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Con “Viva Vigezzo” il primo open day della valle alpina. Il 21 maggio, tra eventi e aperture eccezionali, alla scoperta di tradizioni e storie uniche


Le valli alpine spesso racchiudono e custodiscono gelosamente, tra i loro rustici alpeggi e gli autenticiborghi in pietra, storie e tesori a volte poco conosciuti. Ecco perchè domenica 21 maggio, la Valle Vigezzo, meravigliosa vallata di media montagna dell’estremo Piemonte, a confine con la Svizzera, si trasformerà in un unico palcoscenico a cielo aperto per presentarsi al grande pubblico in una giornata speciale.
Conosciuta come valle dei pittori, grazie alla storica tradizione artistica, include sette Comuni, costellati da mille frazioni a confine con l’area wilderness del Parco Nazionale della Val Grande.
Terra di artisti ed inventori, è in grado dunque di offrire ai visitatori un ricco e diffuso patrimonio culturale e ambientale, un Ecomuseo regionale e due borghi che da anni si fregiano della Bandiera Arancione del Touring Club Italiano.

Domenica 21 maggio sarà un vero e proprio “open day”, per conoscere magari per la prima volta questa valle o – per chi già la frequenta da anni – riscoprire alcuni angoli finora mai esplorati, visitando musei, chiese e oratori che racchiudono veri e propri tesori artistici. In più, la giornata sarà anche costellata da visite guidate, degustazioni, esibizioni, attività per bambini, mostre e dimostrazioni pratiche degli antichi mestieri legati alla Val Vigezzo.
Un’occasione unica, voluta da associazioni, parrocchie ed enti locali, con lo scopo di valorizzare e far conoscere il ricco patrimonio materiale e immateriale della Valle Vigezzo, senza dimenticare le prelibatezze gastronomiche di queste montagne.
Raggiungendo la valle da Domodossola, in auto o con il suggestivo percorso ferroviario panoramico dellaFerrovia Vigezzina-Centovalli, si incontra il primo comune, Druogno, che per l’occasione proporrà visite guidate al museo UniversiCá e al Museo Vivo, dedicati alla valle, alle tradizioni e ai mestieri. Nel percorso è inclusa la visita al Giardino di montagna che dà il benvenuto in valle e ospita le opere del maestro

Sangregorio.

Santa Maria Maggiore, capoluogo della valle, dedica la giornata all’arte sacra e a quella pittorica. Da non perdere la visita alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini con la sua ricca pinacoteca dedicata ai grandi pittori vigezzini e al Museo dello Spazzacaminounico in Italia. In programma, nel centro storico, l’evento speciale “En plein air”, con artisti che si cimenteranno nella pittura all’aperto, una piccola Montmartre in stile alpino.
Toceno la giornata sarà arricchita da una dimostrazione pratica sull’attività casearia, colonna portante della vita contadina di questa valle. Imperdibile la visita alla Xiloteca, dove ammirare una campionatura di ben 471 legni nazionali ed esotici.
Craveggia punta su un grande tesoro, non sempre visitabile. Si tratta di un vero “Tesoro”, quello custodito dalla Chiesa Parrocchiale dedicata ai S.S. Giacomo e Cristoforo: paramenti religiosi, oggetti liturgici, dipinti e manufatti di grande valore artistico e storico, tra cui spiccano il drappo funebre di Luigi XIV e il manto nuziale della Regina Maria Antonietta. Da non perdere, dunque, questa visita davvero speciale.
Anche a Malesco e nelle sue frazioni è prevista l’apertura e la visita guidata di strutture sacre e museali dell’Ecomuseo regionale Ed Leuzerie e di Scherpelit. Si potrà visitare il lavatoio, dedicato al primo uomo che attraversò la Manica a nuoto, il maleschese Giovan Maria Salati che proprio 200 anni fa compì l’ardua impresa. Le visite guidate all’antico mulino, nell’ambito delle giornate europee dei mulini (20-21 maggio), degustazioni di runditt e turtei, aperture straordinarie, musica live e un tour speciale alla scoperta del
territorio completeranno la giornata.

