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DUE STILI DI VACANZA E UNA SENSIBILITÀ PERDUTA. In vetta bando alle mode la montagna ci indica Altro

 GIORGIO PAOLUCCI  - avvenire.it
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ai come in questi giorni le montagne sono affollate. Alberghi, ristoranti, rifugi, malghe, sentieri brulicano di turisti. E può persino capitare di dover fare la coda per salire su una cima. La montagna è sempre di più oggetto di un consumo di massa, e negli anni si è andata smarrendo la valenza profondamente educativa che racchiude in sé. Sono tante le tribù che in questi giorni si muovono in alta quota. C’è la tribù degli arrampicatori che concepisce la montagna come palestra dell’estremo e sfida alle capacità umane. C’è la tribù della funivia e della seggiovia che riduce al minimo indispensabile lo sforzo fisico, considerando la fatica fisica necessaria per raggiungere una meta come un incidente di percorso da ammortizzare con ogni mezzo a disposizione. E c’è la tribù della polenta col capriolo da mangiare nella malga 'à la page', per poter vantare con i colleghi in ufficio un tuffo nelle tradizioni locali.
  Turismo di superficie, al quale spesso tengono bordone le manifestazioni organizzate nelle località di villeggiatura, che finiscono con il proporsi come occasione di consumo e di business, più che come spunto per tornare a guardare la montagna per quel che vale. Già, il guaio è che siamo sempre meno capaci di uno sguardo adeguato, non possediamo più una mente e un cuore capaci di gustare la bellezza del creato, riverbero di una più grande Bellezza.
  Camminando lungo i sentieri, non mancano i segni che rimandano ad Altro: i colori di un fiore, l’eco
di un torrente, il rapace che si libra sulle nostre teste, la marmotta che ci scruta di lontano, le nuvole che rincorrendosi nel cielo svelano o celano ai nostri occhi la magnificenza di una vetta. E le centinaia di croci piantate nei secoli sulle cime dei monti, testimonianza silenziosa di un sacrificio che ha dato nuovo significato alla morte e alla vita.
  Sono i caratteri di un alfabeto che molti tra coloro che passano le vacanze in alta quota non sanno più leggere. Portando ai piedi la scarpa da trekking ultimo grido, saliamo e scendiamo per i sentieri incapaci di cogliere il significato di ciò che incontriamo.
  Informatissimi e profondamente ignoranti, ci crediamo padroni della realtà e siamo estranei a ciò che le dà senso. Abbiamo perduto i 'fondamentali', ma c’è ancora la possibilità di recuperarli se impariamo a guardare le cose con occhi nuovi. La montagna, con la sua maestosità, ci educa a capire quanto è piccolo l’uomo, è il segno che più potentemente di altri ci rimanda ad Altro, ci suggerisce che c’è un Mistero che fa tutte le cose. «Queste montagne suscitano nel cuore il senso dell’infinito», diceva un alpinista vestito di bianco, Giovanni Paolo II, che ha trascorso molte ore delle sue vacanze sui sentieri della Val d’Aosta e delle Dolomiti.
  L’imponente bellezza della natura che si offre ai nostri occhi distratti ma ancora capaci di coglierla, favorisce il rinnovarsi della domanda sull’essere, sull’ordine e l’armonia che presiede la realtà, desta quell’esperienza elementare di cui ogni uomo è capace e che si chiama senso religioso. È una grande palestra di vita e di umanità, la montagna. Proviamo a riscoprirla con occhi nuovi, impareremo di più chi siamo.

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