Palmira è l'identità siriana. Non dimentichiamo la gente


"Palmira è un gioiello non solo per il patrimonio archeologico ma per l’identità siriana". Raggiungiamo a Beirut l'archeologa siriana Eva Ziedan, che spiega: "Quelli della mia generazione l’hanno studiata, invece i bambini che sono nei campi profughi non la conoscono. Questo fa male. Ma non dimentichiamoci della gente", avverte. "Là c’è l’elettricità che arriva da Homs solo per due ore al giorno. Si rischia che si muoia di sete se l’occupazione interromperà ancora più a lungo l’erogazione di luce. Il turismo a Palmira avrebbe dovuto renderla più ricca, invece è una terra poverissima. Purtroppo ora in giro senti parlare a seonso unico: o di patrimonio Unesco da salvare senza menzionare le persone, oppure al contrario senti parlare della gente e che quelle vestigia antichissime sono solo quattro sassi". Ecco le letture parziali: "Quando diciamo ‘save Palmira', a chi ci rivolgiamo? Palmira è una città che è stata consegnata sotto gli occhi di tutti". 
 Il giornalista Lorenzo Trombetta (www.sirialibano.com) chiarisce i motivi di questa conquista: "E’ un posto molto strategico, vicino a giacimenti di gas naturale. Si trova sulla strada che collega la Siria ‘utile’ di Damasco e quella dell’Eufrate. Controllarla vuol dire avere un controllo su una zona di passaggio, accesso alle risorse di grande importanza". Ma la contraddizione messa in luce è: "Ci si chiede perché oggi pare ci si strappi le vesti per i resti romani di Palmira, preziosissimi, e si lasci però che la Siria, ma anche l’Iraq, venga colpita dalla falce dell’IS. Soffriamo purtroppo di una scarsa elaborazione degli eventi e i media fanno difficoltà a raccontare cosa veramente succede", denuncia. E conclude: "Finora nessuno ha interesse a fermare questa guerra. Questa è la verità". E sull'avanzata dello Stato islamico precisa: "L'IS sta certamente avanzando ma le sue zone di influenza non andranno oltre le quelle rurali e a maggiornanza sunnita perché solo là può trovare un legame organico con la popolazione che può mantenere unito quei territori". 
Sempre da Beirut, il gesuita maltese P. Oliver Borg, docente di Teologia all'Università St. Joseph e direttore di un centro di pastorale e di formazione spirituale, esprime la sua profonda tristezza e preoccupazione alla notizia del rapimento del monaco Mourad, da un monastero siriano che è una filiazione di quello rifondato da padre Dall'Oglio, di cui non si hanno tracce dalla fine di luglio del 2013. "E’ un dramma ciò che sta succedendo. La nostra impressione è che nessuno vuole fermare questo conflitto. E poi con la nuova guerra fredda tra la Russia e i paesi occidentali è ancora peggio perché nessuno si muove veramente per la pace. Non c’è una vera volontà politica di fare qualcosa di serio. Fa piangere vedere siti distrutti ma fa molto più male vedere quante persone sono state massacrate". Lo scorso 30 aprile padre Oliver ha accompagnato in Vaticano in Aula Paolo VI un gruppo di donne siriane e due uomini libanesi per dare testimonianza nell'ambito dell'udienza con Papa Francesco delle realtà di spiritualità ignaziana presenti nel mondo: "Io traducevo la storia di queste donne che si sentono abbandonate e non sanno cosa fare e a un certo momento non ho potuto continuare per la commozione", racconta. "Qui c’è gente che vive in prigione, circondati dapperttutto. Una ragazza di trent'anni dice che ama il proprio paese ma non ce la fa più. Quasi quasi vorrebbe dormire e non svegliarsi, piuttosto che vivere così. Quando mi chiedono cosa devono fare, io vorrei saperlo e non lo so. Come ha detto il Papa di fronte a queste persone, è meglio tacere con rispetto. Il mio appello è svegliamoci". 

(Antonella Palermo) - Radio Vaticana

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