Il paese delle meridiane, Villette, si mostrerà ai visitatori attraverso un percorso dedicato ai sassi dipinti di Federica Ramoni con letture dedicate ai più piccoli. Da non perdere la visita guidata al museo di arte contadina, Ca’ di feman. Una passeggiata con lo studioso locale Gim Bonzani condurrà i visitatori alla scoperta delle decine di meridiane che impreziosiscono gli edifici del paese.
Re si potrà visitare il maestoso Santuario della Madonna del Sangue e il museo ad esso dedicato. Per l’occasione saranno allestite una mostra pittorica e una dedicata alla costruzione del Santuario.“Mangiar da Re” è un mini giro gastronomico nelle vie del centro storico, da abbinare al percorso nel verde e nella storia “4 passi tra storia, preistoria e oltre” ideato in collaborazione con l’Associazione Musei dell’Ossola
Il ricavato contribuirà all’acquisto di un’autopompa a favore dei volontari dei Vigili del fuoco di valle.
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale

Roma in mostra dal passato al presente

PALAZZO POLI (ROMA) - Dalla cronaca alla vita quotidiana, dai danni della guerra alle difese messe in atto per proteggere i beni culturali, dal potere romano alla bellezza della Città Eterna, lungo un arco temporale che va dagli anni quaranta del XIX secolo fino ai primi anni del XXI. E' un affascinante percorso tra il passato e il presente quello proposto dalla mostra gratuita Alfabeto Fotografico Romano, organizzata dall'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e dall'Istituto centrale per la grafica, allestita a Roma presso Palazzo Poli dal 16 maggio al 2 luglio. Come in un lungo racconto della storia della fotografia a Roma, della sua produzione e della sua divulgazione in ambito istituzionale, la mostra (a cura di Maria Francesca Bonetti e Clemente Marsicola) presenta i contributi di alcuni dei principali fotografi del panorama italiano e internazionale di ieri e di oggi. Il percorso inizia infatti dai pionieri, come Eugène Constant, James Anderson, Adolphe Braun, Giorgio Sommer e John Henry Parker, professionisti che portarono in Europa le immagini di Roma e dell'arte dei suoi musei, e come Giovanni Gargiolli che fu direttore del Gabinetto Fotografico Nazionale. Ma c'è spazio anche per lo sguardo di grandi artisti-fotografi contemporanei, tra cui Luigi Ghirri, Guido Guidi, Elisabetta Catalano, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Olivo Barbieri, Letizia Battaglia, Claudio Abate, Giorgia Fiorio e Paolo Ventura. Le oltre 300 opere esposte, fornite da ben 30 archivi fotografici (tra cui Soprintendenze, Biblioteche, Istituti, e alcuni musei, come i Musei Vaticani e il Maxxi) e selezionate tra milioni di immagini, ruotano attorno a 21 temi, uno per uno per ogni lettera del nostro alfabeto - Acque, Bellezza, Cronaca, Danni, Esplorazioni, Feste, Giochi, Habitat, Incontri, Lavoro Mostre, Nudo, Oltremare, Potere, Quotidianità, Radici, Spettacoli, Trasporti, Urbanistica, Viaggi, Zibaldone - costruendo una sorta di "archivio fotografico unitario". Da un lato l'obiettivo è quello di riunire, almeno a livello virtuale, i vari fondi conservati nelle rispettive realtà istituzionali, dall'altro quello di offrire al visitatore una testimonianza esaustiva della ricchezza del patrimonio fotografico italiano. A corredo della mostra anche un catalogo, edito da ICCD, riccamente illustrato da oltre 220 tavole con le immagini delle fotografie e le schede scientifiche di tutte le opere, nonché dalle schede dei diversi archivi partecipanti.
   "Questo progetto è nato 3 anni fa e si inserisce perfettamente nella linea politica del ministro Franceschini che proprio qui, all'Istituto centrale per la Grafica, ha inaugurato lo scorso 6 aprile gli Stati Generali della Fotografia per tutelare e valorizzare il linguaggio fotografico come patrimonio nazionale", ha detto all'ANSA Clemente Marsicola, curatore della mostra insieme a Maria Francesca Bonetti. E proprio a proposito della 'cabina di regia' che il ministro Franceschini ha costituito per rilanciare la fotografia, l'esposizione "farà parte di un grande portale, in cui sarà disponibile il censimento di tutti gli archivi fotografici, pubblici e privati". "Nonostante le difficoltà di mettere insieme 30 istituti, tutti i partecipanti hanno collaborato con grande disponibilità", ha poi proseguito Marsicola, "anzi la mostra ha permesso di far emergere relazioni inedite tra i vari archivi, con la possibilità in futuro di ricostruire interi fondi fotografici".
ansa

