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Idee. Lo scopo del dialogo? Avanzare insieme

«Amerei scrivere una storia della nostalgia dell’altro lungo tutta la storia umana». È da queste parole di padre Ernesto Balducci che prendo le mosse per riflettere su "L’altro come dono". Nel nostro modo abituale di pensare e di parlare questa nostalgia è assente e ricorriamo troppo sbrigativamente a due categorie contrapposte «noi» e «gli altri». Ma è arduo definire i confini tra queste due entità e, ancor di più, stabilire con certezza chi appartiene all’una o all’altra, in che misura e per quanto tempo. Quando giustapponiamo i due termini, in realtà intraprendiamo un percorso suscettibile di infinite varianti: ci possiamo infatti inoltrare su un ponte gettato tra due mondi, oppure andare a sbattere contro un muro che li separa o ancora ritrovarci su una strada che li mette in comunicazione. Possiamo anche scoprire l’opportunità di un intreccio fecondo dell’insopprimibile connessione che abita noi e loro. Appare evidente allora come per l’essere umano la relazione con gli altri sia una delle modalità di relazione che – assieme a quella con se stesso, con il cosmo e, per chi crede, quella con Dio – gli permettono di costruire la propria identità e di vivere.
Chi di noi non si è mai chiesto come percorrere i cammini dell’incontro, della relazione con l’altro, con ogni altro, con ogni volto umano? In primo luogo occorre riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza: è uomo, donna, bambino, vecchio, credente, non credente, eccetera. È un essere umano come me, eppure diverso da me, nella sua irriducibile alterità: io per lui (o lei) e lui (o lei) per me! Teoricamente questo riconosci-mento è facile, ma in realtà proprio perché la differenza desta paura, si deve mettere in conto l’esistenza di sentimenti ostili da vincere: in particolare, c’è in noi un’attitudine che ripudia tutto ciò che è lontano da noi per cultura, morale, religione, estetica o costumi. Quando si guarda l’altro solo attraverso il prisma della propria cultura, allora si è facilmente soggetti all’incomprensione e all’intolleranza. Non spetta a me ricordare quanto sia stato decisivo il contributo di padre Balducci a tale proposito, soprattutto nelle opere dell’ultima fase della sua vita: L’uomo planetario e La terra del tramonto. Bisogna dunque esercitarsi a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono i soli esistenti ma si può accettare di imparare, relativizzando i propri comportamenti. C’è un sano relativismo culturale che significa imparare la cultura degli altri senza misurarla sulla propria: questo atteggiamento è necessario in una relazione di alterità in cui si deve prendere il rischio di esporre la propria identità a ciò che non si è ancora… Se ci sono questi atteggiamenti preliminari, allora diventa possibile mettersi in ascolto: ascolto arduo ma essenziale di una presenza, di una chiamata che esige da ciascuno di noi una risposta, dunque sollecita la nostra responsabilità. Non mi stancherò mai di ripeterlo: l’ascolto non è un momento passivo della comunicazione, ma è un atto creativo che instaura una confidenza quale con-fiducia tra i due ospiti, chi ospita e chi è ospitato.
L’ascolto è un sì radicale all’esistenza dell’altro come tale; nell’ascolto le rispettive differenze si contaminano, perdono la loro assolutezza, e quelli che sono limiti all’incontro possono diventare risorse per l’incontro stesso. Nell’ascolto si arriva progressivamente a porsi un semplice domanda: in verità, chi ospita e chi è ospitato? Ascoltare l’altro non equivale dunque a informarsi su di lui, ma significa aprirsi al racconto che egli fa di sé per giungere a comprendere nuovamente se stessi. E nell’ascolto – lo sappiamo bene per esperienza – occorre rinunciare ai pregiudizi che ci abitano, occorre lottare per farli tacere dentro di noi e a volte addirittura nelle posture fisiche con cui stiamo di fronte all’altro. Siamo inoltre chiamati a nominare e ad affrontare le paure che ci abitano quando entriamo in relazione con l’altro, senza pensare stoltamente di poterle rimuovere o sopprimere, perché altrimenti torneranno in seguito con maggior forza. Quando ci si immette in questo percorso di sospensione del giudizio, ecco che si appresta l’essenziale per guardare all’altro con sym-pátheia: quest’ultima è un atteggiamento che si nutre di un’osservazione partecipe, la quale accetta anche di non capire l’altro e tuttavia tenta di esercitarsi a “sentire-con lui”. In tal modo si comprende che la verità dell’altro ha la stessa legittimità della mia verità. E si faccia attenzione: ciò non equivale a dire che non c’è verità o che tutte le verità si equivalgono. No, ciascuno è legittimato a manifestare la propria verità, ognuno deve impegnarsi con umiltà a confrontarsi e a ricevere la verità che sempre precede ed eccede tutti, pur nella convinzione che la propria verità è quella su cui può essere fondata e trovare senso una vita.
Questa “simpatia” decide anche dell’empatia, che non è lo slancio del cuore che ci spinge verso l’altro, bensì la capacità di metterci al posto dell’altro, di comprenderlo dal suo interno: è la manifestazione dell’humanitasdell’ospite e dell’ospitante, è umanità condivisa. Attraverso queste tappe – mai schematiche, ma sempre da rinnovarsi nel faccia a faccia, mediante un’intelligenza creativa e un amore intelligente – si può giungere al dialogo, autentica esperienza di intercomprensione. Dia-lógos: parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio e, di conseguenza, contro la violenza che nasce da un’aggressività non parlata… È il dialogo che consente di passare non solo attraverso l’espressione di identità e differenze, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell’altro, non per farli propri bensì per comprenderli. Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze: il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso, un avanzare insieme. Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate nei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate.
Sono le strade che ha percorso Gesù di Nazareth e che ha lasciato ai suoi discepoli come tracce da seguire, facendosi maestro con la sua arte della relazione, la sua volontà di ascoltare e accogliere quanti incontrava sul suo cammino, fino a lasciarsi costruire, edificare da questi rapporti. Possiamo intendere anche in questo senso alcune parole di padre Balducci in una delle sue ultime omelie: «La riconciliazione consiste in uno scambio tale per cui uno non è se stesso se non in quanto si riferisce all’altro. Questa condizione antropologica piena è il luogo in cui si ritagliano le positive avventure della nostra vita, certamente parziali ma che ci fanno sognare un mondo diverso da questo». Un mondo in cui possa finalmente trovare compimento il desiderio di Gesù, che è la fonte e il culmine di ogni discorso sull’altro come dono: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
di Enzo Bianchi - avvenire

Viaggi, turismo e spiritualità. I luoghi dell'anima per la famiglia


La vita ordinaria di una coppia con figli in contesti urbani è oggi quanto di più lontano si possa immaginare da un clima favorevole alla riflessione spirituale. Cosa intendiamo quando parliamo di spiritualità coniugale e familiare? La maggior parte dei tentativi di mettere a fuoco queste dimensioni e di divulgarne la pratica hanno mostrato limiti e inadeguatezze. Per eccesso o per difetto. Da un lato lo sforzo è stato costretto a fare i conti con il rischio della clericalizzazione, dall'altro con il pericolo della semplificazione banalizzante. Parliamo di prassi, non di teorie. La riflessione sul tema, anzi, è ricca, articolata, quasi sovrabbondante. L'Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia organizza ogni anno – si è conclusa pochi giorni fa ad Assisi la XIX edizione – una "Settimana" di studi sulla spiritualità coniugale e familiare. Se si scorrono gli atti di questo appuntamento – relazioni più approfondimenti vari occupano un intero scaffale – che ha avuto in questi ultimi anni un sapore quasi profetico, si possono trovare infiniti spunti di riflessione. Il problema è poi come calare queste intuizioni nella quotidianità della vita di coppia. 

Quali spazi ritagliare per fermarsi un momento insieme nella convulsione delle nostre giornate? Se è vero che nel percorso verso la salvezza tutti i momenti della vita devono e possono farsi preghiera, perché allora tante difficoltà per offrire spessore spirituale alla routine della coppia e della famiglia? Il fatto che esistano tante difficoltà per trasformare in cammino di ascesi lo scorrere ordinario della quotidianità familiare, con tutto il suo carico di speranze e di sofferenze, di normalità e di bellezze, la dice lunga sui ritardi con cui si è cercato di formulare e proporre modelli di preghiera che non fossero solo fotocopie di quanto in uso per altre vocazioni. Proprio perché più semplice e agevole, la replica di quella che potremmo definire "spiritualità consacrata" è stata a lungo quella dominante. Con il risultato che modalità molto distanti dalla realtà vissuta oggi da coppie e famiglie sono state indicate quasi come soluzione senza alternative. Un'insistenza che ha evitato quindi di fare i conti con diversità evidenti. I maestri di preghiera, i grandi asceti, i mistici non hanno mai dovuto confrontarsi con i mille, diversi e complessi risvolti della quotidianità coniugale e familiare. Per la coppia credente rimane così, spesso inevaso e difficilmente definibile, il desiderio di scandire con la preghiera e con qualche spunto di riflessione le ore di una vita senza respiro. 

Ma come fare per dare risposte a questi aneliti dello spirito? Come costruire questi momenti che non possono essere semplici repliche di quelli vissuti, con altri ritmi e altri orizzonti, in un convento, in un eremo, in un istituto di vita consacrata?Questi meglio o peggio di quelli? Chi può dirlo? Nessuna classifica di merito. C'è però da sottolineare una diversità che ha determinato un dato di fatto. Nel novantanove per cento dei casi, i modelli di spiritualità sono stati finora quelli offerti da sacerdoti, religiosi, suore o sante vergini. Sarà solo un caso che fino a oggi sono soltanto due in epoca moderna (Maria e Luigi Beltrame Quattrocchi, Zelia e Luigi Martin) le coppie di sposi beatificate o canonizzate per le loro virtù coniugali e familiari? Proprio in una prospettiva di ricerca di nuove proposte spirituali per la coppia e per la famiglia, non si può evitare di approfondire questioni che riguardano la congruità di riferimenti spirituali da trasferire nella realtà dei nostri giorni, con le diverse e complesse situazioni vissute dalle famiglie. 

Rotture, disgregazioni, sofferenze. E poi conviventi, separati, divorziati risposati, coppie tra persone dello stesso sesso. Unioni che saremmo tentati di definire "irregolari" se papa Francesco non ci avesse spiegato che questo lessico va definitivamente considerato inopportuno e sgradevole perché nessuno, sulla base della propria condizione di vita o del proprio orientamento sessuale, può essere considerato "irregolare" agli occhi di Dio. E la Chiesa, per prima, ha il dovere di guardare a queste persone, come a tutte le altre coppie, con un nuovo atteggiamento che proprio nell'Amoris laetitia viene sintetizzato in quattro momenti: accogliere, accompagnare, discernere e integrare tutti. Bellissimo e impegnativo. 

Fondamentale infatti definire meglio la specificità esistenziale di due persone che vivono insieme, si amano, hanno scelto di formare una coppia secondo le indicazioni del Vangelo e le tradizioni della Chiesa, di essere benedette da un sacramento, di aprirsi alla vita. Condizioni sufficienti per individuare una via originale alla vita spirituale? No, se per questa coppia non ci sforziamo di tracciare i contorni di una spiritualità laica, incarnata, "coniugata", cioè di vedere il loro anelito spirituale all'interno di una relazione intima ed esclusiva. Perché non esiste nessun'altra condizione umana in cui il rapporto sia più stretto, vincolante, definitivo. Solo nel matrimonio si riflette pienamente il mistero della complementarietà, il gioco lieve della tenerezza, lo scambio di suggestioni e di rimandi che tocca l'apice etico ed estetico nel linguaggio del corpo, e quindi diventa via di reciprocità nel rapporto coniugale. È proprio questo il primo luogo del dono reciproco. È dono che si incarna, che prende la forma di un'alleanza nell'unicità, nella fedeltà e nella differenza. Ma tutta la bellezza e tutta la verità della differenza sessuale come si esprime nella preghiera di coppia? 

