Fotografia. Quel mago di Doz. Viaggio nella memoria del fotoreporter istriano

Quel mago di Doz. Viaggio nella memoria del fotoreporter istriano

da Avvenire
In un tempo “frammentato” e “a-mareggiato”, pieno zeppo di patetici “selfie made man” («sempre lì a immortalare le loro belle facce e a rendere pubbliche le loro vite, o presunte tali») il mestiere di fotografo è messo a durissima prova. Dopo aver profetizzato la fine della Storia (Fukuyama), c’è tra gli intellettuali chi sentenzia come imminente l’estinzione della fotografia. Se poi, come Nevio Doz, poeta della frammentazione e delle a-mareggiate, si sceglie di percorrere il sentiero più impervio, come quello della fotografia artistica, allora è assai probabile che la destinazione sia a un passo dall’abisso. Condizione esistenziale che il “mago” (dello scatto umano e generoso) Doz ha sperimentato spesso nella sua vita nomade, consumando scarponi e portando il suo«animo zingaro» – come ha scritto Marco Carminati in introduzione al succulento viaggio per immagini Italia. Patrimonio ambientale e cultura gastronomica (Grafica&Arte) – sulle rotte meno battute, anche dai suoi più illustri colleghi. 
Nato nel 1952 sulla sponda slava dell’Adriatico, a Volosko, piccolo borgo di pescatori che oggi fa parte del comune di Abbazia (Opatja) in Istria (Croazia), Doz è un «figlio del mare». Il mare è la sua musa, come testimoniano gli storici reportage da Camogli a Stintino, nei porti e nei luoghi marini che ha scandagliato per riportare a galla le ultime tonnare, e come conferma Frammenti e maree la mostra che ha appena inaugurato a Trieste (nella Sala della Meridiana della Camera di Commercio del Friuli Venezia Giulia, fino al 2 ottobre). Un racconto per immagini in cui rievoca simbolicamente “storie” delle genti slave («metafora di tutta l’umanità offesa e massacrata») che si sono infrante contro le «onde del male», volti su specchi riflessi e vetri frantumati da cui riaffiora ciò che rimane: «Ricordi e disperazione di chi un giorno è stato costretto a lasciare la propria terra, la propria casa, e in un istante ha perso tutto, a cominciare dalla propria dignità di uomo». 
Doz getta reti, per raccogliere «tra i pezzi di vetro» nuove forme, pensieri di speranza, nei fondali dei ricordi sbiaditi da questo tempo liquido, veloce, molestamente superficiale. «Nell’era del dannato selfie mi sono rimesso in viaggio, sempre con la mia macchina fotografica al collo. Sono tornato al mare di Volosko dove giocavo sulla riva con la mia barchetta di legno. È lì che ho sentito i pescatori raccontare le storie di uomini, di donne e bambini in fuga per colpa di una guerra che in troppe zone del mondo non è mai cessata. Noi, siamo i testimoni diretti di un esodo perenne, che fa male al cuore...». Doz spegne la tristezza con il sorriso guascone dell’uomo che si sente più fortunato, il suo “esilio” a Milano fu doloroso ma dettato da semplici ragioni lavorative dei suoi genitori. Il padre, Emilio, classe 1911, apparteneva alla gioventù asburgica «devota a Cecco Beppe» era un istriano di Umago. La madre Caterina Maradov, proveniva da Pancevo, cittadina non distante da Belgrado (Serbia) dove era nata «nel 1925» da una famiglia austriaca emigrata durante la Grande Guerra. 