Le donne e Parigi, ragazze comuni e dive in mostra a Roma


ROMA - In mostra (a ingresso libero e gratuito) fino al 10 luglio 2017 al Sofitel Rome Villa Borghese, "La Parisienne" è una collezione di 32 foto di donne a Parigi - francesi e straniere, dive e ragazze comuni - realizzata da Sofitel, brand di lusso del gruppo AccorHotels in collaborazione con Paris Match. Nei ritratti in mostra le donne si muovono con grazia e naturalezza tra le vie, i caffè e i monumenti di Parigi, offrendo allo spettatore uno sguardo previlegiato sull’universo femminile.
Immortalate dagli anni Cinquanta a oggi, le protagoniste degli scatti rappresentano la bellezza della Ville Lumière incarnata nella grazia e nel fascino femminili. In bianco e nero o a colori, in posa o spontanee, le foto trasmettono un senso di raffinatezza ed eleganza. Icone di stile come una giovane Sophia Loren affacciata sui tetti di Parigi, Coco Chanel colta in amabile conversazione con Jeanne Moreau e ancora Catherine Deneuve, Brigitte Bardot e Jane Fonda fotografate per le strade di Parigi si alternano a celebrità più contemporanee - dalle nostre Monica Bellucci e Caterina Murino a Charlize Theron e Juliette Binoche - e a ragazze comuni, ritratte in una Parigi moderna.
Il percorso fotografico, che si snoda negli ambienti comuni del Sofitel, si articola in due sezioni: una retrospettiva che presenta 22 foto d’autore provenienti direttamente dagli archivi di Paris Match, inclusi gli scatti di Emanuele Scorcelletti e dei più grandi fotografi dello storico magazine, e una sezione contemporanea, che porta il visitatore tra le giovani donne della Parigi di oggi, con dieci foto amatoriali vincitrici di un concorso organizzato da Sofitel in collaborazione con il portale di fotografia Wipplay.
La Parisienne by Sofitel
Mostra fotografica a ingresso libero e gratuito.
Aperta tutti i giorni dalle 11 alle 23
Sofitel Rome Villa Borghese
Via Lombardia, 47
ansa