Forse potrebbe essere davvero questa la soluzione, adeguandola però alla realtà concreta delle varie situazioni. Giovane coppia? Fidanzati, conviventi, in attesa di potersi sposare? Coniugi anziani? Separati single o in nuova unione? Presenza o meno di figli? Di nipoti? Oggi troppi modelli di preghiera, troppi schemi di spiritualità familiare, anche quando si sforzano di rinnovare i propri contenuti, rischiamo di risultare inefficaci proprio perché indifferenziati. «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (Al 325). Ecco, l'esortazione con cui si conclude Amoris laetitiapuò forse servire per ridefinire e riformulare modelli di preghiera e riferimenti spirituali capaci di accompagnare sia quelle coppie e quelle famiglie che non vogliono rinunciare a una prospettiva cristiana, sia soprattutto quelle che lungo le salite difficili della nostra epoca hanno smarrito la strada, guardano criticamente alle proposte della Chiesa e sentono vacillare la speranza.
avvenire

La mostra. Salvo e Boetti, a Lugano si rinnova il duello tra due vecchi amici

Siamo agli antipodi, anche se dentro il clima degli anni Settanta può darsi che sembrassero vicini, persino gemelli siamesi. Ma erano espressione di due modi quasi opposti di pensare l’arte: uno inseguiva la propria ombra (sdoppiandosi, riavvicinandosi, perdendosi, come scrive Bettina della Casa introducendo la mostraBoetti/Salvo al Museo d’arte della Svizzera italiana), era concettuale per sottrazione di sé e coincidenza col proprio distillato mentale; l’altro era oltre Narciso, compiaciuto della propria autorialità, e finì negli anni Ottanta per cedere alla suprema delle tentazioni postmoderne, la pittura ludica. Il primo, Alighiero Boetti, ha camminato disperatamente sulla “congiunzione”. Fin dal 1972 si firmava Alighiero e Boetti. Credo che suonasse bene il cognome, accostato a molti nomi li esalta nella congiunzione, tanto che la mostra di Lugano sarebbe apparsa più ironica se intitolata a Salvo e Boetti. Ma immagino che non si volesse creare una facile eufonia, o forse una troppo stretta identificazione, che Salvo, il secondo personaggio di questa mostra, forse non avrebbe gradito, se è vero, come scrive Bettina della Casa, che nel 2011 intervenendo al “Boetti Day” «sceglie un tono ironico, quasi svalutante, non sembra disposto a consacrare quel rapporto, quella stagione». La stagione risale al 1969-’71, quando Salvo a Torino è ospite di Boetti.
Per dirla in modo secco, credo che Salvo si rendesse conto che fin quando a Torino, nel clima segnato dall’Arte Povera e dal concettualismo, fu a contatto col genio allusivo e pindarico di Boetti, il suo linguaggio, pur segnato da un ego autocelebrativo, conservò quel predicato ironico che poteva far sembrare il narcisismo una leva critica contro lo sviluppo delle ricerche artistiche dirette verso la spersonalizzazione del genio, la rarefazione del timbro individuale nell’idea. Già negli anni in cui lavorano gomito a gomito, lo stile di Boetti si rivela più forte, più chiaro, più riconoscibile. Il Boetti che si raddoppia nella fotografia Gemelli del 1968 non è sovrapponibile alla fotografiaTra zero e uno di Salvo del 1969: entrambi si sdoppiano-raddoppiano, ma al primo è sufficiente questa moltiplicazione di sé per far entrare in gioco una infinità di significati allusivi, simbolici, estetici, mentre all’altro è necessario variare l’immagine (in una le mani si uniscono per accogliere qualcosa, nella seconda reggono una mela), creare insomma un dispositivo che giustifichi quel raddoppiamento. Lo stesso nelle tre foto (distinte) della Benedizione di Lucerna (1970-75) dove Salvo appare nella posa tipica dei santi che impartiscono una benedizione (mignolo e anulare chiusi, le altre tre dita aperte), ha dietro la testa il cerchio dell’aureola e, in una delle due foto tiene nella sinistra una sigaretta. Nella terza foto figura di spalle mentre benedice la città. A Boetti basta molto meno: si ritrae mentre tiene fra le mani una specie di strumento musicale a corde che ha la tastiera da entrambi i lati. Lo sdoppiamento del presunto strumento, che assomiglia a un banjo (ma è solo allusione), presuppone la distinzione in una stessa persona di due musiche e due sonorità, due in uno.
Salvo Mangone, che è morto nel 2015 (Boetti nel 1994), dà il meglio di sé nelle lapidi ese- guite fra il 1969 e il 1972, sulle quali incide parole o frasi come “Salvo è vivo”, “Io sono il migliore”, “Più tempo in meno spazio”, oppure una lista di nomi (come quelle dei caduti in guerra), dove figurano Aristotele e Kafka, Rembrandt e Gesù, Omero e... Salvo. Sono giochi linguistici, allusioni ironiche; una filastrocca sulla tigre che fa la posta a un uomo sospeso a una liana, finisce con lui sembra dimenticarsi della sua precarietà e si slancia verso una roccia per afferrare una fragola selvatica... «e la mangiò: com’era delizioso il suo gusto». Non è poesia vera, non è “visibile parlare”, è puro esercizio d’ironia egolinguistica.
Lo stesso accade con la serie delle Tautologie. Boetti punta sul silenzio semantico: Ghise del 1968, presenta due lastre di ghisa con la zigrinatura appoggiate a un muro. Un esempio in linea con l’Arte Povera, ma in realtà quasi privo di valore denotativo e simbolico: il contenuto è l’oggetto stesso, scisso in due. Che il senso si celi nel taglio che ha sdoppiato la lastra non è importante, Boetti sembra dirci: guarda le cose per quello che sono. Il concetto è tutto. Ed è il semplice raddoppio della lastra. Si può fare tautologia anche con un punzone, così per esempio nella Dama del 1967 dove tante tessere quadrate punzonate e identiche, accostate in un modo simile al domino creano una trama di punti leggera che pare alludere a certe decorazioni orientali. E al ricamo, che ritornerà in altre opere di Boetti. Nella tautologia ritroviamo anche il codice d’artista, siglato sul foglio del 1971 Alighiero e Boetti eseguito con la penna biro. Per Salvo la tautologia è ancora una volta esercizio dell’ego: Salvo in tricoloreèscritto col neon, ricamato su tessuto, dipinto a olio su tavola, oppure su fogli di carta da giornale.
La sintesi di questa differenza di stile è riassunta dalla curatrice: «Se Boetti, dopo la fase poverista, è impegnato a “diventare il proprio doppio”, Salvo è intento a “diventare un altro”». Ma volendo trarre una conclusione, potremmo dire che l’espressione del giovane Rimbaud – quattro parole che riassumono la modernità e la sua complessità: «Io è un altro» –, calza a Boetti assai più che a Salvo. Il primo conserva una sottile vena tragica e ludica al tempo stesso, che il patchwork di lettere o le mappe del mondo con le bandiere degli Stati ricamate su tessuti negli anni Ottanta rendono ancor più viva nel gioco dei colori. Sono anni di apoteosi per entrambi gli artisti: ma il rigore degli inizi torinesi si è sciolto ormai nell’acido postmoderno dove il gioco ha perduto quel senso nichilista di sfida al destino dello Zarathustra di Nietzsche.
Salvo ha cavalcato quell’epoca aderendo alla moda citazionista, anacronista, reiterando quei colorini saturi di una luce lunare e artificiosa in una pittura che ha risciacquato nelle acque del Mediterraneo più esotico la metafisica e il realismo magico del primo Novecento. Boetti resta, tra i due, il più dotato di misura e di pudore, forse perché, come si sottolinea nei saggi in catalogo, la sua polemica verso l’autorialità lo spinge a separarsi dalla lavorazione pratica dell’opera. È concettuale, come avrebbe potuto esserlo Leon Battista Alberti che risolveva l’architettura nel disegno dell’edificio. Boetti s’inscrive nella tradizione di un’arte che si realizza nella sua stessa ideazione; Salvo cede invece alle lusinghe della “cattiva pittura” che con la Transavanguardia farà da ostetrica al kitschfigurativo, facendo credere a molti che per ritrovare il bandolo della matassa bisognasse fingere di tornare “agli antichi” (anche quelli del XX secolo: il De Chirico degli anni Dieci, per esempio). E proprio per questo più che un trattino, fra Boetti e Salvo, avrebbe meglio figurato un dialettico aut aut. 
Lugano, Masi
BOETTI/SALVO
Fino al 28 agosto 
da Avvenire