«Del mio paese ricordo tutte le scene e gli attori che lo popolavano, sembrava il set di un film del mio amico Emir Kusturica. Nei miei sogni rivedo le barche colorate dei pescatori, i pesci variopinti di tutte le fattezze che andavo a stanare tuffandomi giù al molo». Un altro molo è quello che a Trieste ha fotografato ripensando a coloro che «sono riusciti a scampare all’inferno delle foibe e solo per un soffio divino non sono finiti in fondo al mare, legati dal fil di ferro... Qui c’è il “Magazzino 18” che nella montagna di carcasse e di oggetti abbandonati conserva ancora i segni della tragedia. Quelle cose sono rimaste lì ammucchiate nel tempo, perché nessuno è potuto o è voluto tornare a riprenderle... Così Frammenti e Mareevuole essere un pezzo della mia memoria condivisa con quella storica della città di Trieste». Una città di frontiera che accende la creatività di un artista puro, prossimo al traguardo del mezzo secolo di “scatti umani”
«I primi scatti in effetti li feci che ero bambino, con la mitica Bencini Coroll II regalata da mio padre che divenne anche il mio primo “modello”, in ogni senso». L’uomo da cui ha ereditato l’arte del sorriso e dell’incontro, ma soprattutto la «visionarietà », quella che con una Leica al collo, che poi è diventata una Nikon, l’ha reso uno degli ormai rari fotoreporter davvero liberi. «Ho cominciato con le manifestazioni studentesche di Milano capeggiate da Mario Capanna». Fin dagli esordi sempre scatti in bianco e nero quelli di Doz, sulla scia di Cartier Bresson «genio d’ironia e fenomeno assoluto dell’inquadratura». I primi reportage a Brera, in cui era il ragazzino che agognava a far parte dell’ultima bohème, quella seduta ai tavoli del Bar Jamaica: i fotografi Ugo Mulas, Mario Dondero, lo scrittore Luciano Bianciardi. «Ma i miei veri amici e punti di riferimento erano lo scultore Elvio Becheroni e il pittore Tore Canu, grazie al quale feci il mio primo “scoop”: l’assassinio di Aldo Moro. Pubblicarono la mia intervista all’avvocato nuorese Giannino Guiso, il “tramite” della trattativa tra Curcio delle BR e lo Stato. Guiso, braccato dai media di tutto il mondo teneva la bocca ben cucita, ma doveva un favore a Tore Canu che con le sue “amicizie” aveva fatto liberare un amico dell’avvocato sequestrato dall’Anonima sarda... Perciò articolo firmato e mie foto in prima pagina. Subito dopo fui il primo a fotografare e scrivere la storia della “moglie segreta” di Tito». 
Nella terra di Tito c’è poi tornato nei primi anni ’90 per documentare, durante e dopo, la guerra fratricida della ex Jugoslavia. «Lì sono nato, ma i miei luoghi dell’anima restano le periferie milanesi: Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, la Comasina, la tana della banda Vallanzasca. È da lì che, zaino in spalla, sono arrivato ai piedi dell’Himalaya e poi alle tribù degli indiani d’America con i quali ho vissuto e viaggiato per cinque anni visitando le loro riserve. Al termine di questo affascinante tour il mio fraterno amico Rodney Arnold Grant, “Vento nei Capelli” nel film Balla coi Lupi mi disse: “Il tuo Grande Spirito è anche il nostro”». Quella grande anima lo segue ancora, tenendosi aggrappato alle lunghe chiome del Doz che lo scorrere del tempo ha reso candide, come le nevi delle cime del Colorado su cui è salito, «scollinando in sella a una Harley Davidson».
In moto dal New Mexico all’Arizona, per mare attraversando gli oceani, ormeggiando in tutti i porti del Mediterraneo, in volo fino ad arrivare in India. «Ho raccontato e fotografato la Calcutta di Madre Teresa che accarezzandomi con parole dolci, pronunciate in serbo-croato, mi regalò questa medaglietta che conservo... – la mostra orgoglioso – È il mio unico tesoro. Vedi, c’è l’ombra scura e indelebile del bacio della Santa. Per rivivere quei giorni con Madre Teresa tornerei domani mattina in India, così come vorrei rivedere Ketchum-Sun Valley dove riposa il mio amato “Papa”, Hemingway. Lì, nella tomba accanto a uno dei suoi figli, un giorno sotto la neve con stupore ho trovato un libro tradotto in italiano… Portava la dedica di un lettore di Firenze e tenendolo tra le mani ho avvertito la piccolezza di questo nostro mondo che ho attraversato, come tutti i veri viaggiatori, alla ricerca di un senso». Quel senso che Doz sente di aver sfiorato, e a tratti catturato nella sua fotografia. «Dopo che ho sviluppato l’immagine, resta una conchiglia dentro la risacca. A volte invece ci sono solo fantasmi, che magari non esistono, ma per magia sono riuscito ad afferrarli e renderli umani, almeno il tempo di uno scatto».