Oltre il mito, la Marilyn più intima a Roma

ROMA - La diva oltre il glamour, la ragazza insicura che si innamorò del campione di baseball, quella che sognava di diventare un'attrice e finì per far perdere la testa persino al presidente degli Stati Uniti. La stella più bionda di Hollywood, indimenticata star de Il principe e la ballerina e A qualcuno piace caldo, debutta a Roma con Imperdibile Marilyn. Donna, mito, manager, mostra a Palazzo degli Esami fino al 30 luglio, a cura di Fabio Di Gioia, Ceo di Da Vinci Grandi Eventi, e del collezionista Ted Stampfer, pensata per raccontare il lato più intimo di Norma Jeane Monterson attraverso gli oggetti a lei più cari.
''Marilyn era un cocktail di personalità - racconta Di Gioia - E' stata un'esplosione per gli anni '50, per l'industria cinematografica, molto più determinata di quel che si pensa a giudicare dagli appunti su copioni e contratti, capace di trasgredire senza mai far male o offendere qualcuno. Le ragazze di oggi le devono molto''.
''L'intento è far conoscere la donna oltre il personaggio'', prosegue Stampfer, appassionato della Monroe sin dall'età di 10 anni e tra gli acquirenti della celebre asta di Christie's dove la vedova di Lee Strasberg (erede designato nel testamento di Marilyn) vendette tutti i suoi oggetti, rimasti per oltre 30 anni negli scatoloni.
''A quell'asta, durata 3 giorni - prosegue Stampfer - Maria Carey si aggiudicò il pianoforte e lo stilista Tommy Highfield i jeans. Ma quello che mi è sempre interessato - sottolinea - è un racconto rispettoso di Marilyn, senza seguire o alimentare pettegolezzi e rumors''. A svelare la Marilyn più intima sono dunque più di 300 oggetti personali (500 con le foto), in arrivo da collezioni di tutto il mondo e raccolti in 14 sezioni cronologiche, che tra abiti iconici come il vestito plissè di Quando la moglie è in vacanza, il tubino rubino di Diamonds are a girl's best friends o la vestaglia in satin per le foto de Gli uomini preferiscono le bionde, svelano la sua toilette, con i bigodini, le creme per il viso, lo Chanel n.5, le calze velatissime di Dior. C'è la metamorfosi, da timida ragazza di provincia a pin up, i matrimoni, con gli appunti d'amore di Arthur Miller e la tessera stagionale di Joe di Maggio. Una sfilata di grandi marchi, da Tiffany a Pucci, Cartier, Lazlo e Dom Pérignon e ovviamente tantissimo cinema, con le pellicole dei film, locandine, foto e i due ''inediti'' della mostra legati al debutto da produttrice: la scarpa in satin indossata nel '55 per il lancio della sua nuova società di produzione e la carta intestata che avrebbe usato. In esclusiva c'è anche la targa del David di Donatello vinto nel '59 per Il principe e la ballerina, oggi riacquistata da Bulgari.
''Fu Anna Magnani a consegnargliela a New York - racconta il regista Giuliano Montaldo mentre scorrono le immagini d'archivio - Ricordo quando con una dolcezza inattesa Anna le insegnava a dire 'commossa': due dive mondiali per un grande momento per il cinema''. Per gli appassionati di cimeli, anche la porta rossa della casa acquistata a Los Angeles nel '62, oggi in vendita per 7 milioni di dollari, l'abito che le fu regalato di Vivien Leigh in Via col vento e una delle tre lastre apposte negli anni sulla sua tomba al Westwood Memorial Cemetery. La fine, nel '62, a soli 36 anni, ancora oggi con molte incognite. Ma l'inizio di un mito senza tempo.
ansa

Idee. La filosofia spiegata dai bambini

Non si diventa davvero filosofi prima dei quarantacinque anni. Almeno così sostiene Aristotele. Ma già Epicuro, di poco più giovane, la pensa diversamente e nella Lettera a Meneceo ritiene che non sia mai troppo presto per cominciare a filosofare. Quasi duemila anni dopo gli tiene bordone Montaigne che, nel capitolo XXVI dei suoi Saggi, reputa che gli uomini possano farlo già quando sono accuditi dalla balia. Se il precettore di Alessandro Magno l'avesse avuta vinta probabilmente Matthew Lipman, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, non avrebbe tenuto a battesimo, nel suo nativo New Jersey, la "Philosophy for Children".Inizialmente il logico della Columbia University cercava qualcosa di apparentemente modesto: dotare gli adolescenti in età scolastica di strumenti per ragionare meglio. Erano, quelli, gli anni della controcultura e delle rivolte studentesche, che lo studioso americano non vedeva di buon occhio. A colpirlo erano però le difficoltà incontrate dai ragazzi nell'argomentare in maniera coerente le loro posizioni. Voleva insegnare a pensare. Da allora di acqua ne è passata e la filosofia rivolta ai bambini ha conquistato sempre più spazio. 