Lucca. Al Festival del volontariato l'Italia migliore: dal 12 al 14 maggio

Si apre il 12 maggio a Lucca il Festival del Volontariato, che è stato onorato della Medaglia del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il riconoscimento è stato consegnato al presidente del Centro nazionale per il volontariato, Edoardo Patriarca. Solo due mesi fa Mattarella aveva visitato la città di Lucca per rendere omaggio alla figura di Maria Eletta Martini, storica esponente democristiana fondatrice del Centro Nazionale per ilVolontariato - e incontrare le istituzioni e il volontariato lucchese.
«Il Festival del Volontariato – commenta Patriarca – inizia con i migliori auspici: grazie al capo della Stato. In questi anni l’appuntamento è diventato uno dei più preziosi patrimoni civili che la città di Lucca regala all’Italia. E da Lucca partirà il forte appello alla ricostruzione dell’anima solidale e accogliente dell’Italia. Quell'anima che le crisi che viviamo e le reazioni di chiusura e sfiducia stanno minando. Ma noi non ci arrendiamo alla sfiducia e alla paura e vogliamo ribadire che un Paese migliore esiste e cresce ogni giorno».
Il 12 maggio dunque il Festival apre i battenti. Dopo la cerimonia di inaugurazione - l’alzabandiera in Piazza Napoleone e il taglio del nastro nella Sala Staffieri - comincerà la sessione inaugurale con i saluti istituzionali e il convegno «Ricostruire l’anima dell’Italia», con gli interventi del capo della Polizia Franco Gabrielli e del demografo della Cattolica Alessandro Rosina. Fra i saluti ci sarà anche quello di Claudia Fiaschi, nuova portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore.
Forte sarà la partecipazione dei ragazzi delle scuole superiori di tutta la Toscana con il progetto Pari(e)tà. I ragazzi incontreranno le associazioni di volontariato e, nel pomeriggio, Leonardo Becchetti, docente di Economia a Tor Vergata, e l’imprenditore presidente del consorzio calabrese Goel, Vincenzo Linarello.
Fra i tanti appuntamenti (consultabili su www.festivalvolontariato.it) la sessione pomeridiana «Profit - non profit: contaminazioni per ricostruire il tessuto sociale», cui parteciperà anche il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba.
Sabato 13 maggio, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli sarà presente per l’evento di lancio - da parte dell’Istituto italiano della Donazione - del Giorno del Dono 2017. Il ministro incontrerà, assieme al presidente della Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, gli studenti delle scuole lucchesi.
ansa

Italia Travel Awards: tra i premiati Sicilia e Dubai


ROMA - E’ stata un alternarsi di momenti di premiazione e spettacolo la serata finale di Italia Travel Awards, presentata da Roberta Lanfranchi all'Acquario Romano, vestita per l’occasione dalla stilista emergente Ilaria De Felice. Dopo l’esibizione musicale del violinista Stefano Camilli sul palco è salita la cantante, artista e performer sudafricana Tia Architto, alias Miss Tia, a ritmo di jazz, soul e blues.

Italia Travel Awards è stato anche il palcoscenico ideale per l’anteprima mondiale del musical rock “Divo Nerone” che infiammerà Roma a partire da giugno a Vigna Barberini sul Colle Palatino.

La serata finale, è stata seguita in diretta streaming sulla pagina Facebook Italia Travel Awards, sul sito www.italiatravelawards e sul canale YouTube, consentendo a chi non è riuscito ad essere presente di interagire superando i confini della location.
Ecco i vincitori di Italia Travel Awards 2017:
voto agenti di viaggio - Migliore regione Italiana: Puglia, Sardegna, Sicilia
Vince: Sicilia

voto agenti di viaggio - Miglior ufficio del turismo: Australia, Dubai, Thailandia
Vince:Dubai

voto agenti di viaggio - Miglior Destinazione mare: Maldive, Polinesia, Seychelles
Vince: Maldive

voto agenti di viaggio - Miglior Destinazione culturale: Giappone, Italia, Messico
Vince:Italia

voto agenti di viaggio - Miglior Destinazione per natura, avventura e sport: Australia, Stati Uniti, Sudafrica
Vince:Australia

voto agenti di viaggio - Migliore destinazione in assoluto: Australia, Italia, Stati Uniti
Vince: Italia

voto viaggiatori - Miglior Destinazione: CUBA, Italia, Stati Uniti
Vince: Stati Uniti
voto agenti di viaggio - Migliore catena alberghiera: Beachcomber Resorts & Hotels, Sandals Resorts, Constance Hotels and Resorts
Vince: Beachcomber Resorts & Hotels

voto viaggiatori - Miglior Resort: Andilana Beach Resort, Forte Village, LUX Belle Mare
Vince: Forte Village

voto agenti di viaggio - Migliore compagnia ferroviaria: DB Bahn, NTV - Italo, Trenitalia
Vince:Trenitalia

voto viaggiatori – Miglior Compagnia Ferroviaria: Eurostar, NTV – Italo, Trenitalia
Vince: NTV – Italo

voto agenti di viaggio - Miglior vettore di linea: Emirates, Etihad Airways, Qatar Airways
Vince: Emirates

voto agenti di viaggio - Miglior vettore low cost: easyjet, Ryanair, Vueling
Vince: easyjet

voto viaggiatori - Migliore Compagnia aerea: Alitalia, Emirates, Ryanair
Vince:Emirates

voto agenti di viaggio - Migliore compagnia crocieristica: MSC Crociere, Norwegian Cruise Line, Royal Caribbean
Vince: MSC Crociere

voto viaggiatori - Migliore Compagnia di Crociera: MSC Crociere, Norwegian Cruise Line, Royal Carribbean
Vince: MSC Crociere

voto agenti di viaggio - Migliore compagnia di traghetti: GNV - Grandi Navi Veloci, Grimaldi Lines, Moby
Vince: GNV - Grandi Navi Veloci

voto viaggiatori - Migliore Compagnia di Traghetti: GNV - Grandi Navi Veloci, Grimaldi Lines, Moby
Vince:Moby

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Vince: Quality Group
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Vince: Idee per Viaggiare
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Vince: Veratour
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Vince: Quality Group

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Vince: Eden Viaggi

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Vince: Eden Viaggi

voto viaggiatori - Migliore Agenzia di Viaggio: Caesar Tour, Cartorange, La Solo Viaggiare
Vince: Caesar Tour

voto agenti di viaggio - Miglior OLTA: 6tour.com , Albatravel Group, Easy Market
Vince:Albatravel Group

voto viaggiatori - Miglior Sito di prenotazione online:booking.com, Caesartour.it, piratinviaggio.it
Vince:piratinviaggio.it

voto agenti di viaggio - Miglior aeroporto italiano: Aeroporto Internazionale Leonardo da VinciRoma, Milano Malpensa Airport, Orio al Serio International – Bergamo
Vince: Aeroporto Internazionale Leonardo da VinciRoma

voto agenti di viaggio - Miglior associazione: ASTOI, FIAVET, Visit USA Italia
Vince: FIAVET

voto agenti di viaggio - Miglior network: Bluvacanze, Gattinoni Mondo di Vacanze, UVET Travel Network
Vince: Gattinoni Mondo di Vacanze

voto agenti di viaggio - Miglior progetto/programma formazione ADV: Eden Viaggi, Quality Group, Visit USA Italia
Vince: Visit USA Italia

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Vince: Idee per viaggiare

voto agenti di viaggio - Migliore compagnia di autonoleggio: AVIS, Europcar, Hertz
Vince:Hertz

voto agenti di viaggio - Miglior compagnia assicurativa: Allianz Global Assistance, AXA Assistance, Europ Assistance
Vince: Allianz Global Assistance

voto agenti di viaggio - Miglior GDS: Amadeus, Sabre, Travelport
Vince:Amadeus

voto agenti di viaggio - Miglior Software per il turismo: AVES, SIAP, Zucchetti
Vince: SIAP
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A Boston sui luoghi di John Fitzgerald Kennedy. Citta' Massachusetts celebra centenario nascita ex presidente Usa

