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A Barbara Jatta il premio “La Roma Russa 2019”

Il riconoscimento al direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, per il grande successo della mostra “Roma Aeterna” organizzata dalla Pinacoteca vaticana presso la Galleria Tret’jakov di Mosca
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Ieri sera, nel settecentesco Palazzo Poli-Fontana di Trevi, il direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, ha ricevuto il premio “La Roma Russa 2019” per la categoria delle Arti figurative, nell’ambito del festival internazionale culturale La Roma Russa, dedicandolo alla nonna russa e ricordandone “la sua profondissima anima russa”. Il riconoscimento, assegnato ogni anno dal 2017, alle personalità che si sono contraddistinte in campo artistico e professionale per la promozione all’estero della cultura russa, va a premiare il grande successo della mostra “Roma Aeterna” organizzata dalla Pinacoteca vaticana presso la Galleria Tret’jakov a Mosca tra il 2016 e il 2017, che ha portato, per la prima volta in Russia 42 capolavori della collezione permanente della Pinacoteca; e la mostra nel Braccio di Carlo Magno, in Piazza San Pietro, “Pilgrimage of Russian Art. From Dionysius to Malevich”, allestita tra il 2018 e il 2019 con 54 capolavori provenienti dalla Galleria Tret’jakov ed altri musei russi.
Vatican News

Architettura e sacro. Se l'aereoporto e la cattedrale si confondono tra loro

Nei commenti sui social il nuovo aeroporto di Pechino di Zaha Hadid è paragonato a una nuova cattedrale: che cosa rivela sul rapporto tra architettura contemporanea e sacro?

L'aeroporto di Daxing, progettato da Zaha Hadid Architects (WikiCommons)



Ho trattato più volte questioni inerenti la mia personale idea di chiesa, di luogo del sacro in generale. Le tematiche sono molteplici e una graduatoria è molto difficile da stabilire. Eppure vi sono alcuni aspetti essenziali che dividono i modi di pensare l’edificio sacro, e riguardano una coscienza estetica complessiva. Mi sono sempre appassionato all’altro. Inteso, oltre che come persona, come alternativa, percorso differente che porta in luoghi differenti dalle strade di una percezione consolidata, comune a se stessa, di maniera, accademica o semplicemente abitudinaria. La fotografia quando è nata ha detto che la pittura era altro, il design dice che l’indagine poetica è altro, la didascalia dice che il significato è altro.

Recentemente è stato inaugurato il sorprendente aeroporto di Pechino Daxing dello studio Zaha Hadid Architects, il secondo della Cina ma sicuramente il primo in termini di innovazione e visionarietà. Molte sono le realizzazioni dell’architettura contemporanea che generano stupore e che spingono costantemente avanti i paletti di una innovazione senza fine. Quella che nasce spesso da modellazioni parametriche divenute un po’ il marchio di fabbrica del pensiero di Zaha Hadid ne rappresenta un intero filone ancora lungi dall’esaurimento, anche se denota una stanchezza dovuta a una certa ripetitività dei moduli.

Sulla pagina Facebook del sito web specializzato Architizer.com viene riportata una immagine di grande effetto di un angolo dell’aeroporto. Una ascensione organica verticale i cui materiali, la cui stessa composizione riporta a una idea forte, anche se consueta, di assoluto, di spirituale, di rarefatto e imponente. Alla base una seduta curvilinea con luci che nella collocazione può ricordare un presbiterio laico o qualcosa di simile. Tutto molto d’impatto. Nella massa di commenti, più o meno irrilevanti secondo gli standard da social network, uno non poteva non riscuotere la mia attenzione. Recita più o meno: “It's the new cathedral!” (è la nuova cattedrale).

Associazione assolutamente comprensibile e condivisibile: ma non per una proficua riflessione, ad esempio, sulla sacralità nella quotidianità, quanto per una presa di coscienza della complessa banalità con cui le nostre associazioni percettive lavorano. Associazioni nutrite da un fine perseguito con ostinazione, ovvero quello di scimmiottare l’architettura civile per il contesto del sacro.