Lirica scontata per giovani e l'impegno di scuole e famiglie

Alzi una mano chi ha ascoltato in classe – non dico alle elementari, ma almeno alle medie o alle superiori – un atto completo di Traviata o l’intera Bohème. Licei musicali a parte, se a qualcuno è capitato, è perché ha trovato un insegnante convinto che non si potesse trasmettere la nostra cultura alle nuove generazioni e formare l’identità di un cittadino italiano prescindendo dall’opera lirica. Siamo la patria del belcanto e del melodramma, ma la scuola lo ignora. Va bene Dante. Va bene Verga. Va bene Pirandello. Però si può fare a meno di Verdi, Puccini, Donizetti, Rossini... (a proposito, qual è lo studente di liceo che negli ultimi mesi ha sentito parlare in aula del 150° anniversario della morte del genio di Pesaro che ci ha lasciato perle come Il barbiere di Siviglia o laPetite Messe solennelle? ). Allora ben venga l’iniziativa annunciata ieri dal ministro per i Beni culturali, Alberto Bonisoli, di offrire ai ragazzi fino ai 25 anni biglietti a due euro per opere, balletti e concerti proposti da tutte e quattordici le fondazioni lirico-sinfoniche della Penisola.
Il Teatro alla Scala di Milano, dove Bonisoli ha presentato il progetto, è stato il primo ente ad aderire: in un anno metterà a disposizione 2.200 posti a prezzi scontatissimi per i quindici titoli d’opera più i sette di balletto in cartellone. È una novità il prezzo, non l’idea. Sempre il Piermarini, ad esempio, ha avviato già da tempo un percorso privilegiato per gli “under 30”: biglietti a costi ridotti, una prova d’insieme gratuita e soprattutto l’anteprima per i giovani del titolo che inaugura la nuova stagione ogni 7 dicembre. Così accade che a centinaia si mettano in coda per un’intera notte pur di conquistare un tagliando della “primina”. Forse, però, è più efficace la scommessa lanciata negli ultimi anni da alcuni templi della lirica nostrani (e mutuata dall’estero dov’è una tradizione consolidata): quella di portare a teatro le famiglie con i bambini proponendo i capolavori della lirica a misura dei più piccoli, ossia ridotti e riadattati.
La Scala, il Maggio Musicale Fiorentino, l’Opera di Roma – per citare qualche esempio – lo fanno con uno straordinario (e probabilmente inaspettato) successo di pubblico. Il Petruzzelli di Bari ha addirittura messo in scena quattro opere del tutto nuove commissionate ad hoc per i ragazzi. È quindi sicuramente lodevole tagliare i prezzi dei biglietti (alla Scala o all’Arena di Verona si arriva a 250 euro a poltrona in platea) ma la scoperta della lirica non si improvvisa. Altrimenti c’è il rischio che un giovane, uscito da teatro dopo aver assistito per la prima volta a quattro ore d’opera, non ci rimetta piede trovando il tutto troppo ostico e “lontano” dalla sua sensibilità. Siccome la scuola latita, tocca allora ai genitori ma anche a benemerite associazioni, bande locali, sodalizi rimboccarsi le maniche per dare ai figli un po’ di educazione musicale. Che invece dovrebbe essere una priorità pubblica nel Paese più “lirico” del mondo.
avvenire

VENEZIA, CONTRO INVASIONE TURISTI 'VIETATO SEDERSI A TERRA'

 Venezia riflette su nuove misure severe contro il turismo considerato 'cafone', a cominciare dal divieto di sedersi o sdraiarsi a terra. 

