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Verso l'era degli insetti. Una tavola più «sostenibile»


Stefano Mensurati di Rai Radio Uno m'ha svegliato verso l'una di notte per commentare con me una notizia, nella sua rubrica «Tra poco in edicola». Sequestro a Milano di 50 kg di polpette di larve, risotto alle vespe e filetti di bachi. Una cena degli orrori, vien da pensare, ed invece era quella che gli organizzatori (con già 240 prenotazioni), immaginavano come la cena del futuro. Eppure, gli ispettori dell'Asl sono stati inflessibili: merce non vendibile. Anche se in Thailandia, Cambogia e Perù un pasto del genere sarebbe equivalso a una cena da tre stelle Michelin. 
Ma la stessa cosa era accaduta pochi giorni prima a Torino, al Salone del Gusto, dove Slow Food aveva imbastito una degustazione a base di insetti. Niente da fare. E che succederà allora all'Expo, dove le tradizioni di certi Paesi prevedono la cucina entomologa? 
L'argomento è tutt'altro che banale e nel mese di maggio di quest'anno, a Ede, nei Paesi Bassi, c'è stata una conferenza promossa da Fao e Università di Wageningen su "Insects to feed the world". Ma è passata via, nel senso che le leggi in Occidente, per questo tipo di alimentazione continuano a essere inadeguate. E ciò che non si conosce si censura. Ma intanto, mentre da almeno due anni se ne discute anche sui giornali italiani, lo chef Carlo Cracco sta già studiando un piatto a base di locuste. Del resto, ha scritto sul proprio sito Slow Food: «La Terra si prepara a ospitare nove miliardi di persone. Non merita prendere in considerazione altre fonti di sostentamento?». 
Detto questo ci sono insetti ed insetti. E quelli commestibili sono comunque ricchi di proteine, ma anche di
ferro e zinco, considerati micronutrienti essenziali. E poi, rileva sempre l'organizzazione di Terra Madre: «Occupano meno spazio di un allevamento di vitelli, minori emissioni di gas a effetto serra e un tasso di conversione dei mangimi non paragonabile. Un solo chilo di mangime produce 12 volte più proteine di quante ne abbia il manzo».
Ma c'è di più, visto che alcune specie di insetti, resistenti alla siccità, possono richiedere meno acqua di vacche, maiali o pollame, fino a sostituirsi alle materie prime utilizzate per i mangimi animali (dalla soia al pesce). Già, ma cosa provocherebbe l'allevamento di insetti, ammesso che aumentino l'offerta mondiale di proteine riducendo sprechi e immondizia?
L'entomofagia bussa alle porte, anche se fa storcere il naso. Ma al di là delle reazioni psicologiche che provoca, sorgono due considerazioni: perché non si prova a prendere in considerazione, scientificamente parlando, la sostenibilità di questa ipotesi. E soprattutto perché, se qualche centinaio di persone vuole provare una cucina del genere (con tutte le garanzie sanitarie del caso, che sono un prerequisito) glielo si impedisce. Io credo che questo articolo, letto fra una trentina di anni, potrebbe fare solo sorridere.
avvenire.it