Il luogo sacro è altro per definizione, altro in continuità se si vuole, ma indiscutibilmente e definitivamente altro. Tutta la ricerca, che non vedo attuata quasi mai, che riguarda la funzione della bussola d’ingresso come passaggio da una realtà a un’altra è basata su un paradigma senza cui perde di senso. Entrando in un luogo sacro si dovrebbe essere in un luogo altro, inserito nel tessuto urbano e quotidiano ma differente. Si attraversa un diaframma, si vive una trasfigurazione della realtà che non è rivolgimento, ma – con licenza teologica e poetica – “transustanziazione”.Invece succede che per avere la percezione di una cattedrale la gente deve andare in aeroporto. E in questo aeroporto cinese ancora di più.

Evidentemente qualcosa non torna. Fra i tanti, il problema fondamentale della sacralità contemporanea è che a forza di andare alla rincorsa di una legittimazione da parte della società del convenuto accettabile, le realizzazioni del sacro sono diventate la serie B degli aeroporti, degli auditorium, delle stazioni di metropolitana.

Si spacca in quattro il capello per far sì che una chiesa di nuova costruzione sia riconoscibile dall’esterno, ma i parametri che sono accolti spesso sono proprio quelli che la rendono indistinguibile, una storia senza una sua storia, senza una sua estetica raffinata e autonoma, senza una sua identità. Intendo certamente una identità contemporanea ma anche una identità che permetta di non confondere la torre di un hangar per un campanile o una splendida hall di una aeroporto per una cattedrale.

Il percorso è sicuramente tutto da rifare, anche se credo ci siano dei semi qua e là. Certo è che il contenuto comunicativo non verbale di ciò che si realizza rischia di essere il segno di una assenza di coraggio e ispirazione nel profumare di un profumo diverso, nuovo, magari pungente, certamente vivo, realtà che invece si omologano sempre più ai deodoranti sintetici di cui i costruttori impregnano le auto che escono di fabbrica per dare il senso di “nuovo”. Nuovo e finto.

Avvenire

La mostra. L'arte di William Blake: visionaria, profetica e libera

La Tate Britain dedica all’artista e poeta una grande retrospettiva. La sua visionarietà è stata spesso letta come anticipazione del ’900 ma è soprattutto la complessità a renderlo davvero “moderno”

William Blake "Pity" (1795 ca), particolare


In un suo autoritratto a grafite del 1802 William Blake pianta gli occhi dritti dentro quelli dello spettatore. È uno sguardo sfrontato, che come uno specchio interroga più di quanto riveli. Sincerità e mistero sono cifre che si rincorrono in tutta l’opera del grande artista inglese (17571827), poeta e pittore insieme, autore di incisioni, libri illustrati e di poche tele, per quanto abbia sempre aspirato al grande formato («acquerelli ovvero affreschi» diceva).

A lui Londra la Tate Britain dedica una grande retrospettiva che ne consente una visione completa. Il talento visionario di un outsider nel proprio tempo e poi divenuto figura centrale della cultura inglese, è testimoniato in oltre duecento tra stampe, acquerelli, disegni: opere in cui Blake raggiunge il grandioso nella pressione del piccolo formato. E i libri illustrati (su testi propri o altrui): un’opera d’arte complessa, totale, in cui la parola è visione e l’immagine, nel suo essere simbolo, parola; e in cui i disegni non illustrano i poemi ma si stratificano in livelli paralleli. Anche visivamente figura e parola non si compenetrano ma entrano in frizione producendo energia.

Blake fu artista antiaccademico per eccellenza, eppure ciò non significa che non abbia fatto tesoro degli anni di scuola. Come da prassi alla Royal Academy di Londra copia l’antico e i maestri del Rinascimento. In mostra è esposto uno studio che elabora la lunetta di Matthan, dalla Sistina. La serie degli antenati di Cristo è la meno celebre degli affreschi di Michelangelo, ma è anche la più densa, misteriosa e compositivamente complessa. È uno spunto che si riflette su tutta l’opera di Blake: le figure della Sistina (il Giudizio anche per la spazialità) sono un repertorio fondamentale e ricorsivo fino all’ossessione. Blake sceglie Michelangelo come modello per la forza visionaria ma anche perché è il genio fuori dagli schemi, l’artista titano che lotta contro la materia e contro il suo tempo. Ed è artista poeta.