Dalla bici all’asino, 5 proposte di turismo slow



 Pedalare, fare trekking, viaggiare sui treni panoramici o a bordo di imbarcazioni fluviali permette di apprezzare meglio il territorio, i borghi, gli scorci e i monumenti che si incrociano durante il percorso, curva dopo curva, chilometro dopo chilometro. Il viaggio “lento” è un modo tranquillo e riflessivo di fare turismo: richiede più tempo e mezzi di trasporto più lenti ma ugualmente comodi; promuove la qualità, valorizza il territorio e la cultura locale e favorisce la scoperta di luoghi spesso lontano dai soliti itinerari del turismo “mordi e fuggi”. Lo slow travel si sta diffondendo in ogni settore con proposte e destinazioni sempre nuove, agenzie di viaggio specializzate e associazioni personalizzate. I viaggi a piedi o comunque con mezzi che permettono di godere appieno del paesaggio si stanno diffondendo al punto che il 2019 è stato proclamato “anno nazionale del turismo lento”. Un importante contributo alla promozione di questo modo rilassato di viaggiare è dato dalla riqualificazione delle linee ferroviarie dismesse e di numerosi immobili pubblici inutilizzati - ville, masserie, edifici rurali e cascine - trasformati in strutture ricettive.
La lentezza, dunque, è un valore, uno stile di vita da riscoprire, come dimostra anche il festival che la Reggia di Colorno, in provincia di Parma, organizza dal 15 al 17 giugno con eventi, concerti, dibattiti, stand gastronomici, laboratori, spettacoli, arte di strada e un persino con un premio letterario. Ecco 5 proposte di turismo slow in Italia con mezzi di trasporto diversi, rigorosamente lenti.
La Laguna di Venezia a bordo di un houseboat - Si estende per circa 100 chilometri la Laguna di Venezia, caratterizzata da canali, zone paludose e 11 isole; un’enorme e affascinante area naturale, patrimonio mondiale dell’Unesco, poco conosciuta proprio perché a ridosso di Venezia, città che attrae la maggior parte dei turisti. L’houseboat è il mezzo ideale per scoprire l’immensa laguna: l’imbarcazione fluviale è comoda, facile da guidare perché non richiede patente né una particolare esperienza, e regala un modo inedito e rilassato di scoprire il territorio lagunare. Con l’imbarcazione si salpa da Casale sul Sile e si naviga verso il borgo di Casier, dove ci si può fermare per la notte. La navigazione prosegue attraverso il parco del fiume Sile, una lussureggiante vegetazione impreziosita da eleganti ville con giardino. Superata la conca di Portegrandi, si entra nella Laguna di Venezia tra canneti e distese d’acqua fino all’isola di Burano, da visitare per le sue abitazioni colorate lungo le strette calli, per il museo del merletto o semplicemente per fare shopping. Dopo una notte ormeggiati, si attraversa il canale fino a Torcello, deliziosa isola famosa per i mosaici bizantini dorati della basilica di santa Maria Assunta. Da qui si naviga per un’ora fino a Venezia, costeggiando due isole da non mancare: l’affascinante san Francesco del Deserto, che incanta con il suo monastero francescano, e sant’Erasmo, detta l’orto di Venezia, da visitare al tramonto. La navigazione prosegue per Vignole, il Lido di Venezia e Murano. Anche l’ultimo tratto verso Chioggia è affascinante: si costeggiano le piccole isole di san Servolo, santa Maria delle Grazie, san Clemente e santo Spirito. Una lingua di terra che divide la laguna dal mare permette di ormeggiare per recarsi a Malamocco e Pellestrina, oppure si naviga fino a Chioggia, proprio nel centro della città, per visitare “la piccola Venezia” e Sottomarina, la località balneare più famosa. Al ritorno l’itinerario verso nord permette di visitare borghi e isole diversi da quelli dell’andata. Per una settimana si spendono per un’imbarcazione da 2mila a 4mila euro a seconda del periodo, del tipo di barca scelta e del numero di cabine. Informazioni e prenotazioni: www.houseboat.it
A piedi lungo l’entroterra ligure - Di fronte al mare della Liguria si apre un paesaggio inatteso e sorprendente, fatto di montagne, boschi, rocce e gruppi di case arroccate sui pendii erbosi, delimitati da sentieri, antiche strade romane e mulattiere che è possibile percorrere a piedi. La rete di percorsi, che collega i borghi ai monti e al mare, è particolarmente ricca; tra questi il “sentiero Liguria” (www.sentieroliguria.com) è tra i più affascinanti, servito da trasporti locali, strutture ricettive e ristoranti. L’itinerario, che misura circa 600 chilometri e si articola in 29 tappe e alcune varianti, collega Luni, borgo di La Spezia, a Grimaldi, frazione di Ventimiglia tra boschi di lecci, uliveti, vigneti, muretti a secco, scogliere a picco sul mare, giardini, monumenti di interesse artistico-culturale e borghi medievali. Tra questi due sono particolarmente affascinanti: Perinaldo e Dolceacqua, che si trovano sull’ultima variante del percorso verso Ventimiglia. Perinaldo è un borgo suggestivo e affascinante che si appoggia sulla cresta di una collina tra ginestre e coltivazioni di mimose e carciofi, grazie ai quali è diventato un presidio di Slow Food. Ha dato i natali a Gian Domenico Cassini, primo astronomo alla corte del Re Sole: affreschi sulla sua vita decorano le stradine in pietra del paese, che ospita un osservatorio astronomico aperto ai visitatori. Il sentiero della Val Nervia scende a Dolceacqua, delizioso borgo dominato dai resti dell’imponente castello dei Doria. Case arroccate, stradine acciottolate e un ponte di pietra sono state immortalate in alcuni quadri dell’impressionista Claude Monet, che amava molto questa zona della Liguria.
 A bordo dei treni storici in Sicilia e in Campania - Per valorizzare e incentivare il turismo slow una legge ha permesso di recuperare 18 linee ferroviarie dismesse che consentono ai treni a vapore di tornare a sbuffare e a far scoprire paesaggi e territori spesso poco battuti dal turismo di massa. Oltre a sperimentare tratte storiche e suggestive c’è anche la possibilità di partecipare a manifestazioni e a eventi interessanti, come quello che offre la linea ferroviaria da Siracusa a Ragusa a bordo del treno “a tutto volume”. Il prossimo 17 giugno, in occasione del festival dei libri di Siracusa, parte dalla stazione della bellissima città della Val di Noto un treno storico con carrozze degli anni Trenta. All’arrivo alla stazione di Ragusa è previsto il trasferimento nel centro storico e, dopo il pranzo, la visita alla città con una guida. Dalle 18.30 alle 21 è possibile assistere agli incontri del Festival, dove verranno offerti un libro e piccole degustazioni. I biglietti di andata e ritorno partono da 10 euro. Un’altra linea interessante è l’Archeotreno Campania che una volta al mese viaggia da Napoli fino ai parchi archeologici di Pompei e Paestum, patrimonio Unesco. Si parte a bordo di una storica locomotiva con carrozze anni Trenta, che si fermano a Pietrarsa san Giorgio a Cremano e arrivano a Pompei e a Paestum per visitare i Parchi. Le date del servizio sono: il 24 giugno, il 22 luglio, il 26 agosto, il 23 settembre, il 28 ottobre, il 25 novembre e il 23 dicembre. Anche in questo caso le tariffe partono da 10 euro a persona. Sempre da Napoli parte il Reggia Express, treno storico che una volta al mese arriva alla Reggia di Caserta: si parte dalla stazione di Napoli su carrozze anni Trenta e Cinquanta e si viaggia fino al viale d’ingresso del sito monumentale per la visita della Reggia, patrimonio Unesco. I biglietti – 8 euro a persona e 4 per i ragazzi - comprendono il viaggio di andata e ritorno e sconti per l’entrata alla Reggia e al Parco. Le prossime date sono: l’8 luglio, il 12 agosto, il 9 settembre, il 14 ottobre, l’11 novembre e il 9 dicembre. Informazioni:www.fondazionefs.it