Mosca e piogge fanno soffrire l'olio di oliva italiano


Quest'anno in Italia la produzione di olio di oliva subirà un forte e importante taglio. Quello che non ci voleva, per un comparto che è già alle prese con una situazione alquanto delicata. A mettere in fila diversi numeri preoccupanti, ci si sono messi l'Unaprol (il più importante consorzio di produttori a livello nazionale), l'Ismea (che segue i mercati agricoli) e la Coldiretti. 
Il 2014 dovrebbe vedere un crollo della produzione pari al 35%. Colpa di un insetto – la mosca olearia –, e del maltempo. Una situazione che fa il pari con l'andamento del mercato complesso e da governare con attenzione. Tutto – spiega una nota di Unaprol e Ismea –, avviene in uno scenario che vede altri marchi storici dell'italianità agroalimentare volare all'estero, i prezzi della materia prima aumentare (+40% su base annua), le esportazioni di olio made in Italy pure (+ 13% di cui + 18% gli oli extra vergine), come anche le importazioni (+43% in volume e +12% in valore). Aumentano (+3%), inoltre, le vendite del prodotto nei primi otto mesi del 2014. L'unico segmento che non riesce a beneficiare dei valori della crescita è quello della produzione, nonostante il differenziale di prezzo che, in questo momento tra gli oli italiani e quelli spagnoli, è di 1,47€ kg., rispetto a 0,43€ in media del 2013. 
È sulla base di questi numeri che i produttori puntano il dito sulle cose che non vanno. «Quello che colpisce – viene spiegato – è l'assenza di una visione strategica del sistema Paese sul futuro di questo settore». Eppure, anche se i consumi mondiali sono sostanzialmente stabili, gli spazi per migliorare ci sono. Il differenziale di prezzo fra Italia e Spagna è il segnale che il mercato chiede più qualità ed è disposto a pagare per ottenerla. Ma Coldiretti insiste sui rischi che si corrono: «Sul mercato – spiegano i coltivatori diretti –, è praticamente impossibile riconoscere il prodotto straniero per la mancanza di trasparenza in etichetta». Coldiretti – con ragione – lancia quindi l'allarme «sull'invasione di olio di oliva dall'estero» tanto che nel 2014 potrebbe essere raggiunto il massimo storico in quanto a importazioni di olio di oliva che potrebbero raggiungere un valore pari al doppio di quello nazionale che registra un produzione attorno alle 300mila tonnellate.
È quindi l'ora, per questo comparto, delle strategie ad alto livello. Un'operazione che occorre fare perché tocca un settore prezioso per il Paese, che vale 2miliardi di euro, si estende su una superficie di oltre un milione di ettari, coinvolge 900mila aziende che originano 50 milioni di giornate di lavoro.
avvenire.it

Festa a Genova per battesimo Costa Diadema

Un fragoroso applauso e una pioggia di paillettes dorate ha accolto stasera il suono della bottiglia che si è infranta decisa sulla prora di Diadema, nuova ammiraglia di Costa Crociere. Si è così celebrato, in una giornata di festeggiamenti a Genova, il battesimo della più grande nave italiana mai costruita. Momenti di grande emozione hanno accompagnato il taglio del nastro da parte della madrina, la giovane agente di viaggio italiana Carolina Miceli. La cerimonia è stata preceduta da una parata che ha visto la madrina, al braccio del comandante Massimo Garbarino e seguita dalle damigelle d'onore in rappresentanza di Germania, Francia, Spagna e Cina, percorrere i vari ponti della nave, ormeggiata al Ponte dei Mille, fino a giungere sul palco del Teatro Emerald dove il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e Presidente della Cei ha benedetto la nave dopo che tutti gli ospiti si erano alzati in piedi per l'inno nazionale.
"Questa nave farà felice molta gente ed è l'ambasciatrice del meglio dell'Italia" ha affermato l'amministratore delegato di Costa Crociere Michael Thamm dopo aver ringraziato l'architetto Farcus che ha realizzato gli interni e Fincantieri per i risultati raggiunti. Ad augurare "vento in poppa e mare piatto" è stato l'ingegner Antonio Quintano direttore generale dello stabilimento Fincantieri di Marghera dove la nave è stata costruita. Parole di augurio anche dal sindaco di Genova Marco Doria e dal presidente della Regione Liguria Claudio Burlando.
"Ci auguriamo che la storia di Costa possa continuare ancora e che diventi sempre più grande" ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. "E che il Signore ti faccia traversare mari sempre tranquilli" ha affermato Bagnasco prima di impartire la benedizione alla nave. Nel suo intervento Bagnasco ha affermato che i trasporti contribuiscono alla conoscenza tra i popoli, sottolineando poi che: Costa porterà in tutti porti e in tutti i mari il vero volto dell'Italia, professionalità, stile, signorilità, accoglienza. 
"Costa Diadema stabilirà nuovi standard di qualità nell'industria delle crociere in Europa. Rappresenta la miglior espressione del nostro nuovo posizionamento di brand, basato sul concetto di offrire il meglio dell'Italia" dice l'amministratore Delegato di Costa Crociere, Michael Thamm.
ansa

