SIMONE PALIAGA
«Nel breve soggiorno di Bougainville a Tahiti, nel 1767, un episodio costringe Louis Antoine conte di Bougainville a riflettere sulle conseguenze che l’approdo di uomini bianchi può determinare un isola che non ha mai avuto contatti con la civiltà occidentale. Gliene dà occasione la festosa accoglienza che gli riservano il capo tribù e le donne in una grande capanna. Fra loro è presente anche un vecchio, il padre del capo che, immobile come un idolo, guarda impassibile quanto succede attorno a sé. Su quel volto di pietra il colto navigatore coglie un presagio funesto: il vecchio ha capito che i giorni felici della sua gente sono finiti per sempre con l’arrivo di uomini venuti da chissà dove». Così scrive Attilio Brilli in quello straordinario viaggio nel immaginario occidentale che è Il grande racconto del favoloso Oriente di Attilio Brilli, ricco di centinaia di riproduzioni di quadri e foto che aiutano a tradurre quell’immaginario in una rappresentazione iconica, da poco pubblicato da il Mulino.
Brilli, uno dei maggiori esperti europei di letteratura di viaggio e autore già del bellissimo Quando viaggiare era un’arte, anche in questa sua recente fatica accompagna il lettore tra le rappresentazioni dell’Oriente, o meglio degli Orienti, in cui l’Occidente cerca, al contempo, se stesso e la fuga da se stesso. Dal Vicino Oriente, l’Arabia e le terre visitate da Alessandro Magno, passando per l’India moghul e il de- serto del Gobi, fino all’Impero Celeste, ai Mari del Sud e all’isola di Hokkaido, molte sono le immagini d’Oriente che approdano in Occidente tra Sette e Novecento.
Che a raccontare queste terre lontane siano viaggiatori, esploratori, avventurieri, spie o commercianti, poco importa. Che siano uomini come il livornese Guarmani o donne come Ann Blunt, che alla pari dell’italiano si reca in Arabia alla ricerca di cavalli; o ancora Isabella Bird che descrive l’isola di Hokkaido, ritenuta la più autentica e arcaica tra le isole giapponesi, Mildred Cable con le sue descrizioni del deserto del Gobi, o Lady Montagu che smonta, dal suo privilegiato punto di osservazione a Istanbul, le fantasiose ricostruzioni di harem e hamam realizzate da presunti viaggiatori che invece mai li avevano visti. Queste solo per non dimenticare la cantante “fallita”, per nostra fortuna, Alexandra David Neel e le sue avventure in Estremo Oriente. Tutti loro sono a proprio modo, per usare l’espressione di Brilli, “mercanti di sogni”. Perché, per differenti che siano i rispettivi punti di vista, restituiscono l’immagine dell’Oriente a cui gli europei, prima, e gli occidentali, poi, aspirano. Un Oriente che, a prescindere dalle sfumature, resta pur sempre la terra del meraviglioso o del mostruoso, di una sensualità inusitata, di odori e colori travolgenti, al tempo stesso luogo di fuga e ritorno all’origine. Un Oriente, insomma, che è l’Altro da sé su cui proiettare le proprie fantasie, e grazie al quale si riconosce e costruisce la propria identità.
Così succede con Sven Hedin che si inoltra nelle terre asiatiche seguendo le tracce di Alessandro Magno. E accade anche con l’archeologo Auriel Stein che peregrina, nei primi anni del Novecento, sull’Hindukush seguendo le indicazioni di Xuanzang, un monaco cinese vissuto mille anni prima e che, in uno dei suoi viaggi, si imbatte nella cosiddetta biblioteca dormiente.
Un deposito con messi di rotoli di manoscritti redatti in cinese, tangut, tibetano e sanscrito custodito in una grotta non lontano da Dunhusng, tra i quali spunta il primo libro a stampa, risalente all’868 d.C, il Sutra del diamante. E che dire di Richard Burton che, pur di visitare la Mecca, travestito da mercante e parlando un buon arabo, arriva alla Mecca o l’espatriato John Lewis Burckhardt che lascia una sua descrizione di come la meta del viaggio devozionale musulmano rimane una volta che i pellegrini si rimettono sulla via di casa. Di certo, oggi, quelle immagini tramandate da questi avventurosi viaggiatori sono ancora più favolose perché la profezia letta negli occhi del anziano tahitiano da Louis Antoine, conte di Bougainville alla fine s’è realizzata. Se ne accorse già Paul Gauguin, quasi due secoli dopo, quando sbarcò in Polinesia e vi ritrovò la stessa Europa da cui aveva tentato di fuggire e che lo costrinse a riparare nell’isola di Hiva– Oa, dove troverà poi la morte.
A conti fatti pare proprio che sui cercatori di meraviglioso abbiano poi prevalso il clienti dell’agenzia Cook, la prima agenzia viaggi della storia. Il passo da viaggiatore a turista ora diventa breve soprattutto se l’agenzia fondata da Thomas Cook organizza per i ricchi borghesi europei viaggi nel deserto con tutti i comfort, dalle comode bagnarole di ghisa in cui risciacquarsi, al primo cibo in scatola e alle piante per rendere il deserto più confortevole al momento delle prolungate soste, rendendo così il mondo tutto uniforme senza più il confronto con l’Altro da sé. Forse, come insinua Attilio Brilli in conclusione al volume, i cercatori del meraviglioso sotto sotto sono stati come William Hodges, il pittore che aveva accompagnato Cook nel secondo viaggio nei Mari del Sud. Contemplando i giganteschi moai dell’Isola di Pasqua, l’artista sembra lo storico Edward Gibbon mentre osserva le vestigia del Foro romano ma pensa “alla decadenza di ogni civiltà e all’inesorabile vanire delle imprese umane”. Anche della propria.
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Attilio Brilli
Il grande racconto del favoloso Oriente
Il Mulino. Pagine 480. Euro 48 ,00
Attilio Brilli ci offre un viaggio nei racconti dei maggiori frequentatori delle terre dell’Est Ma oggi, coi tour operator eredi della più antica agenzia Cook, è ancora possibile?
Ernst Koerner, “Istanbul sul Corno d’Oro” (1910)
Paul Gauguin, “Donne tahitiane sulla spiaggia” (1891) / Alinari
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