A dorso d’asino in Sardegna - La nuova frontiera del turismo slow in Sardegna si chiama trekking someggiato, escursionismo a dorso d’asino. I docili animali permettono di scoprire lentamente e in tutta tranquillità il territorio con escursioni e passeggiate giornaliere per adulti e bambini, generalmente a partire dai 6 anni. Ci si addentra lungo mulattiere, cammini di transumanza e sentieri sterrati che si inoltrano in una natura incontaminata fatta di rocce, scarpate, pascoli e scogliere con viste mozzafiato sulla costa. Sono sempre più numerose le associazioni specializzate in trekking con gli asinelli; in particolare a Supramonte, nella parte centro-orientale della’isola, caratterizzata da rilievi calcarici, macchia mediterranea, insediamenti nuragici, tombe dei giganti, grotte e scogliere che si affacciano su una delle coste più belle al mondo, da Dorgàli a Baunèi. E’ la provincia dell’Ogliastra e offre spettacolari itinerari e passeggiate di alcune ore a dorso di asinello con una guida esperta che illustra le bellezze naturali e archeologiche che si incontrano nel cammino. Per maggiori informazioni sul trekking someggiato: www.visitbaunei.it ewww.agriturismodorgali.com
In Puglia su due ruote - Il cicloturismo è l’espressione più popolare e diffusa di turismo lento. Le ciclabili sono presenti su tutto il territorio, così come le strutture legate a chi ama viaggiare pedalando. Il motore di ricerca “Albergabici” (www.albergabici.it) permette di individuare facilmente, regione per regione, le strutture ricettive - hotel, agriturismi, B&B, pensioni, campeggi, rifugi montani, ostelli o residence - che garantiscono a chi viaggia sulle due ruote accoglienza e servizi utili come le riparazioni e la vendita di abbigliamento, mappe e guide. Il sito “Bicitalia” (www.bicitalia.org) permette di scoprire le ciclovie più suggestive e i tanti percorsi, diffusi in tutta la Penisola. Tra questi vi segnaliamo la ciclovia dei Borboni che collega Bari a Castel del Monte in 67 chilometri su strade secondarie asfaltate con poco traffico locale. Si pedala nella storia e nell’arte alla scoperta di chiese, castelli, masserie, trulli, muretti a secco e grotte rupestri. L’itinerario parte dalla zona a traffico limitato della muraglia di Bari, dove merita una visita la basilica di san Nicola, fino alla stazione da dove si pedala in direzione sud fino a incrociare la nuova pista ciclabile di viale Unità d’Italia. Si prosegue per qualche chilometro su una strada un po’ trafficata fino al santuario Madonna della Grotta, visitabile con una piccola deviazione a destra, seguendo il sentiero che è una lama carsica, un solco eroso dalle acque. Superato Modugno, si arriva all’antico casale di Balsignano e, su un pianoro affacciato sulla Lama Lamasinata, si visita il più antico villaggio neolitico della Bassa Murgia. Abbandonata la strada provinciale per Bitritto, si pedala per una stradina poco frequentata che attraversa un fitto uliveto e sale dolcemente fino a Bitetto, famoso per la cupola maiolicata della sua cattedrale. Quattro chilometri più avanti una salita porta al Palo del Colle, superato il quale si scende verso Palombaio, dove una strada corre parallela alla provinciale in campagna tra dolci colline ricoperte di ulivi e vigne. Da qui si entra nel parco nazionale dell’Alta Murgia, un territorio affascinante e aspro con tratti in salita sotto al sole; ecco perché è bene fare una sosta a Ruvo di Puglia, famoso nell’antichità come il maggior centro di produzione di ceramiche, prima di arrivare, in cima a un colle, a Castel del Monte. Informazioni: www.viaggiareinpuglia.it

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