New York scintilla per le feste natalizie. La città si prepara ad accogliere 5 milioni di turisti con show e eventi

di Paola Mentuccia

Non c’è occasione migliore di visitare New York che durante il periodo natalizio. La capitale più scintillante del mondo si anima come in nessuna altra stagione dell’anno e regala emozioni di altissimo livello: luci e decorazioni illuminano le strade della città, si accende l’Albero di Natale del Rockfeller Center e le stravaganti luminarie di Dyker Heights rendono speciale l’atmosfera a Brooklyn. Le festività saranno inaugurate ufficialmente il 27 novembre dalla tradizionale Macy’s Thanksgiving Day Parade e proseguiranno con un fitto calendario di eventi fino a gennaio. NYC & Company, ente del turismo di New York City, si appresta ad accogliere i cinque milioni di visitatori previsti per il periodo natalizio con iniziative in ognuno dei distretti newyorkesi.
Manhattan - Giunta all’88esima edizione, la Macy’s Thanksgiving Day Parade, la più famosa parata della Festa del Ringraziamento, si terrà quest’anno il 27 novembre e sfilerà dall’incrocio tra la 77th Street e Central Park West a Herald Square. Uno straordinario show in movimento che coinvolge ogni anno oltre diecimila partecipanti con carri colorati, bande musicali ed enormi gonfiabili dei più celebri personaggi del mondo animato. Al Rockefeller Center, l’albero simbolo del Natale di New York City sarà illuminato a partire dal 3 dicembre. La cerimonia di accensione, con spettacoli live dalle 19 alle 21 e ospiti del mondo dello spettacolo, richiama decine di migliaia di persone e milioni di spettatori che assistono in diretta televisiva all’evento. Decorato con migliaia di luci LED e con una preziosa stella di Natale firmata Swarovski, l’albero rimarrà acceso fino al 7 gennaio. Per tutta la stagione invernale fino ad aprile, inoltre, sarà aperta la pista di pattinaggio sul ghiaccio The Rink at Rockefeller Center, che può ospitare un massimo di 150 pattinatori alla volta.

Sarà invece decorato con origami l’albero di Natale all’American Museum of Natural History: sarà possibile ammirarlo dal 24 novembre al 4 gennaio. Il 27 dicembre, inoltre, il museo ospiterà la Kwanzaa Celebration, commemorazione della comunità afroamericana e il Mount Vernon Hotel Museum & Garden, antica dimora del XIX secolo nell’Upper East Side, sarà decorato per le feste e propone visite guidate a lume di candela il 5 e 6 dicembre alle 18, alle 19 e alle 20.
A partire da novembre, sarà poi possibile fare acquisti originali nelle bancarelle dei mercatini di Natale, che apriranno in diversi punti della città: l’Union Square Holiday Market, dal 20 novembre al 24 dicembre, il Columbus Circle Holiday Market dal 2 al 24 dicembre, l’Holiday Shops at Bryant Park allestito già dal 21 ottobre e aperto fino al 4 gennaio all'interno del Winter Village a Bryant Park e il Grand Central Holiday Fair dal 17 novembre al 24 dicembre nella Vanderbilt Hall di Grand Central Terminal.
Durante le feste non c’è niente di meglio che concedersi una serata a teatro con famiglia e amici. Due gli spettacoli da non perdere, grandi classici di stagione: Radio City Christmas Spectacular con le Rockettes, fino al 31 dicembre al Radio City Music Hall, e Lo Schiaccianoci di George Balanchine del New York City Ballet dal 28 novembre al 3 gennaio. The ride’s Holiday Edition permette di girare per la città ammirando le strade e gli edifici decorati a festa. On Location Tours propone Holiday Lights & Movie Sites, il tour che permette di scoprire la città seguendo le tracce di grandi film del Natale girati a New York City come “Miracolo sulla 34a strada”, “Mamma ho perso l’aereo”, “Elf” e altri. Disponibile dal 28 novembre al primo gennaio, WindowsWear è invece un tour che porta alla scoperta delle più belle e stravaganti decorazioni e vetrine di Natale. La visita inizia da Macy’s Herald Square per proseguire su Fifth Avenue passando per l’Empire State Building, Bryant Park, Rockefeller Center, Central Park e altri indirizzi iconici della città. Il Flatiron District festeggia il periodo di Natale con la rassegna 23 Days of Flatiron Cheer: per 23 giorni, a partire dal primo dicembre, il quartiere ospiterà numerose attività tra eventi, promozioni nei negozi e omaggi speciali. La 28esima edizione di Miracle on Madison Avenue è in programma, invece, per il 6 dicembre: i negozi situati tra la 57th e l’86th Street doneranno il 20% dei ricavi delle vendite della giornata a beneficio di The Society of Memorial Sloan Kettering Cancer Center. E ancora: Gingerbread Extravaganza torna a Le Parker Meridien e per tutto il mese di dicembre e fino agli inizi di gennaio, le panetterie e i ristoranti locali realizzeranno dolci di pane allo zenzero creativi. I visitatori potranno scegliere il migliore acquistando i biglietti al desk del concierge dell’albergo e i profitti saranno destinati al City Harvest. Per tutto il mese di dicembre tornano, infine, gli spettacoli di luci LED all’Empire State Building che si illuminerà a tema natalizio, offrendo uno show sensazionale. I visitatori dell’Osservatorio potranno assistere inoltre a performance live di Natale all’80esimo piano e ammirare una veduta a 360 gradi sulla città.

