda, doccia, sanitari.
Il Sacro Monte Calvario di Domodossola vi aspetta per un soggiorno di qualche giorno, di una giornata o per una visita di qualche ora.

Centro di Spiritualità Rosminiana

Sede del Noviziato Italiano

Borgata Sacro Monte Calvario
828845 Domodossola (VB)
Tel: 0324.242010
Fax:0324.44460
Cell: 340.3544798
email: rettorecalvario@hotmail.com



Andar per musei sulle tracce delle donne


Un itinerario tra siti e musei in Sardegna, alla scoperta delle principali testimonianze dello status femminile, dalla preistoria all'epoca punica e romana. Lo ha ideato l'archeologo Nicola Dessì, 35 anni, di Perdaxius, nel Sulcis. Prima tappa il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, dove è esposto il maggior numero di rappresentazioni femminili. "Tra queste la più antica finora rinvenuta in Sardegna, la sua datazione dovrebbe essere risalente al Paleolitico", spiega Dessì. Si prosegue al Museo Archeologico di Carbonia, nel Sulcis, dove si può ammirare una spettacolare statuina in argilla risalente al V millennio a.C. e proveniente da una tomba neolitica visitabile dentro la città.
    Sempre nello stesso museo sono esposte alcune delle mille raffigurazioni di Demetra rinvenute nel tempio a lei dedicato nel Comune di Narcao, in località Terraseo. "Questo tempio - sottolinea l'archeologo - venne realizzato nel V secolo a.C. e voleva rendere onore alla più importante divinità dei sardi, colei che incarnava in tutto e per tutto le antiche virtù vitali della Grande Madre". L'itinerario prosegue al Museo Archeologico di Cabras, in provincia di Oristano, che annovera numerosi idoletti neolitici della Dea Madre. "Da qui ci si sposta nell'entroterra, al Museo Archeologico di Teti, in Barbagia, dove è esposta una statuina in pietra rossa di una donna che porta le mani al ventre, indicando la vita che porta nel suo grembo", ci guida ancora Dessì. Il viaggio si conclude a Perfugas, in provincia di Sassari, al Museo Archeologico. "In una vetrina - suggerisce l'esperto - si potrà esprimere la propria meraviglia nell'ammirare una statuina di pietra di una donna raffigurata nell'atto magico dell'allattamento".
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Italia e Mondo Stazioni da incorniciare Quando le metropolitane sono gallerie d’arte

Da luoghi di passaggio a piccoli capolavori artistici: così urbanisti, archistar e artisti hanno trasformato le semplici e spesso anonime stazioni della metropolitana. Nelle grandi città le banchine e i passaggi diventano gallerie d’arte e laboratori di creatività; li contraddistinguono l’uso dei colori, delle luci e delle forme avveniristiche. Ecco alcune tra le stazioni più spettacolari, che meritano una visita e dove aspettare il treno è l’occasione per potersi godere appieno l’atmosfera, i murales e le opere d’arte.
Stazione Toledo, Napoli 
Ha ricevuto premi, elogi e consensi la linea 1 della metropolitana di Napoli, dove le stazioni e i corridoi sotterranei sono stati decorati da più di 90 artisti, locali e internazionali. Un sondaggio del Daily Telegraph l’ha incoronata la metropolitana più bella del mondo; progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets e inaugurata nel 2012, la metro è rivestita da mosaici colorati che riportano scene e immagini della città e dei suoi dintorni. In particolare la stazione Toledo, nel quartiere di san Giuseppe, regala la sensazione di immergersi nell’oceano grazie alle decorazioni bianche e blu e a tutte le sfumature del mare in un gioco spettacolare d’acqua e di luci.
T-Centralen, Stoccolma 
Le 90 stazioni della metropolitana di Stoccolma, decorate da più di 140 artisti, sono proprio come una galleria d’arte, ricca di installazioni sotterranee, mosaici, murales e persino uno scavo archeologico con colonne romane. La stazione T-Centralen è la più spettacolare e suggestiva: qui il soffitto cavernoso, dipinto nel 1950 da Vera Nilsson e Siri Derkert, è ricoperto da piante rampicanti color blu che ricordano primitive pitture rupestri.
BurJuman station, Dubai
E’ famosa per i lampadari a forma di medusa e per le decorazioni ispirate al mondo marino, realizzate in tutte le sfumature del blu. L’avveniristica stazione BurJuman, punto di scambio tra la linea rossa e quella verde di Dubai, la più lunga rete metropolitana automatizzata del mondo, in realtà si chiama Khalid Bin Al Waleed e sorge vicino all’omonimo centro commerciale.
Olaias, Lisbona
Progettata dall’architetto Tomás Taveira in occasione dell’Expo ’98, la stazione Olaias della metropolitana di Lisbona è caratterizzata da colori e materiali unici che ripropongono un enorme e geometrico contenitore di azulejos, le tipiche piastrelle colorate portoghesi. La presenza di colonne di metallo fa da contrasto al gioco lineare delle forme geometriche della stazione. Hanno collaborato alla realizzazione dell’opera anche gli artisti portoghesi Pedro Cabrita Reis, Graça Pereira Coutinho, Pedro Calapez e Rui Sanchez.
Champ-de-Mars, Montreal
Caratterizzata da vetrate con motivi geometrici, la stazione canadese di Montreal contiene una delle opere astratte più famose di Marcelle Ferron, artista del Quebec. La serie di vetrate, realizzata nel 1968, e la posizione della stazione le consentono di ricevere molta luce solare che, illuminando i disegni colorati, forma uno spettacolare e vivace effetto arcobaleno. Per aumentare l’effetto cromatico, le pareti della stazione e del chiosco adiacente sono ricoperte di piastrelle blu e crema; anche il tunnel che collega la metro alla superstrada Ville-Marie è decorata con murales.
Szent Gellért tér, Budapest
Le decorazioni a mosaico della stazione di Szent Gellért, nella capitale ungherese, sono quasi ipnotiche: le piastrelle colorate che decorano le pareti a volta della stazione, recentemente disegnata dall’artista Tamàs Komoròczky, ricordano immagini geometriche spaziali. La stazione si trova sulla linea 4, sotto l’università di tecnologia ed economia, in corrispondenza della piazza omonima, che prende il nome dal patrono di Budapest.
Westfriedhof, Monaco di Baviera 
Progettata dal designer tedesco Ingo Maurer, la stazione Westfriedhof , sulla linea U1 di Monaco di Baviera, è un susseguirsi di grandi lampadari a cupola con luci blu, rosse e gialle che illuminano le sedute e contrastano con le pareti spoglie e grezze in calcestruzzo, che ricordano le grotte. Colorata, creativa e funzionale, la stazione bavarese è ricoperta da neon futuristici che illuminano piattaforme e tunnel. Anche le altre stazioni della metropolitana, sempre disegnate da Ingo Maurer, sono un tripudio di geometrie colorate.
Formosa Boulevard, Kaohsiung
La metropolitana di Taipei regala un’installazione che lascia senza fiato: la “cupola della luce” è un’imponente opera d’arte con più di 4.500 pannelli di vetro, realizzata dall’artista italiano Narciso Quagliata per la stazione di Formosa Boulevard, a Kaohsiung. La spettacolare cupola in vetro colorato ha un diametro di 30 metri per un totale di 660 metri quadrati di superficie, sulla cui vetrata è rappresentata la storia dell’uomo attraverso gli elementi dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco.
Slavjanskij Bul’var, Mosca
E’ un’elegante stazione di snodo tra due linee importanti della metropolitana di Mosca, una delle più antiche al mondo. La stazione Slavjanskij Bul’var, al di sotto dell’omonimo viale, è stata disegnata dall’architetto Volovich, caratterizzata da una sola volta, poco profonda, che si appoggia sulle mura ricoperte in marmo verde, e sormontata da profili in alluminio dove sono stati fissati elementi di illuminazione. Il pavimento è ricoperto da granito grigio.
Bund Tunnel, Shanghai
Non è tecnicamente una stazione ma un tunnel che, con un sorprendente gioco di centinaia di luci, collega le zone Puxi e Pudong sotto il fiume Haungpu di Shanghai. Nella città cinese dove si trova la metropolitana più lunga del mondo, il tunnel offre 647 metri di giochi multimediali e psichedelici, accompagnati da effetti sonori, godibili e apprezzabili dai vetri della carrozza automatizzata.
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Treno del foliage tra Piemonte-Svizzera Vigezzina-Centovalli la ferrovia più panoramica d'Italia

