Ne scrive Vasari, e dunque dobbiamo drizzare le antenne quando leggiamo di una certa «Suor Plautilla». Di lei dice che era monaca e priora del monastero di Santa Caterina da Siena a Firenze, su piazza San Marco, e aggiunge che «cominciando a poco a poco a disegnare et ad imitar coi colori quadri e pitture di maestri eccellenti ha con tanta diligenza condotte alcune cose, che ha fatto maravigliare gl’artefici». Nota poi che era maestra nella miniatura, tanto da far cose più belle di quegli artisti da cui prendeva esempio. Il fatto è che Plautilla Nelli, al secolo Polissena de’ Nelli (1524-1588), si formò da autodidatta e continuò, vestendo molto presto l’abito di suora domenicana, a esercitare il suo talento di pittrice assieme alla vocazione religiosa. Molto celebrata già in vita – è probabile che facesse a tempo a leggere l’elogio di Vasari – di lei però si perde un po’ notizia fra Sei e Settecento, e verrà recuperata solo a partire dall’Ottocento. Non è un destino solamente suo. Diverse sono le artiste rimaste per secoli in ombra nelle memorie degli storici o addirittura cadute nell’oblìo. Il caso emblematico oggi è Artemisia Gentileschi la cui riscoperta è diventata una sorta di vessillo della riscossa femminista, ma è appunto l’esempio clamoroso di un’avanzata femminile nell’arte che conta altri nomi: nell’ambito bolognese, Properzia de’ Rossi, grande scultrice rinascimentale sulla quale lo scorso anno è uscita una monografia; dopo di lei Lavinia Fontana e la sublime Elisabetta Sirani, che nel suo atelier si circondò di allieve e collaboratrici, come Ginevra Cantofoli il cui corpus è stato ricostruito in anni recenti. A parte la figlia di Tintoretto, Marietta, morta prematuramente; e ancor prima la figlia di Paolo Uccello, Antonia la “pittoressa”, anche lei suora carmelitana, si stanno ritrovando le tracce di Lucrezia Quinistelli, allieva di Alessandro Allori, della discepola di Tiziano, Irene di Spilimbergo, mentre alle cronache sono ben note Sofonisba Anguissola e Fede Galizia. Ma anche all’estero non mancano artiste che hanno fatto concorrenza ai colleghi maschi: Lavinia Benning Teerlinc, miniaturista; Caterina van Hemessen; Roldana, alias Luisa Ignatia Roldan scultrice spagnola vissuta fra Sei e Settecento e autrice di veri capolavori; lo stesso si potrebbe dire della pittrice sivigliana Josefa de Ayala Figueira morta a Obidos, in Portogallo, nel 1684; più o meno nella stessa epoca in Francia si distinse per le sue straordinarie nature morte la pittrice Louise Moillon; e se vogliamo concludere questo elenco provvisorio, a monte di tutte sta quella Caterina de’ Vigri, clarissa bolognese vissuta nella parte centrale del XV secolo, che oltre a essere badessa era assai colta e aveva fin da giovane appreso a Ferrara l’arte della miniatura e della copiatura.
Dunque Suor Plautilla. Un simposio nel 1998, a Fiesole (gli atti uscirono un paio d’anni dopo), rilanciò la misconosciuta pittrice; poi ancora un volume di saggi nel 2008; ora la prima mostra a lei dedicata, agli Uffizi, a cura di Fausta Navarro con l’apporto di Catherine Turrill Lupi, fra le maggiori studiose della “pictora” (come talvolta si firma). È stata proprio Catherine Turrill a fornirmi l’elenco esatto delle opere conosciute di Plautilla: comprese quelle indicate in documenti ma perdute o ignote persino nel soggetto, quelle attribuitele nell’Ottocento ma che oggi le sono state tolte e assegnate ad altri pittori, e quelle che sono passate in asta nel Novecento sotto il suo nome su cui però non c’è accordo: a voler stare larghi si tratta di 40-50 opere, ma è un lavoro in fieri , suscettibile, sottolinea la studiosa, di continue aggiunte e cambiamenti perché non esiste ancora un catalogo esaustivo dell’opera di Plautilla.
Naturalmente, viene la curiosità di cercare tracce della suora pittrice fuori dai nostri confini, vuoi anche per i rami europei dell’ordine domenicano; e allora si scoprirà che Plautilla nell’Ottocento non era un nome del tutto dimenticato: un rapido sondaggio nella pubblicistica francese, per esempio, testimonia della sua fama. Per esempio, in un numero della “Gazette des Beaux-Arts” del 1860, Léon Lagrange, compagno di studi di Hippolyte Taine e autore di saggi su Pierre Puget e Joseph Vernet, parla Du rang des femmes dans les arts, e cita appunto Marietta, Lavinia, Elisabetta, Artemisia e... Plautilla. Le chiamo per nome, come vorrebbe Vasari in segno d’eccellenza artistica. Qualche lustro dopo, nel 1874, il Grand Dictionnaire Universel di Pierre Larousse registra il nome di Plautilla e le dedica una trentina di righe (non poche tutto sommato): si dice di questa «donna interessante, che ha vero talento». Si aggiunge che non potendo invitare uomini a posare per le sue opere, quando doveva eseguire figure maschili si avvaleva dei disegni lasciati da Fra’ Bartolomeo al convento, e si fa notare che nel Compianto il Cristo sembra ispirato a quello della Deposizione di Daniele da Volterra. Si dice anche che nel disegno delle teste rivela una certa « grace naïve non priva di originalità» e si conclude che nell’insieme mostra una scienza, un vigore e un’audacia non comuni per una donna. A proposito dell’interdetto all’uso di modelli maschili, nel 1827 una guida in francese dell’Accademia fiorentina di Belle Arti, precisa che non potendo servirsi per i suoi quadri di modelli maschi, coinvolge le sue consorelle e per questo i santi «hanno forme e fisionomie femminine».