The Bronx - Perfetta per chi viaggia con i bambini la visita ai New York Botanical Garden dove dal 15 novembre al 19 gennaio torna l’Holiday Train Show: trenini elettrici di varie epoche viaggiano attraverso più di 100 modelli in scala delle icone newyorkesi, dal Brooklyn Bridge allo Yankee Stadium, costruiti con materiali naturali come corteccia, rami e semi. L’Holiday Family Day al Bartow-Pell Mansion Museum di Pelham Park è il 6 dicembre: le famiglie potranno ammirare questa residenza del 19° secolo decorata per Natale e i bambini saranno coinvolti in diverse attività tra cui la foto con Babbo Natale. Per tutto il mese di dicembre, Wave Hill ospiterà eventi a tema per famiglie, tra cui l’Holiday Weekend workshop il 6 e 7 dicembre, i fine settimana Family Art Projects dedicati all’arte e l’esibizione live dei pianisti Soyeon Kate Lee e Ran Dank della Nutcracker Suite di Tchaikovsky il 14 dicembre.

Staten Island - L’Historic Richmond Town propone i Candlelight Tour il 13 dicembre. Candele, lampade a olio e caminetti accesi faranno brillare il quartiere storico situato a nord di Staten Island. Le prenotazioni sono già aperte.

Queens - Queens Historical Society presenta il 7 dicembre l’Annual Historic Holiday House Tour. La visita guidata include il passaggio da sette musei e siti storici del Queens decorati per il Natale: Kingsland Homestead, Flushing Quaker Meeting House, Flushing Town Hall, Voelker Orth Museum, Lewis H. Latimer House, Louis Armstrong House Museum e Bowne House. Il Louis Armstrong House Museum ospiterà delle speciali visite guidate per tutto il mese di dicembre accompagnate dalla voce registrata di Louis Armstrong in “Twas the Night Before Christmas (A Visit from St. Nicholas)”. Il tour della durata di 40 minuti all’interno della casa, inscritta tra i National Historic and New York City Landmark, permette di scoprire la vita della leggenda del jazz.

Brooklyn - Giunto alla sua ottava edizione, A Slice of Brooklyn’s Christmas Lights & Cannoli Tour offre ai visitatori l’opportunità di visitare con un tour guidato il quartiere di Dyker Heights, famoso per le stravaganti decorazioni di Natale delle sue case. La visita si conclude con una degustazione di delizie come cioccolata calda e cannoli. I tour saranno operativi dal primo al 31 dicembre.
ansa

GRANA, la disputa millenaria: padano o emiliano?

Raccontano 1000 anni di storia, 10 secoli di sapienza monastica divenuta nutrimento del corpo e non solo dello spirito. L’anno scorso, Grana Padano e Parmigiano Reggiano hanno mosso 4.472 milioni di euro. D’altronde, già nel cuore del ’500 il loro antenato era richiesto da mezza Europa. E già allora, a mezzo millennio dalla prima caseificazione, deliziava anche «i Reverendi Abbati, Vescovi,  Arcivescovi, Cardinali e Papi, i Conti, Marchesi, Duchi, Arciduchi, i Re e gli Imperadori».

Ecco il «cacio piacentino», altrove detto «Melanese», «Lodesano», «Brassiano» piuttosto che «Mantoano» o «Veneto». E ovviamente «Parmesano», anche se il forestiero che pronunciava per tutti il nome «Grana» poteva star certo di essere compreso. Lo riferisce il conte Giulio Landi, feudatario di Caselle, nella sua Formaggiata: una lode al «Serenissimo re della virtude», il latticino a pasta granulosa e cotta che il nobile dona al cardinale Ippolito de’ Medici insieme a quel bizzarro componimento.