DOMODOSSOLA (VCO) - Viaggiare lentamente, immersi nei colori dell'autunno a bordo della 'Vigezzina' il treno a scartamento ridotto che collega Domodossola a Locarno, tra Piemonte e Svizzera. 'Foliage e lentezza' è l'idea turistica per chi vuole percorrere in treno la valle Vigezzo, in Ossola, e la Centovalli, lembo di terra che scende verso Locarno e la parte svizzera del Lago Maggiore. Un viaggio lento - due ore per percorrere 52 chilometri, 32 in territorio italiano, 20 in Svizzera - sulla ferrovia panoramica che in autunno 'taglia' i colori della Vigezzo, più nota anche come valle dei pittori per aver dato i natali a illustri artisti tra cui Giuseppe Mattia Borgnis e Carlo Mellerio.
    Inaugurata il 25 novembre 1923, la 'Vigezzina', o 'Centovallina' come la chiamano gli Svizzeri, è una ferrovia slow: in un un paio d'ore corre attraverso le Alpi, toccando 32 stazioni disseminate nelle due valli confinanti. Un viaggio in una vera esplosione di colori e atmosfere dorate.
    I treni bianchi-blu della Ferrovia Vigezzina-Centovalli sono un mezzo di collegamento per residenti e un'attrazione per i turisti. In un anno sono 500 mila i passeggeri che la utilizzano sulla tratta italiana, un milione su quella svizzera.
    Tipica ferrovia alpina, la Vigezzina-Centovalli è considerata "la ferrovia panoramica più bella d'Italia". Tra Domodossola e Locarno unisce i paesi della valle Vigezzo, terra di musei come quello degli spazzacamini e valle che ha dato i natali a illustri personaggi come Gian Paolo Feminis, l'immigrato vigezzino stabilitosi a Colonia dove nel 1693 creò l'Acqua mirabilis, che alla sua morte venne prodotta come Acqua di Colonia da un altro emigrato vigezzino, Giovanni Maria Farina. Oppure Giovanni Maria Salati, che nell'agosto 1817, per sfuggire alla prigionia, si gettò in acqua a Dover per raggiungere le coste della Francia: fu il primo ad attraversare a nuoto la Manica.
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Lorca, l'usignolo della bellezza


Con questa ricchissima monografia Gabriele Morelli riporta il fuoco dell’attenzione su Federico García Lorca(1898-1936), che in diverse fasi della nostra cultura entrò nella poesia e nel teatro italiani con la forza prorompente della sua musica variatissima (Garcia Lorca, Salerno, pp. 320, € 16). 

Nella bibliografia sterminata su Lorca conferiscono a questo libro una preziosa unicità la frequentazione di Morelli con i suoi eredi (la sorella Isabel e Manuel Fernandez-Montesinos García, figlio dell’altra sorella Concha e di Manuel, il cognato fucilato poco prima di lui) e con gli ultimi testimoni: la passione critica che accompagna ogni istante il farsi della poesia nella vita pubblica e privata, nella condizione drammatica dell’omosessualità e in tante zone d’ombra non risolte, che culminano con la morte: la viva descrizione degli ambienti, dall’infanzia di Federico immersa nella natura di Fuente Vaqueros a Granada, Madrid, New York, Cuba, il Sudamerica, la Spagna cupa che lo martirizza.La parola di García Lorca nasce con la musica, una trasmissione materna che include lo zio Baldomero, il maestro Segura, e dal 1919 il grande Manuel de Falla: pianoforte e chitarra classica fusi nella ricerca sul campo di motivi popolari, gitani e moreschi. Ma essi diventano subito un’invenzione assoluta, una cosa nuova, mai conosciuta, su cui fioriscono tutte le sperimentazioni che Lorca prova instancabilmente.

Il poeta va a caccia: caccia notturna in un bosco lontanissimo. Prova «comprensione simpatica dei perseguitati. Del gitano, del negro, dell’ebreo... del moro che tutti noi portiamo dentro». Nel giugno 1936, quasi allo scoppio della guerra civile confessa che in quei momenti tragici l’artista deve «ridere e piangere col suo popolo. ... rinunciare al mazzo di gigli e tuffarsi nel fango fino alla cintola per aiutare quelli che cercano i gigli».Federico coglie come un’ape ora la libertà d’associazioni del surrealismo senza le sue gratuità (dopo il primo Libro de poemas 1921, nel Poema del cante jondo 1921/2-1931, nelle Canciones 1924, nel Romancero gitano 1928).

Ora acuisce e dilata suoni e fantasmagorie dell’America nell’età del jazz, della cultura negra che lo appassiona, e della mostruosità di Wall Street alla vigilia del crollo nel Poeta en Nueva York 1929/30-1940: e che meraviglia la fluente, liberata “Oda a Walt Whitman”. Ora assorbe l’eros di Hafiz incarnato in El Andalus nel Diván del Tamarit(1936). Ora trasforma Shakespeare, Góngora, san Juan de la Cruz e il Cantico nei portentosi Sonetos del amor obscuro che vennero scoperti dopo la morte, editi nel 1984: poesia d’amore di una bellezza quasi inarrivabile.In un testo non bello del 1818, “El canto del miel”, Lorca dichiara l’ascendenza mitica del poeta ape: i Greci chiamano api le Muse. 

La sua arnia è una stella casta, pozzo di ambra che alimenta il ritmo delle api. La poesia è il miele, che addensa metafore: parola di Cristo, oro fuso del suo amore, la cui perfezione di nettare è mummia della luce del paradiso: materialità dell’infinito, anima e sangue dolente dei fiori condensata attraverso un altro spirito: canto dell’età dell’oro, liquore divino dell’umiltà, incarnazione dell’armonia, essenza geniale e dorata del lirismo, dolce come il ventre delle donne, gli occhi dei bambini, le ombre della notte, una voce, un giglio: supremo sole che illumina, consola, equivale a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni: liquore divino della speranza dove l’anima e la materia in unità raggiungono equilibrio perfetto come nell’ostia il corpo e la luce di Cristo. 

“El canto del miel” esalta la lirica: musica dolcezza che viene dal dolore. Una scelta sacra, sacrificale, per niente di moda oggi.Come espone ampiamente Morelli, intorno a Lorca sin dagli anni Venti e non solo in Spagna, s’irradiano interessi e scambi di un ambiente internazionale con al centro Jiménez, Ortega y Gasset, Unamuno, Valle-Inclán, i Machado. Vi si uniscono i più giovani Salvador Dalí e Luis Buñuel, Jorge Guillén, Rafael Alberti, Pablo Neruda, Vicente Aleixandre, Damaso Alonso, Gerardo Diego, Luis Cernuda. Le arti si fondono con le lettere, il teatro le riassume, e prima l’attività della Barraca con la diffusione dei classici nelle campagne, poi i tour oltreoceano espandono la meteora di Lorca.

D’improvviso, la sua barbara esecuzione da parte di militanti franchisti gettò l’aura del martirio sul fascino che già lo circondava, non solo in chi ne aveva riconosciuto subito il genio mobilissimo e la grazia suprema di grande malinconico. Si riverberava in ogni forma di mitizzazione.Nel 1955 la voce di Federico García Lorca risuonò nelle case italiane attraverso le profonde vibrazioni del Lamento per Ignacio Sanchez Mejias letto da Arnoldo Foà col commento musicale di Mario Gangi per la chitarra di Piero Gosio, che scandiva l’andamento a concerto del poema. Tutti furono conquistati da una poesia nobile e tragica, potente e suasiva, familiare per la sua classicità e insieme esotica, che esaltando la figura di Ignacio non solo torero ma simbolo della cultura spagnola, attraeva verso paesaggi di un comune fondo mediterraneo bruciato da miti oscuri e solari, da tenerezze soavi e profumi arabizzanti, da ferocie sanguinose e da un nero abbagliante. Carlo Bo, che dopo Angiolo Marcori (Poeti nuovi di Spagna, “Rassegna Nazionale”, 1930), Giuseppe Valentini e in seguito Oreste Macrì aveva tradotto Lorca verso la fine degli anni Trenta e nel 1962 ne avrebbe pubblicato tutte le poesie con Guanda, un anno dopo l’edizione di Vittorio Bodini di tutto il teatro per Einaudi, presentava il Lamento come il frutto più maturo, un vero e proprio testamento, “la parte più alta” della poesia di Lorca nel senso dell’elegia.
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