La ricostruzione del caso Plautilla è soltanto agli inizi. Ma se è vero che si sentiva la necessità di una mostra che consentisse di vedere l’una accanto all’altra le opere certe e quelle riapparse recentemente e a lei attribuite, è anche vero che questa degli Uffizi è poco più che un antipasto, un assaggio in un pranzo sostanzialmente di magro. Pare che siano mancati prestiti importanti, anche di opere conservate in Italia e custodite da comunità religiose. Come mai? C’è poi da aggiungere che L’ultima cena al Convento di
Santa Maria Novella è in restauro: si tratta, quanto al soggetto, di una delle opere più grandi mai dipinte. IlCompianto è invece al Convento di San Marco, è una delle opere più riuscite di Plautilla, restaurata una decina d’anni fa. Anche le due lunette nel Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto con la Consegna del Rosario a san Domenico e di Santa Caterina che riceve la visione di
Cristo, sono state restaurate nel 2007: di qualità difforme vengono giustamente assegnate a Plautilla e bottega. Infine, le due Annunciazioni: non sono di straordinaria bellezza pittorica, e quella dei Musei Civici Fiorentini per ora è un’attribuzione (Catherine Turrill però è favorevole all’autografia).
La questione della “bottega” è centrale per dirimere il caso Plautilla, come osservano sia Catherine Turrill sia Fausta Navarro. Fin da piccola eccelle nel disegno (arte che affina potendo avvalersi dei disegni di Fra’ Bartoloneo passati in eredità a Fra’ Paolino e infine al convento della “pictora”); entrando nell'ordine e divenendo priora (tre volte a intervalli prolungati) organizza una vera e propria squadra coinvolgendo le consorelle nel lavoro pittorico, un’opera collettiva al servizio della devozione per Santa Caterina da Siena e, in sovrapposizione, per l’altra santa Caterina, la de’ Ricci, morta a Prato nel 1590, con la quale viene persino a sposarsi nella fisionomia (volutamente).
Organizzando un atelier già moderno nel modus, dove il segno del maestro viene gestito, come oggi nella moda, quasi fosse un brand (interprete supremo del genere fu il divino Raffaello), anche Plautilla realizzò qualcosa di molto simile a una factory dell’immagine devozionale: in mostra troviamo subito dopo alcune miniature a lei attribuite, una batteria di ritratti della “duplice” Caterina (da Siena / de’ Ricci). La santa appare chiusa nel suo abito chiaro, col velo bianco, di profilo con le mani incrociate sul petto che mostrano i segni delle stigmate e portano l'attenzione sul la ferita al costato (tema di dibattito nella Chiesa dell’epoca), tiene in pugno il crocifisso, e versa lacrime. Il suo aspetto non è drammaticamente lacerato, ma come introverso in una meditazione sul dolore di Cristo. Solo le lacrime testimoniano la compassione della santa traslando la percezione della sua sofferenza su quella di Cristo (un interessante gioco di empatia per immagine). La Santa stringe in pugno il crocifisso e in quella posa appare anche Savonarola in una medaglia di Fra’ Mattia della Robbia. La mostra, infatti, vuole illustrare il tema dell’arte e la devozione «sulle orme di Savonarola», il testimone che lega le due Caterine sottintese nei dipinti.
Come nota Fausta Navarro questi ritratti tutti molto simili (anche se non tutti della stessa qualità pittorica) e vennero realizzati probabilmente a partire da un unico cartone che Plautilla aveva predisposto; a unirli il verde dello sfondo, su cui si spande una luminosità che sembra emanare dal corpo della santa, «come se fossero raggi di luce». Nella bottega o atelier che dir si voglia della priora domenicana si faceva infatti largo uso di cartoni, si ricorreva alla tecnica dello spolvero e al repertorio ereditato da Fra’ Bartolomeo. Forse nella serie notevole dei disegni esposti agli Uffizi c’è soltanto la mano di Plautilla, o forse può esserci, in sottofondo, anche quella di altri, magari qualche abbozzo in quei fogli ereditati su cui lei stessa potrebbe essere intervenuta. Aspettiamo le adeguate conferme dagli storici su questo caso degno di detective come Giovanni Morelli.
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