Altro che l’idea romantica della 'passeggiata in bici'. Il vero concetto è che le due ruote possono divenire un motore potente (e non parliamo di quelli 'nascosti' nei telai) per dare sviluppo a un’economia in affanno. Specie se abbinate a quello che resta il carburante numero uno del Paese: turismo e buon cibo. Un solo dato rende l’idea. Tanto per cambiare viene dalla Germania, anche in questo campo battistrada d’Europa, e a ricordarlo è Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture con la passione del ciclista: «In Germania la rete cicloturistica genera 9 miliardi di euro di fatturato annuo, la nostra può arrivare a oltre 3 miliardi, ma molto facilmente potrebbe valere parecchio di più». E chi fa turismo in bici, afferma uno studio, lascia sul territorio il 32% di quanto spende, molto più del 4% del turismo motorizzato.
Pedali e ricavi, insomma. Cambi e scambi (di ricchezza per il Paese). Ma c’è ancora tanto, tantissimo da fare nell’Italia che pure è una delle patrie della bicicletta. Su margini e prospettive si è ragionato giorni fa nel secondoBikeconomy Forum, al Maxxi di Roma. Un neologismo, quello del titolo (riconosciuto ormai anche dalla Treccani), che già fa capire le potenzialità inespresse di questo settore. Un sano divertimento che potrebbe produrre opportunità di lavoro e anche una spinta al Pil. A capirlo fra i primi è stato Gianluca Santilli: a vederlo è un avvocato come tanti, 60 anni ben portati, attivo in uno dei maggiori studi legali della capitale, ma appena può smette la toga per la tuta tecnica e va a farsi i suoi chilometri. È sua l’idea della 'Granfondo Roma', corsa amatoriale (con annessa pedalata per tutti da 60 km.) giunta alla sesta edizione. «La bikeconomy è una grande chance – afferma Santilli – per tutti gli amministratori, incentrata su ciclomobilità urbana e cicloturismo».
Solo belle parole di un legale un po’ 'sognatore', che si è inventato una corsa in una capitale ancora priva del bike sharing (il servizio di bici da lasciare e prendere per le strade)? Eppure, i numeri presentati al Forum fanno effetto: in tutta Europa il giro d’affari che ruota attorno alla bici e alla sua filiera supera i 500 miliardi. E secondo le stime di ' Sustainable mobility for all', aumentando l’uso di bici (classiche e a pedalata assistita) fino al 14% dei trasporti entro il 2050, si potrebbero risparmiare nel mondo circa 24mila miliardi di dollari in carburante, emissioni di anidride carbonica e costi dei mezzi. Numeri nei quali c’è chi crede fortemente, tant’è che si è deciso di dar vita a un Osservatorio permanente sulla bikeconomy: «Il punto è che bisogna cominciare – dice la direttrice Annamaria De Paola – a pensare alla bici a 360 gradi, non solo come a una fissazione degli appassionati, ma per tutti i vantaggi che procura in termini di ambiente sostenibile, mobilità, smart city, turismo e innovazione».
Pur senza toccare i livelli di Copenhagen (la città con più bici che auto) ed Amsterdam (dove il numero delle bici supera quello degli abitanti), c’è di che riflettere. Al Forum l’ha fatto anche Hugh Brusher, direttore di Ride London, altro mega-evento ciclistico (35mila adesioni nel 2016): «Londra, città vittoriana, è una delle metropoli più congestionate e rischia di diventarlo ancora di più, con gli ulteriori 2 milioni di abitanti previsti entro 5 anni. Ha bisogno di una nuova educazione nella mobilità e la Ride crea questa nuova cultura». All’economia delle auto, insomma, è ora di affiancare un altro modello di economia. Perché anche fra bici e crescita c’è una correlazione. All’estero c’è chi pare averlo capito, se il colosso francese del lusso Lvmh un anno fa ha comprato il marchio Pinarello, sorta di 'Formula uno' italiana del settore. Da noi, invece, i ritardi cronici nello sviluppo del cicloturismo sono indicativi. Per segnare un’inversione di tendenza serve, allo stesso modo di treni, navi e auto, un approccio basato sul concetto di intermodalità del trasporto. Piste ciclabili protette, bike-hotel, diffusione delle bici elettriche, sfruttamento dei parchi: tutto si deve saldare in un disegno unico. Proprio l’eterno problema del frazionamento delle competenze, con i ministeri interessati poco attivi e le Regioni che non si parlano fra di loro, è alla radice del terreno da recuperare.
Con gli ultimi governi, a dire il vero, qualcosa pare essersi mosso. Almeno a livello di intenzioni. «Siamo partiti da zero – ricorda oggi il ministro Delrio –: non c’è mai stato in Italia il progetto di una rete ciclabile statale finanziata dallo Stato, non c’era una legge che la riconoscesse. Adesso abbiamo entrambe le cose e si celebra una novità culturale: lo Stato assume pienamente, insieme alle Regioni, la pianificazione della mobilità ciclistica, che diventa prioritaria nei centri urbani». La legge sulla ciclabilità, approvata il 14 novembre dalla Camera, ora è al Senato il sì definitivo. Un ok atteso soprattutto da quei 743mila italiani che, stando alle statistiche, usano quasi sempre la bici per andare al lavoro, con picchi del 13,2% degli occupati a Bolzano, del 7,8% in Emilia Romagna e del 7,7% in Veneto. Mentre sono 1,7 milioni gli italiani che utilizzano 'sistematicamente' nell’anno un mezzo che, con oltre 2,3 milioni l’anno di unità prodotte, vede l’Italia maggior produttore europeo, con un giro d’affari stimato in 488 milioni ai quali si affiancano 483 milioni per accessori e ricambi e 190 per riparazioni.
Numeri che potranno salire quando prenderà corpo il progetto delle 4 ciclovie nazionali che hanno ricevuto i primi fondi con la legge di Stabilità 2016. La più nota è la 'VenTo' (progettata dal Politecnico di Milano), che lungo 680 km. dovrebbe unire Venezia a Torino passando per 4 regioni e 120 comuni. La sua particolarità è che per la prima volta c’è un bando unico, pubblicato a settembre (relativo alla 'fattibilità tecnica ed economica') e chiuso il 3 novembre scorso, non una frammentazione sul territorio che avrebbe portato a risultati non omogenei. Un esempio innovativo anche nelle finalità: «Non abbiamo pensato la ciclovia – spiega Paolo Pileri, responsabile del progetto – per far pedalare chi già va sulle due ruote, ma per gli altri. Vogliamo seguire il modello della Germania, che ha già una rete di 45mila km. di ciclovie di cui l’88% è 'esclusiva', cioè non prevede alcun accesso per le auto. Sentendosi in sicurezza - annota Pileri – la voglia e la curiosità di pedalare non hanno ostacoli ed è questa la vera chiave per stimolare il cicloturismo. Soprattutto quello familiare, che può generare fatturati più grossi. In Europa ogni km. di pista ciclabile può valere in media 5 posti di lavoro».
In totale, sono oltre 6mila i chilometri di ciclovie in progettazione e finanziate globalmente dallo Stato per oltre 400 milioni, ai quali dovrebbero aggiungersi altri 300 milioni di cofinanziamenti degli enti locali. Oltre alla 'VenTo', ci sono la Ciclopista del Sole, dal Brennero fino alla Sicilia (se ne parla dal 2006, finora è stata realizzata solo la parte fino a Verona), e quella dell’Acquedotto pugliese. Altri 6 progetti sono stati finanziati col Bilancio 2018. Di pari passo va però curata la manutenzione, per evitare le incongruenze tipo quelle di Roma, dove si progetta il Grab (il raccordo anulare delle bici, intorno alla città), mentre a nord cade a pezzi la ciclabile già attiva lungo il Tevere. C’è un grosso impegno da portare avanti, quindi. Anche solo per avvicinarsi all’Olanda, che resta una meta irraggiungibile: dagli anni 70 ha costruito oltre 16mila km. di piste ciclabili. Come andare e tornare dalla Nuova Zelanda. Semplicemente.
da Avvenire
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