L'arte e lo stupore


 
«Se mi segui, / posso indicarti la rotta delle nubi, / e il luogo da cui scaturiscono le acque, / vieni, diventa il mio nuovo amico, / se vuoi che io ti sveli/ quello che dice la voce degli uccelli». In questi versi di Victor Hugo è la fata che parla, rivolgendosi al bambino, e illustrandogli la sua natura, le sue doti, i suoi possibili doni. Regna sulle sponde, indora i vapori del cielo sfiorandoli, edifica i suoi palazzi invisibili nelle nuvole del crepuscolo. La sua ala è azzurra, ha grotte di conchiglie, tende di rami verdi, è lei quella che cullano le fronde e le onde. Le fate fanno parte dei tanti demoni che l'umanità ha immaginato, esseri intermedi tra terra e cielo. Nessuno può pensare che Victor Hugo, l'autore dei Miserabili, creda realmente nella loro esistenza, come vi credettero un tempo uomini di civiltà che potremmo definire pagane… E così Shakespeare, nella filastrocca della Fata Mab e nel fantastico Sogno di una notte di mezza estate, gioco e danza di fate ed elfi nell'incanto del bosco, e Vittorio De Sica che fa nascere dal cavolo di una fata dolce e buona il protagonista di Miracolo a Milano, non intendono certo riproporre una religione druidica. Solo, da artisti, con altri artisti, ci invitano a credere nelle fate, a sognare, a essere leggeri. Capaci di stupore.
avvenire.it

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