Raffaello e il blu egizio di Galatea, filologia dell'antico

 

ROMA - "Sono completamente coinvolto nell'antico. Non sarà mica un volo di Icaro? Ma ho una guida che è Vitruvio". Così Raffaello scriveva in una lettera all'amico Baldassarre Castiglione rispondendo ai complimenti per il Trionfo di Galatea, il grande affresco che spicca tra le meraviglie di Villa Farnesina, edificio sul Lungotevere costruito per il banchiere Agostino Chigi passato poi ai Farnese e oggi di proprietà dell'Accademia dei Lincei. Il ritorno al passato per il genio di Urbino non era solo un esercizio ideale legato alle opere di argomento mitologico ma un modus operandi filologico, che richiedeva fedeltà tecnica nel processo produttivo. Fu così che grazie alla ricetta indicata da Vitruvio nel trattato De Architectura Raffaello riuscì a riportare in vita il blu egizio, pigmento artificiale nato ad Alessandria d' Egitto tremila anni prima di Cristo, utilizzato in Italia in una bottega di Pozzuoli e poi diffusosi nell'Impero Romano prima di finire nell'oblio.

E' il colore ceruleo - così lo chiamavano i latini - che fa del Trionfo di Galatea del 1512 un unicum, in cui la tonalità del cielo, del mare e degli stessi occhi della Ninfa si contrappongono al più deciso lapislazzulo impiegato da Sebastiano dal Piombo per il grande affresco Polifemo che gli è accanto. A questo intreccio di temi è dedicata la mostra "Raffaello in Villa Farnesina. Galatea e Psiche", curata da Antonio Sgamellotti e da Virginia Lapenta, che racconta da domani fino al 6 gennaio 2021 il lavoro di ricerca non invasiva sul capolavoro dell' urbinate e sugli altri affreschi della residenza nobiliare. Occasione per riflettere sulla grande pittura e, al tempo stesso, su quanto le scoperte consentite dalle nuove tecniche per immagini contribuiscano a riscrivere la storia dell' arte.

"Il blu egizio è un pigmento artificiale a base di rame - spiega Sgamellotti, accademico dei Lincei e professore emerito di chimica inorganica all'Università di Perugia -. Ne esistono tanti ma ha la caratteristica di dare luogo a luminescenza quando è illuminata da una luce particolare". Fu abbandonato perché c' erano pigmenti magari più costosi ma naturali, invece il blu egizio bisognava prepararselo con una procedura complicata, mescolando sabbia a temperature alte con microfondenti. Vitruvio fu una fonte preziosa per Raffaello ma anche per gli artisti che lo riscoprirono alla fine dell'Ottocento. Il blu egizio nel Trionfo di Galatea è stata una sorpresa per i ricercatori, che avevano avviato la ricerca non invasiva poco prima del lockdown e hanno ottenuto la conferma nel luglio scorso. "Non ci aspettavamo di trovare quel pigmento dimenticato da secoli - ha detto Sgamellotti -. E' un colore che sa di antico, questa era l' intenzione di Raffaello. Per uno che veniva da Venezia come Sebastiano del Piombo era naturale utilizzare il lapislazzulo, proveniente dall' Afghanistan attraverso quel canale commerciale". Non è stata questa l' unica scoperta dell' ispezione - condotta con Enea, Iret-Cnr, Laboratorio di diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto, XgLab-Brucker. Dietro i pannelli sottostanti il Trionfo di Galatea sono stati esaminati intonaci con disegni che erano stati scoperti nel 1972 durante un intervento di restauro e poi ricoperti. Inizialmente si era pensato che alcuni fossero di Sebastiano del Piombo, la critica però non è concorde. "Noi ci siano concentrati soltanto uno di questi, un disegno a sanguigna, arrivando a una conclusione interessante - chiarisce il coordinatore- . E' un palinsesto, l' immagine di una testa che guarda verso l' alto sotto la quale c'è un' altra immagine, di materiale diverso, in questo caso cinabro, di un ragazzo dalla folta chioma che guarda frontalmente verso destra. Occorreranno studi accurati perché le attribuzioni non sono semplici".

Nella Loggia di Amore e Psiche, un tripudio travolgente di affreschi che rivestono le pareti e la volta della grande sala poco distante, c'è un' altra novità emersa in occasione di una mostra precedente: Raffaello usò gialli sintetici - a base di piombo, stagno e antimonio - con tonalità diverse perché molti dei frutti hanno gradi diversi di maturazione. "Anche questi pigmenti artificiali erano conosciuti nel Rinascimento - dice Sgamellotti - ma erano utilizzati per la ceramica e il vetro. Soltanto un secolo dopo furono impiegati in pittura per gli affreschi. Giocando d' anticipo, Raffaello e soprattutto Giovanni da Udine, l'esperto botanico e di animali che ha lavorato a gran parte della Loggia , li utilizzarono per le loro necessità espressive".

Al primo piano di Villa Farnesina sono esposti i disegni, le fotografie e le matrici dedicati alla Loggia di Amore e Psiche, selezionati dall'Istituto centrale per la Grafica.

Ansa

Nessun commento: