Iniziata il 23 marzo del 1991, la guerra civile in Sierra Leone ha visto fin da subito l’avanzata determinata dei ribelli del Fronte rivoluzionario unito (Ruf) per spodestare il governo di Joseph Momo. Nel 1993, grazie anche all’aiuto di militari stranieri, i soldati governativi avevano spinto i ribelli oltre confine, verso la Liberia. Il Ruf tornò comunque all’attacco e nel 1995 si scontrò con i mercenari della società sudafricana, Executive outcomes (Eo), fondata dal militare inglese, Simon Mann. Due anni dopo l’esercito assunse il potere con un colpo di Stato e dichiarò la guerra finita. Ma una missione formata da alcuni Paesi dell’Africa occidentale (Ecomog) intervenne e riportò l’autorità civile al governo. Con il fragile Accordo di pace di Lomé del 1999, l’amministrazione dell’ex presidente, Ahmad Tejan Kabbah, fu nuovamente attaccata dal Ruf fino a quando la Gran Bretagna mandò i suoi militari che posero fine alle violenze il 18 gennaio del 2002. I morti dell’intero conflitto civile sono state decine di migliaia, compresi i tanti bambini-soldato impiegati dalle milizie. (M.F.K.)
Il nome Kadiatu Kamara, meglio nota come KK, ha ormai fatto il giro del mondo. L’unica ragazza a praticare surf in Sierra Leone è infatti diventata in poco tempo il simbolo di un Paese che non vuole arrendersi, nemmeno dopo oltre dieci anni di una feroce guerra civile e tre anni della spaventosa epidemia di ebola. KK, 20 anni, sfida quotidianamente le onde della paradisiaca spiaggia di Bureh, una località a sud della capitale, Freetown. «Ho iniziato a fare surf nel 2014 per distrarmi dai dolori che l’ebola stava provocando nella regione», ha affermato alla stampa la giovane surfista. «Nello stesso periodo è morto mio padre e quindi ho dovuto aiutare mia madre in casa e al lavoro. Sebbene cucinassi e servissi la gente nel nostro modesto ristorante – ha continuato a raccontare KK - appena finivo i miei doveri mi precipitavo in spiaggia e afferravo la mia tavola da surf. È uno sport che mi dà molta energia e mi rilassa». La storia di KK è legata al desiderio della popolazione sierraleonese di voltare quella buia pagina del passato e far rinascere il Paese come una nuova, potenziale meta turistica dell’Africa occidentale. Gli esperti affermano che «oltre 50mila persone, in gran parte civili, sono morte durante il conflitto durato dal 1991 al 2002». La ferocia della guerra aveva evidenziato soprattutto l’utilizzo di bambini soldato, molti sotto i dieci anni, spesso drogati per renderli più docili con i loro capi e aggressivi con i nemici. Un’usanza che veniva promossa non solo tra gli insorti, ma anche da comandi militari dell’esercito regolare.
Il nome Kadiatu Kamara, meglio nota come KK, ha ormai fatto il giro del mondo. L’unica ragazza a praticare surf in Sierra Leone è infatti diventata in poco tempo il simbolo di un Paese che non vuole arrendersi, nemmeno dopo oltre dieci anni di una feroce guerra civile e tre anni della spaventosa epidemia di ebola. KK, 20 anni, sfida quotidianamente le onde della paradisiaca spiaggia di Bureh, una località a sud della capitale, Freetown. «Ho iniziato a fare surf nel 2014 per distrarmi dai dolori che l’ebola stava provocando nella regione», ha affermato alla stampa la giovane surfista. «Nello stesso periodo è morto mio padre e quindi ho dovuto aiutare mia madre in casa e al lavoro. Sebbene cucinassi e servissi la gente nel nostro modesto ristorante – ha continuato a raccontare KK - appena finivo i miei doveri mi precipitavo in spiaggia e afferravo la mia tavola da surf. È uno sport che mi dà molta energia e mi rilassa». La storia di KK è legata al desiderio della popolazione sierraleonese di voltare quella buia pagina del passato e far rinascere il Paese come una nuova, potenziale meta turistica dell’Africa occidentale. Gli esperti affermano che «oltre 50mila persone, in gran parte civili, sono morte durante il conflitto durato dal 1991 al 2002». La ferocia della guerra aveva evidenziato soprattutto l’utilizzo di bambini soldato, molti sotto i dieci anni, spesso drogati per renderli più docili con i loro capi e aggressivi con i nemici. Un’usanza che veniva promossa non solo tra gli insorti, ma anche da comandi militari dell’esercito regolare.
I ribelli hanno praticato invece migliaia di amputazioni sommarie per punire gli abitanti sospettati di essere dalla parte del governo. «Se non avrete le mani non potrete votare», dicevano alle vittime prima di scagliare la lama del machete contro i civili. Sono stati invece «quasi 4mila i sierraleonesi deceduti a causa dell’ebola tra il 2014 e il 2016». La paura aveva preso il sopravvento in quegli anni, le case 'infestate' venivano recintate e un esercito di operatori sanitari, spesso alle prime armi, venivano interamente coperti con bianche uniformi e maschere per evitare i contagi. Le autorità locali, duramente criticate per la gestione del Paese durante gli ultimi dieci anni dell’amministrazione del presidente, Ernest Bai Koroma, sembrano però attivarsi per rendere la Sierra Leone più attraente. «Tutti dovremmo essere patriottici verso le nostre coscienze cercando di fare le cose giuste nell'interesse dell’umanità e della nazione», ammoniva recentemente la deputata sierraleonese, Gladys Gbappy Brima, davanti ai più alti rappresentanti del settore alberghiero. Lo scorso luglio, infatti, i parlamentari hanno effettuato un tour nel distretto orientale di Kenema, tra i maggiori centri economici del Paese. «Non cospirate con altri per tradire la nazione – ha sottolineato Brima – o per continuare a creare sofferenze ai vostri fratelli e sorelle che lavorano sotto di voi». L’obiettivo di tale visita, organizzata dal Comitato parlamentare del turismo e degli affari culturali in una zona che fino a meno di vent’anni fa rappresentava una delle più importanti vie per il traffico di diamanti insanguinati, era monitorare e rilevare le possibili azioni illegali da parte di hotel e ostelli, e di ascoltare le preoccupazioni del personale. Alcune società turistiche sono infatti state costrette a presentarsi in parlamento per mostrare che i documenti della loro attività fossero tutti in ordine.
Gli stessi proprietari si lamentavano però dello scarso aiuto da parte del governo legato soprattutto alla frequente mancanza di elettricità e acqua nelle loro strutture. Gran parte dei media locali e molti esponenti dell’opposizione sono per questo inferociti rispetto all’ultimo viaggio del presidente Koroma in Cina dello scorso novembre. Durante l’incontro con il presidente Xi Jinping a Pechino, il capo di Stato sierraleonese ha infatti dichiarato di aver intrapreso tale viaggio «per imitare il modello economico cinese e usarlo nel suo Paese». In seguito a queste parole si sono sollevate le proteste di chi si è domandato: «Dopo dieci anni di governo e a un anno dalle prossime elezioni presidenziali, il presidente vuole lanciare solo ora un piano economico per la Sierra Leone?». Per questi motivi il riscatto del Paese è dovuto molto di più alle iniziative individuali rispetto a quelle del proprio governo. Come nel caso di Archippus Sesay, produttore locale di protesi. «Archippus, come molti in Sierra Leone, è spinto da una forte motivazione ad aiutare il prossimo grazie anche alla sua esperienza personale», spiega ad 'Avvenire' Martino Ghielmi, membro della fondazione universitaria 'E4Impact' e fondatore del blog per le opportunità imprenditoriali africane 'Vadoinafrica'. «Lui stesso è infatti amputato perché da piccolo è stato morso sulla gamba sinistra da un serpente. Nonostante gli ostacoli provocati da una guerra civile famosa per le brutali amputazioni da parte dei ribelli contro i civili – racconta Ghielmi – Archippus ha continuato a lavorare per produrre le sue protesi di alta qualità, basso costo, e interamente fatte di materiale locale».
L’Università Cattolica del Sacro Cuore lavora sin dal 2013 con l’Università di Makeni (Unimak) nel quadro del progetto europeo Edulink realizzando il master internazionale per imprenditori locali gestito da 'E4Impact'. «Dopo aver superato la sfida di ebola che ha costretto l’Unimak alla chiusura per oltre nove mesi e alla riconversione in centro di assistenza per le famiglie in quarantena – aggiunge Ghielmi – la prima classe di 36 partecipanti ha completato il percorso nel settembre 2016 e attualmente sono in formazione 38 imprenditori locali». Archippus è stato un alumnus della prima edizione di tale master. A livello globale, invece, il Paese sta cercando di reinventarsi come centro petrolifero, minerario, e ha in progetto un nuovo aeroporto internazionale da circa 400 milioni di dollari nella località settentrionale di Mamamah e che dovrebbe essere terminato entro il 2019. I critici sono comunque fortemente contrari ai debiti contratti soprattutto con la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e la Cina. Qualche passo è stato però fatto nel settore dell’energia elettrica. «Nel 2015 riuscivamo a garantire alla popolazione 259 milioni di kilowatt all’ora (Kwh), l’anno scorso 302 milioni, e entro la fine del 2017 raggiungeremo almeno i 350 milioni», ha dichiarato a luglio Herny Macauley, ministro dell’energia. Koroma ha promesso di «risolvere la mancanza di energia elettrica entro l’inizio delle prossime elezioni» e di fare della Sierra Leone «uno Stato da medio-reddito entro il 2035».
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