Lo prova la terza edizione degli "Stati generali della filosofia per bambini 2017" prevista per lunedì 15 maggio a Milano presso le Gallerie d'Italia in Piazza della Scala a partire dalle ore 14.30. Intorno alla tavola rotonda sederanno Anna Pironti, Fabio Minazzi, Veronica Ponzellini, Massimo Temporelli, Paola Bocci, Matteo Ordanini e Dorella Cianci moderati da Monica Guerra. Ilaria Rodella, tra gli organizzatori dell'appuntamento insieme al suo compagno di avventure dei Ludosofici Francesco Mapelli, non è stupita dal successo «perché il bambino da subito si confronta con le grandi domande». «Quando si imbatte in questi interrogativi - ci dice - occorre coinvolgerlo subito sfidando il vocabolario complesso della disciplina. Nel nostro approccio da ludosofi usiamo l'arte contemporanea come strumento per comunicare col bambino e rendere visibile qualcosa di invisibile». 

A soccorrere Rodella e Mapelli nei loro atelier arrivano Bruno Munari e Maria Montessori con le loro scatole tattili. «Da lì parte il nostro lavoro sull'identità come mostriamo Mapelli e io nel libro Tu chi sei (Corraini, pagine 112, euro 15,00). D'altronde Socrate non inizia a filosofare conoscendo se stesso?». Ai bambini si propone di costruire una scatola attingendo a materiali diversi per descrivere il proprio carattere. «Chi pensa di avere tratti dolci usa, per esempio, il cotone; altri con un temperamento spigoloso – continua Ilaria Radella – scelgono per descriversi il legno». Rifare lo stesso esercizio con gli stessi ragazzi dopo del tempo ha del sorprendente: la scatola sarà indubbiamente differente e loro cominceranno a riflettere su quanto esperienze e ricordi concorrano nel plasmare l'identità.

Da qui comincia la filosofia anche quella rivolta ai bambini che è però una galassia in fermento, con correnti e contrapposizioni. Per Nicola Zippel, autore del recente I bambini e la filosofia (Carocci, pagine142, euro 12,00), i limiti della metodologia di Lipman sarebbero evidenti. «Ridurre la filosofia ad argomentazione – dice ad Avvenire – sarebbe limitativo. Essa è molto di più. Eppoi il metodo di Lipman la astrae dal proprio contesto senza inquadrarla nella storia escludendo addirittura la figura del filosofo e introducendo quella del facilitatore».Zippel lavora con i bambini a partire dagli otto anni. «Fare filosofia con loro permette di avvicinarli alla disciplina. Non si tratta però di un esercizio fine a se stesso ma reintroduce la filosofia nella città sottraendola a una deriva astratta e specialistica in cui si avvita da un po' di tempo». Niente di strano praticarla già con i bambini che «sono portatori di una logica più onesta, più semplice e consequenziale tanto quanto quella degli adulti». Loro «hanno solo bisogno di ordinare le proprie strategie di pensiero». Che «l'infanzia sia un luogo della filosofia» lo conferma Paolo Perticari, pedagogista dell'università di Bergamo, e promotore della prima sperimentazione mondiale nella scuola dell'infanzia l'Uccello filosofia (Edizioni Junior) un libro ideato dall'artista Jacqueline Duhême le cui illustrazioni sono chiosate da estratti tratti dalle opere di Gilles Deleuze. Per il filosofo francese era uno dei suoi libri preferiti perché era un «libro non fatto ma che si faceva – spiega Perticari – attraverso l'esperienza di dialoghi filosofici autogestiti dai bambini con la guida delle insegnanti». 

