ROVIGO - "Anche la mia Russia mi amerà". E' con queste parole, già piene di nostalgia, che Marc Chagall nel 1921 conclude a Berlino "Ma Vie", la sua autobiografia illustrata. Ha soli 34 anni, ma è consapevole che quell'esilio, seppur solo all'inizio, non sarà temporaneo. Questa volta, la separazione dalla "sua" Russia, con la quale pure ha avuto non pochi scontri, sarà definitiva. Proprio quelle parole danno ora il titolo alla grande mostra curata da Claudia Zevi e nata dalla collaborazione tra Fondazione Culture Musei e il Museo delle Culture di Lugano, che quest'autunno porterà il maestro della pittura della felicità, dei sogni e delle fiabe, nelle sale di Palazzo Roverella a Rovigo.
Non un excursus a volo d'uccello sulla sua opera omnia. Al contrario, "Marc Chagall anche la mia Russia mi amerà", inizialmente prevista nei primi mesi del 2020 e, causa coronavirus, ora in programma dal 19 settembre al 17 gennaio, sceglie un tema preciso: l'influenza che la cultura popolare russa ha avuto su tutta la sua produzione, nei primi venti anni del Novecento trascorsi in patria e, altrettanto prepotentemente, nei dipinti degli anni successivi a Parigi, in America e nel sud della Francia. Nato a Vitebsk, nell'attuale Bielorussia, il 7 luglio 1887 in una famiglia ebraica di modeste condizioni, il giovane Chagall, arrivato a San Pietroburgo a 20 anni per studiare all'Accademia Russa di Belle Arti, avrà infatti una lunghissima carriera, ma tutta la sua vita sarà segnata dagli accadimenti storici e politici di inizio Novecento. Commissario del popolo per le Belle Arti per il governo sovietico, sarà spinto ad andare a Mosca per dissapori con gli artisti del Suprematismo e poi, nel 1923, a tornare a Parigi dove era già stato due anni prima. Ma da lì dovrà fuggire ancora, dai nazisti e dalle leggi razziali, fino negli Stati Uniti, che lascerà solo nel 1950, quando si trasferirà definitivamente nelle campagne della Provenza, che tanto lo avevano colpito per la luce e i fiori. E dove morirà, a 97 anni, a Saint-Paul de Vence.
La Russia rimane però sempre il luogo delle radici, della memoria di un amore che avverte deluso e che sogna potersi realizzare. Un legame, forte e appassionato, scandagliato oggi nella mostra di Palazzo Roverella, attraverso una selezione di oltre cento opere, con circa 70 dipinti su tela e su carta. Tutte opere in arrivo, oltre che dagli eredi dell'artista, anche dalla Galleria Tretyakov di Mosca, dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, dal Pompidou di Parigi, dalla Thyssen Bornemisza di Madrid, dal Kunstmuseum di Zurigo e da importanti e storiche collezioni private. Si potranno così ammirare alcuni dei suoi più grandi capolavori, dalla Passeggiata all'Ebreo in rosa a Il matrimonio, Il Gallo e il Guanto nero. Una galleria di titoli che diventa un viaggio nella tradizione della Russia più profonda, attraverso un'iconografia fatta di religiosità, icone e vignette popolari dei lubki, in cui personaggi come il gallo, le capre e le vacche dalla quotidianità dei villaggi russi tornano anche nelle opere più tarde. Una sorta di realismo poetico, che attinge alla tradizione della favola russa la propria sintassi espressiva, mentre dal mondo ebraico e cristiano ortodosso prende la propria cifra intellettuale e spirituale. Con i ricordi personali che diventano "presenze" anche dove non te li aspetti, come le capre o le isbe inserite nella rappresentazione di un bouquet, a sua volta composto da fiori e visioni.
Ma la mostra di Rovigo vuole provare a mettere in discussione anche il tema della posizione singolare di Chagall nella storia dell'arte del XX secolo. Maestro che pur scegliendo di vivere, come egli stesso diceva, "voltando le spalle al futuro", si trova a codificare un linguaggio e una sintassi espressiva che sopravvivranno, ben più delle avanguardie tradizionali, al tempo e agli sconvolgimenti del suo tempo.
ansa
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