Presto si aggiungono i suoi contemporanei: l’espressionismo di Füssli e il linearismo di Flaxman, artisti escono dai canoni estetici dell’accademia per esplorano un’arte dal forte impatto emotivo e bisognosa di una libertà e di strutture nuove. Gli acquerelli di Blake da una parte mantengono saldi alcuni degli elementi classici (la costruzione a fregio che comporta assenza di sfondo e prevalenza di profili, il sistema retorico dei gesti) dall’altra si fanno non solo più liberi ma anche più difficili da interpretare, l’iconografia esce dagli schemi tradizionali fino a diventare inedita.

L’impronta resta salda fino alla fine: Blake dimostra l’inconsistenza della scolastica separazione tra mondo neoclassico e romanticismo, che sono due registri, due chiavi interpretative e infine elementi di un dualismo sincrono, moderno prima di tutto per una complessità che non teme la contraddizione. Razionale e irrazionale si fondono: il contemporaneo Frankestein non è uno spettro ma il frutto della scienza.

Complessità è dunque la cifra di Blake, il cui mondo visivo di archetipi, di iperboli e di forze cosmiche in contrasto, non teme la compresenza di Bibbia, mitologia nazionale (Albion) e soprattutto auto-mitologia (il demiurgo Urizen, il ribelle Orc), scienza (Newton, deificato). Ci sono Shakespeare, Dante, Milton. C’è anche il clima dei Canti di Ossian,pubblicati nel 1760 da James MacPherson come un ritrovamento ma in gran parte frutto della sua penna: il mito autoctono è in realtà opera della contemporaneità.

Questo forse è lo sforzo più grande per il visitatore: capire Blake dentro la sua epoca. Perché Blake è spesso letto come il visionario anticipatore, il progenitore di espressionismo e surrealismo. Ma la sua libertà di creativa fu tale, e i confini concettuali e simbolici così incerti, che il rischio di manipolare Blake a partire dal Novecento è alto.

La mostra colloca Blake e la sua opera nei tempi e nei luoghi: dove e quando le opere sono state create, chi le ha viste e con quali reazioni, chi le ha sostenute e collezionate. Capire Blake nella sua epoca: e dentro la sua epoca Blake si colloca come un profeta biblico che usa il linguaggio di Genesi e Apocalisse per sferzare il presente. Una scelta che consente di spiegare la sua parziale marginalità e il fallimento su larga scala. Fino a che punto siamo allora autorizzati a leggervi i semi della modernità? Nella misura in cui siamo coscienti che il nostro è un riconoscimento retrospettivo. Blake non anticipa: sono i posteri che individuano in lui un modello da raccogliere e sviluppare.

Blake è innanzitutto moderno in quanto uomo di un tempo di transizione, nel quale nuove realtà e dimensioni devono essere espresse con mezzi storici oppure da forgiare in autonomia. Blake sceglie entrambe le vie. È moderno nel suo opporsi ad alcuni versanti della modernità, come il materialismo tecnologico. Il suo libro illustrato è anti-industriale: ogni pagina è un pezzo unico perché può essere stampata e colorata in modo differente, e i libri stessi esistono in multiple versioni. Allo stesso tempo però le sue immagini sono percorse da brividi elettrici.

La modernità di Blake, prima che nelle sue forme, è nell’indipendenza dalle regole definite dagli standard sociali e dell’arte, mercato compreso. È sintomatico della modernità anche nella costruzione di un personale religiosità, vincolata ma non sovrapponibile all’anglicanesimo. L’arte come critica, come profezia, come utopia: Blake è il prototipo dell’artista radicale.