«Fare filosofia con i bambini – conclude – vuol dire recuperare una dimensione importante del bambino, che è la dimensione del pensiero, spesso più fresco di quello degli adulti. Per questo dai bambini proviene all'adulto che lo sa cogliere un insegnamento a cui difficilmente può rinunciare». Insomma i bambini non sono estranei alla filosofia ma anzi, e su questo concordano tutti, questo antico sapere può contribuire a renderli cittadini di domani responsabili e soprattutto liberi.
avvenire

Dibattito. Musei ecclesiastici, forzieri o cantieri? La sfida dell'identità

È considerato un documento fondamentale: ma quanto della Lettera circolare sulla funzione pastorale dei musei ecclesiastici, emanata nel 2001 dalla Pontificia commissione per i Beni culturali della Chiesa, ha trovato reale attuazione? E come può essere integrata e aggiornata alla luce delle trasformazioni che investono, anche in modo drammatico, la società? Sono le domande al centro del convegno organizzato dall’Associazione dei musei ecclesiastici italiani (Amei) e dall’Università Gregoriana, in programma domani a Roma nelle aule dell’ateneo pontificio. Convegno che vedrà l’introduzione di Nunzio Galantino, segretario generale della Cei.
«La Lettera è stata scritta con una forte capacità di guardare avanti» commenta Domenica Primerano, direttrice del Museo diocesano tridentino e presidente di Amei. «È un documento ampio e articolato, che analizza il museo ecclesiastico sotto molti punti di vista: dalle funzioni alla governance all’allestimento… Il tipo di museo che emerge non è un istituto di conservazione, ma che deve vivere nel rapporto con la comunità». Quale comunità, però? Rispetto a 16 anni fa la società è cambiata: «È un passaggio che richiede un aggiornamento. Oggi il nostro territorio è abitato da persone che provengono da Paesi diversi. Una realtà che i nostri musei conoscono quotidianamente, per esempio attraverso le scuole, e sulla quale siamo convinti sia necessario attivare una riflessione. Inoltre nella Lettera si parla di volontariato: che è certamente una risorsa, ma attenzione ad affidarvi in modo esclusivo la vita del museo, ci sono a rischio competenze e continuità». 
Da questo punto di vista Primerano lancia un allarme: «Accanto a casi di diocesi che credono e investono nei progetti, stiamo registrando un diffuso ritirarsi dall’impegno. Riceviamo molte segnalazioni di riduzioni o mancati rinnovi di contratti a conservatori, chiusure dei servizi della didattica, tagli delle ore di apertura. Ma sguarnendo il personale viene meno la possibilità dare corso a quanto indicato dalla Lettera. Se negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita dei musei ecclesiastici, ora temiamo che il processo virtuoso si possa fermare». 
Non è per fortuna quanto sta accadendo a Reggio Calabria, dove il Museo diocesano “Monsignor Aurelio Sor-È rentino” ha aperto nel 2010 e sta diventando un punto di riferimento. Un percorso iniziato nel 2002 grazie «all’avvio del progetto museografico con incontri, scambi e confronti in seno ad Amei, facendo frutto di esperienze più longeve» racconta la direttrice Lucia Lojacono. «Un percorso al quale hanno collaborato più figure professionali, dallo storico dell’arte all’architetto museografo, dal liturgista al teologo, attenendosi a quanto indicato nella Lettera, documento che per noi è stato un vero e proprio vademecum». Un museo di piccole dimensioni – ma «la consapevolezza della necessità di ampliarne gli spazi è ormai chiara e prossima a soluzione» – che, però, opera secondo gli standard attuali, a partire dalla didattica, «in un contesto certo non facile. Il museo deve molto al contributo annuale dell’8x1000, che integra l’investimento da parte della curia diocesana, la quale mostra una crescente sensibilità verso necessità e potenzialità del museo. Attenzione e fiducia che vediamo aumentare anche nel territorio diocesano: da privati e da parrocchie cominciano a pervenire spontaneamente donazioni o affidamento di opere in deposito. Il Museo diocesano è sempre più avvertito come un “bene comune”». 