BOSTON - Il Massachusetts e i Kennedy e ancor piu' John Fitzgerald Kennedy e Boston. Un legame quasi di sangue con una madre Boston che ha prima dato la vita e poi plasmato colui che sarebbe diventato uno dei presidenti piu' famosi della storia americana e dopo la sua morte un figlio strappato che ha ridisegnato la storia della citta' in modo indelebile. Quasi non c'e' Boston senza il suo Jack (Jfk), che sia una strada, un parco, un ristorante, un albergo o un luogo d'attrazione. Un richiamo ancora piu' forte quest'anno in occasione del centesimo anniversario della sua nascita.

Jkf nacque infatti il 29 maggio del 1917 a Brookline, ricca cittadina nell'area metropolitana di Boston, e per un anno intero si susseguiranno manifestazioni per onorare la memoria del piu' giovane presidente mai eletto nella storia degli Stati Uniti. Aveva solo 43 anni.
Il grosso delle celebrazioni si terranno a Dorchester, appena fuori Boston, dove ha sede la JKF Library and Museum e deve e' possibile immergersi in quelli che sono stati i momenti salienti dei tre anni della presidenza Kennedy.
La prima mostra significativa si aprira' il prossimo 26 maggio e sara' intitolata 'JFK 100: Milestones & Mementos'. Si tratta di uno spaccato sulla carriera del presidente, la sua amministrazione nonché la sua vita privata e la sua famiglia.
Il centenario della nascita di Kennedy può essere il pretesto anche per essere in piccolo protagonisti della storia visitando alcuni luoghi 'storici' della sua esistenza. Vale la pena, ad esempio fermarsi per un te al Taj Hotel, uno dei piu' prestigiosi della citta', dove si dice che Kennedy, appunto nella Adam Room, abbia scritto il suo famoso discorso 'Ask not' per il suo giuramento il 20 gennaio del 1961.
Gironzolando per alberghi di lusso, e' d'obbligo anche fermarsi all'Omni Parker con una sbirciatina al ristorante, in particolar modo al tavolo 40 dove Jack chiese la mano a Jackie Bouvier nell'estate del 1953 e dove diede l'addio al celibato nello stesso anno. L'hotel e' anche il posto dove Kennedy annuncio' la sua candidatura al Congresso nel 1946.
Chiunque può prenotare il famoso tavolo numero 40 e cenare dove Jack e Jackie si sono scambiati il primo bacio da promessi sposi. Al Fairmont, invece, Jfk non mancava occasione di andare ogni volta che si trovava a Boston per andare a mangiare una zuppa di pesce. In questo sesto hotel, nel 1912, il nonno, l'allora sindaco di Boston John F. Fitzgerald partecipo' alla cerimonia di apertura.
Porta il nome Kennedy anche quello che può' essere considerato l'equivalente dell'Highline di New York a Boston. Il 'Rose F. Kennedy Greenway' e' un parco che si estende per circa 2 km e mezzo su un tunnel di un'autostrada. E' una sorta di polmone verde della citta' dove si può' passeggiare, andare in bicicletta, mangiare, assistere a delle mostre. Non e' esattamente un luogo kennediano ma dall'alto dei suoi 228 metri (276 con l'antenna), la Prudential Tower, soprannominata 'The Pru', e' il luogo ideale per aver una vista spettacolare su Boston e Cambrige, dove si trova Harvard e dove Kennedy si e' laureato. In cima, dall'osservatorio l'occhio può allungarsi fino ad una stanza superiore ai 150 km.
Un altro must a Boston e dintorni sono i crostacei, frutti di mari e molluschi nelle forme di aragoste, vongole, cozze, ostriche, granchi.
Oltre alla Union Oyster House tra i posti che meritano ci sono il 'Pier 6' con una splendida veduta sul Boston Harbor, il 'Met Back Bay' e Barking Crab il 'Beat Brasserie' a Cambrigde.
ansa