Ed è moderno, in ultima istanza, in quanto la sua potenza fantastica è prima di tutto costruzione e affermazione della libertà dell’uomo nel regno dello spirito e della conoscenza. Lo chiariscono le immagini che aprono e chiudono la mostra. La prima è Albion Rose, un raggiante nudo maschile del 1793 che si erge danzando sopra la materia informe, alba di un uomo nuovo. L’ultima è The ancient of Days, il frontespizio di Europe, in cui Urizen sembra il dio creatore ma in verità è la scienza stessa che misura il cosmo con il suo compasso elettrico.

Londra, Tate Britain
WILLIAM BLAKE
Fino al 2 febbraio 

da Avvenire

Mercatini e presepi, le mete perfette per un Natale all'italiana

null © Ansa

Il countdown al Natale è ufficialmente iniziato e gli italiani sono pronti a immergersi nello spirito di festa che lo caratterizza. Ma quali saranno le città del Bel Paese preferite dai viaggiatori tricolore alla ricerca di mercatini, presepi, dolciumi e regali perfetti da mettere sotto l’albero? momondo.it ha analizzato i propri dati e svelato la top 5 delle destinazioni maggiormente amate dagli abitanti dello Stivale per il periodo più magico dell’anno.
Napoli: la capitale italiana dei presepi è ancora in testa - Anche questo Natale, il capoluogo campano conquista il cuore degli italiani, Napoli, capolista dello speciale ranking momondo, è la città per eccellenza quando si parla di creatività natalizia. Passeggiare per via San Gregorio, la “via dei presepi”, è un must, con mostre permanenti e botteghe di artigiani. Vale la pena fermarsi e osservare di persona quali nuove miniature di vip, politici e calciatori popoleranno il presepe partenopeo del 2019: si spendono circa 82 € a notte, ben il 15% in meno rispetto al 2018.
Le 5 delle destinazioni preferite dagli italiani per una vacanza a tema natalizio nel 2019
Posizione Destinazione Prezzo medio a notte in hotel a 3 e 4 stelle Variazione percentuale di prezzo 2019 vs 2018
1 Napoli      82  € -15%
2 Bolzano  139  € -1%
3 Merano  154   € -5%
4 Verona    70   € -4%
5 Trento   107   € -13%

La regione prediletta dagli italiani è il Trentino, ma qui si spende di più - I viaggiatori dello Stivale non hanno dubbi: quando si parla di mercatini è d’obbligo spingersi in Trentino, dove l’immagine è una sola: bancarelle e profumo di vin brulé e dolci, con il sottofondo di musiche a tema. Nella top 5 di momondo compaiono infatti ben tre località della regione: Bolzano (2°) e Merano (3°) – che guadagnano entrambe una posizione in classifica rispetto al 2018 – e Trento, che si conferma al quinto posto. Tutte e tre risultano però le più costose, con prezzi medi a notte tra i 107 € e 154 €, in hotel a 3 e 4 stelle.
Qualche dritta per i più curiosi - Il mercatino di Bolzano è il più grande e famoso d’Italia e dà appuntamento a viaggiatori provenienti da tutto il mondo in piazza Walther (dal 28 novembre al 6 gennaio). Spostandosi di soli 30 km, si arriva a Merano nel cui centro storico (negli stessi giorni) si è avvolti da sentori di cannella e delizie regionali e dove i più piccoli possono giocare nella casetta di Goldy, la mascotte del mercatino. Al mercatino di Natale di Trento (dal 23 novembre al 6 gennaio), invece, si possono gustare salumi, formaggi e vini locali e dedicarsi allo shopping gastronomico in vista del cenone.
Verona: la meta salva euro dell’inverno - Nonostante sia passata dal 2° al 4° posto rispetto allo scorso anno, Verona è sempre nei pensieri dei viaggiatori dello Stivale durante il periodo natalizio ed è la più economica in classifica, con un prezzo medio di 70 € per una notte. Luci e colori della città Patrimonio Unesco scaldano il cuore già dalla seconda metà di novembre, quando vengono inaugurati i mercatini di piazza dei Signori, aperti fino al 26 dicembre, con le caratteristiche casette in legno, create in collaborazione con il Christkindlmarkt di Norimberga, gli addobbi in vetro, i prodotti artigianali e le tante golosità.
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