A Reggio Calabria il Museo diocesano è parte attiva del tentativo di costruire una rete che proponga un’offerta turistico- culturale integrata nella città sullo Stretto. A Susa don Gianluca Popolla ha fatto di “rete” una parola d’ordine: il Centro culturale diocesano coordina la biblioteca, l’archivio storico e il Sistema museale diocesano, ramificato nel territorio. Ha fondato la Cooperativa Culturalpe ed è tra gli ideatori di “Tesori d’arte e cultura alpina”, che con associazioni, enti pubblici e fondazioni bancarie promuove la tutela e la valorizzazione della valle per rendere economicamente sostenibile lo sviluppo culturale e sociale delle comunità locali. «A Susa – dice – abbiamo scelto di costruire un sistema museale per rispettare la complessità del territorio e stimolare le comunità nel gestire e valorizzare il proprio patrimonio. All’inizio è stato difficile, perché la valle è grande e le comunità poco abituate a condividere il lavoro. Nel tempo si è creato un bel gruppo di volontariato culturale e grazie alla formazione è cresciuto il loro livello di responsabilità». Ma per Popolla la sfida non è conservare: «Il patrimonio culturale non è ciò che viene esposto per i turisti, ma custodito come memoria della comunità perché possa costruire un futuro. Magari diverso dal passato, ma generato da quel Dna». 
Una linea che Popolla, incaricato regionale per i beni culturali ecclesiastici, propone a tutto il Piemonte: «Le 17 diocesi promuovono il patrimonio culturale come strumento di inclusione sociale, una tipologia di welfare attraverso la cultura che stimoli il dialogo interreligioso. Il museo ecclesiastico oggi deve essere la sorgente identitaria capace di generare memorie aperte. E deve essere un museo “resiliente”, che renda le nostre comunità mature, non spaventate da un nuovo che entra nei nostri territori». Eppure la coscienza del museo non come semplice rassegna di bellezza ma come strumento culturale è ancora poco diffusa: «Da una parte – prosegue Popolla – abbiamo sacerdoti impegnati, ma che vivono la frattura tra sociale e cultura. Non riescono a capire come questa possa essere uno strumento di inclusione. Dall’altra, invece, sacerdoti che vivono la cultura in senso conservatore, come i mattoni del muro che consente di fermare il tempo. Ma c’è un altro elemento da considerare: anche molti sacerdoti italiani di domani saranno persone provenienti da altri continenti. E anche loro avranno bisogno di una mediazione culturale per custodire questo patrimonio». 
Per “risintonizzare” i musei ecclesiastici occorre affinare gli strumenti. Anche prendendoli a prestito dal mondo dell’impresa culturale: «Ma non per monetizzare i risultati, quanto per rendere più efficaci ed efficienti i processi che portino al raggiungimento dei fini postisi da un ente religioso » spiega Stefano Monti, docente alla Gregoriana di Management delle organizzazioni culturali e partner di Monti&Taft. «In un’epoca ambigua tra laicismo tecnologico e fondamentalismi, il patrimonio culturale religioso assume rilevanza eccezionale. Oggi più che mai le istituzioni culturali religiose dovrebbero interrogarsi sulla gestione per migliorare l’impatto spirituale del loro operato». Se c’è una povertà materiale a cui far fronte, ce n’è anche una spirituale e culturale, non meno grave, che rischia invece di essere negletta: «C’è una enorme domanda di spiritualità nel consumo culturale occidentale, un dato in crescita costante. È un’istanza davanti alla quale il patrimonio culturale religioso non può trovarsi impreparato». 
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