Tradizione vuole che la prima forma a pasta di «grana» sia stata prodotta nel 1135, in concomitanza con la fondazione dell’abbazia di Chiaravalle milanese. È quanto riportano gli agronomi Arrigo Caleffi ed Eugenia Mazzali, che nel loro Accadde molti secoli fa... Grana Padano
(2000), ricordano l’origine delle grance: le comunità agrarie sorte all’ombra dei grandi monasteri benedettini e cistercensi; quelle stesse che «riportarono la valle del Po a una condizione vivibile, bonificando terre basse e impaludate, sistemando prati e marcite, e dando vita ai primi allevamenti di bestiame di questa nuova era».
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Allevamenti, cioè latte in abbondanza. Sempre più in eccesso. Ecco allora l’intuizione di un formaggio che ne richiedesse in gran quantità, che stagionasse, che durasse nel tempo. Che inaugurasse una sorta di
green economy, in cui nulla si perdesse di ciò che natura aveva donato. Nasce così il caseus vetus, quel «cacio vecchio » così inizialmente chiamato dai suoi religiosi artefici cultori del latino.
Eppure, la data del 1135 non convince. Come nota Valerio Ferrari, studioso di storia naturale e antropica padana, «è poco credibile pensare che i Cistercensi di Chiaravalle, appena fondato il nucleo di quella che sarebbe divenuta la celebre abbazia, si fossero messi a inventare formaggi mai visti prima. Probabilmente – considera – a loro va attribuito il merito di aver perfezionato tecniche già conosciute'. Che ci riportano dunque indietro di almeno un secolo, a 1000 anni e forse oltre da oggi, quando alcuni ordini religiosi avviarono l’allevamento bovino.
L'abbazia di Abbadia Cerreto (Lodi)
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Sta di fatto che la prima testimonianza certa porta la data del 1254, e associa il formaggio alla città emiliana: in un atto notarile custodito a Genova nell’Archivio di Stato si legge infatti casei paramensis, cioè «(di) formaggio parmigiano ». Idem un secolo più tardi: Giovanni Boccaccio, elevando quel latticino a leccornia dell’immaginario paese di Bengodi, scrive nel suo Decameron «eravi una montagna tutta di parmigiano grattugiato».
La marchiatura delle forme
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Che il granuloso formaggio sia dunque nato oltre il Po? Landi dissente: con quel nome non bisogna intendere il luogo che per primo «inventò » il «Serenissimo», bensì il suo maggior centro di smercio. Una cosa è certa: ai suoi tempi, il monastero benedettino di San Giovanni Evangelista a Parma già coordinava una rete di grance di cui il
caseus vetus era il fiore all’occhiello. Ma attenzione. Nel XVIII secolo, il libertino avventuriero Giacomo Casanova sconfessa sia la teoria di Parma, sia quella di Chiaravalle. E avvalora, seppure indirettamente, l’ipotesi di Ferrari. Lo fa nella sua autobiografia, dove rammenta all’«Europa ingrata» che l’«eccellente formaggio» detto «Parmigiano...
in realtà, non è di Parma, ma di Lodi». E più d’una fonte, a voler ben vedere, indica nel Granone lodigiano il progenitore di tutti i «Grana».

Il caratteristico metallico per il trasporto del latte 
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Poco importa: il 'nuovo' vecchio caseus nacque nella Valle del Po, e col tempo si allargò all’Appennino. Fuorviante solo in apparenza Giulio Cesare Croce (1550-1609), che alla lettera «V» de L’Alfabett in lod dol buon formai recita: «Virgilio nella bucolica che fece, sopra ogni cosa loda il buon Formaggio». Nessun dubbio che il prodotto di 1600 anni prima fosse molto diverso dal 'nuovo' «Mantoano», ma è comunque suggestivo ricordare che, quando il cantastorie bolognese scrive il suo giocoso abbecedario, nelle terre dell’alto Mincio i Gonzaga già da tempo irrigano i prati stabili: distese a vegetazione grassa e spontanea, alcune delle quali ancor oggi alimentano un particolare Grana Padano.

È il Settecento a vedere i primi studi sull’antico cacio, mentre il secolo successivo testimonia in area emiliana il rifiuto dei conservanti: la prima vera differenza tra Parmigiano Reggiano e Grana Padano, i cui produttori nel 1934 e 1954 fondano i rispettivi consorzi e scelgono la linea del Po quale confine naturale tra i 2 marchi. Nel frattempo, la Convenzione di Stresa del 1951 aveva deciso di separare i 2 colossi, imponendo precisi disciplinari di produzione e dichiarando il Grana Padano erede dell’antico Lodigiano. Ultimo di alcuni atti normativi, il riconoscimento Dop (Denominazione d’origine protetta) conferito nel 1996 dall’allora Comunità europea (Ce).

Oggi, è la storia a orientare il futuro: Ettore Capri, docente di Chimica agraria alla Cattolica di Piacenza, ha da poco inaugurato uno studio sul ciclo di vita del Grana. Vuole tornare alle origini, eliminare quanto più possibile l’impatto ambientale della sua produzione. A lui non interessano le dispute sul luogo preciso in cui nacque la prima forma: «Il Grana – scandisce – è il formaggio di questi territori con i loro paesaggi, la gente che li popola, la sua cultura millenaria. E i suoi ordini religiosi, che hanno mostrato il valore sociale dei beni scaturiti da un perfetto ecosistema agroforestale».
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Il sogno di Orazio, ecco una vera anima per l'Expo

Quella che vi sto per raccontare è la storia di un angelo matto. Di un sognatore, di uno che sa dove vuole andare, perché ha dentro "il sogno della giovinezza". Orazio Schelfi lo conosco da una ventina di anni. Da quando scendeva dalle malghe sul Monte Baldo per vendere il suo Primo Fiore, un formaggio straordinario, di cui è rimasto pressoché l'unico produttore. 
Ma come in tutte le cose italiane non ha sempre avuto vita facile per affermare il suo prodotto: la burocrazia complica la vita, anche se, colpo di fortuna, un bel dì, nella sua malga arriva nientemeno che il presidente della Repubblica Ciampi. E il suo Primo Fiore torna alla ribalta delle cronache. 
Ieri l'altro, dopo tanto tempo, sono tornato a trovarlo, in Trentino, sugli altipiani di Brentonico, località Festa, ed ho visto quello che san Benedetto avrebbe definito «l'eroico che diventa quotidiano». Orazio ha 48 anni, sette figli, un caseificio dove lavorano con determinazione, ma soprattutto un'azienda agrituristica, con sette camere, una sala da pranzo e una teoria di situazioni per l'accoglienza, costruite pezzo dopo pezzo, nei lunghi inverni di montagna, con i suoi figli. 
C'è una sala, che io battezzerei proprio del sogno della giovinezza, dove spunta un albero di ciliegio. Ed è il ciliegio dove lui giocava e sognava. Anche il figlio più piccolo un giorno gli ha detto: «Ma se scende tanta neve come facciamo a uscire di casa e andare dalle bastie?». E Orazio gli ha chiesto: «Tu cosa dici?». Detto fatto hanno costruito un tunnel bellissimo, di pietra, che diventerà presto un percorso, che collega l'azienda al caseificio, secondo le tecniche di scavo usate durante le due grandi guerre. 
Orazio si sveglia alle 4 del mattino per andare nei mercati a vendere il formaggio, mentre la moglie Miriam segue la famiglia, l'agriturismo e accudisce la suocera che ha 80 anni. La quale dice che è felice, solo felice nel vedere i frutti: ha 18 nipoti e un pronipote. Ma Orazio, che nel fisico e nella fierezza dello sguardo assomiglia a suo padre (il sogno della giovinezza) ritratto in Egitto su un cammello, ha voluto portare i suoi saperi a Lima, in Perù, dove ha insegnato a fare il formaggio e a gestire un caseificio, prendendosi del tempo, per quello che si può definire un personale impeto missionario. 
Perché racconto questa storia che mi ha letteralmente sbaccalito? Perché ho mangiato bene in quell'agriturismo, e poi ho dormito nel silenzio di un sabato d'autunno immerso nella natura e nei castagni? No, anche se tutto questo è accaduto. Parlo di Orazio, innanzitutto, perché in poco tempo mi ha fatto vedere la forza della famiglia italiana, che è memoria, solidarietà, ingegno, capacità di restituzione. Sogno. L'anima dell'Expo, cui tanto si parla, sta dentro a queste storie: il nostro essere, la nostra Italia, che è fatta per andar nel mondo. Che storia fantastica.
avvenire.it