Sardegna, quei pellegrini sulle orme dei minatori

MARIA CHIARA CUGUSI  - Avvenire

Cagliari

Dal buio delle miniere alla luce del paesaggio attraverso un nuovo modello di sviluppo in cui l’archeologia industriale si intreccia alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale, ambientale e a un turismo lento, sostenibile ed esperienziale. Lungo il Cammino minerario di Santa Barbara, nel Sulcis- Iglesiente, sud-ovest della Sardegna, i pellegrini riscoprono quei sentieri un tempo percorsi dai minatori, riportati “in vita” grazie a un progetto attivato dalla Fondazione omonima che dal 2015 si è ampliato e strutturato sempre di più (e tuttora in espansione), con oltre 500 km e una trentina di comuni coinvolti, anche grazie alla sinergia con sindaci e parroci.

Fernande Dufaud, 73 anni, pittrice francese, per la terza volta nell’Isola per percorrere questi sentieri, quest’anno ha partecipato alla prima escursione sperimentale lungo il nuovo Cammino attivato dalla Fondazione nel centro-Sud dell’Isola, nel territorio delle Barbagie di Seulo-Belvì e del Sarcidano. «Questo cammino – racconta Fernande – ha un’anima, quella della sua gente, della sua ospitalità e della volontà di far rivivere il proprio territorio». Dal 2018 ad oggi ha realizzato 24 acquerelli che ha donato alla Fondazione: «Volevo tradurre le emozioni provate con i colori e ringraziare per l’aiuto ricevuto e per le sensazioni che mi sono portata dietro». Un cammino “al femminile” in cui la maggior parte dei pellegrini sono donne. Margherita Concu, 28 anni, tornata nell’Isola dopo anni vissuti tra Torino e l’estero, oggi dipendente della Fondazione, l’intero Cammino l’ha percorso da sola: 30 tappe in 25 giorni tra lo scorso novembre e dicembre: «Ero alla ricerca di me stessa. Ho scoperto una Sardegna che non conoscevo: mi ha colpito la varietà del paesaggio, la storia delle miniere raccontata dalle persone incontrate». Tra queste ultime, anche alcuni minatori in pensione, come Elio Cuccu, 66 anni, 30 anni trascorsi nella miniera di Acquaresi, a 200 metri sotto il livello del mare, volontario della Fondazione: «Non si entrava senza chiedere la protezione a Santa Barbara, nostra patrona – racconta – e questa devozione è stata trasmessa da padre in figlio e ha lasciato traccia. Era un lavoro pericoloso, ma allo stesso tempo caratterizzato da relazioni strette: non si risaliva senza aspettare l’altro».

Un modello vincente tanto da portare alla candidatura per l’inserimento tra gli itinerari culturali riconosciuti dal Consiglio d’Europa. E i numeri parlano chiaro: «Durante il 2021 – spiega il presidente della Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara Giampiero Pinna – tremila le persone transitate, con un indotto per le strutture ricettive di circa 10mila pernottamenti e 20mila pasti, e quest’anno ci aspettiamo risultati ancora migliori».

Tra le ricadute territoriali, l’implementazione delle strutture ricettive, dai B& b alle “posade” (ostelli), la valorizzazione della tradizione dall’enogastronomia all’artigianato -, le opportunità lavorative per le imprese impegnate nella sistemazione dei percorsi, quelle per i giovani assunti dalla Fondazione (che conta oggi una quindicina di dipendenti), molti dei quali cresciuti in famiglie segnate dalla storia mineraria. «Sono orgoglioso di ciò che sto facendo – racconta Andrea Tarozzi – e anche mio padre lo sarebbe. La sua preoccupazione, dopo la chiusura delle miniere, era quella di vedere i figli sistemati pur in un territorio economicamente molto fragile. Il nostro lavoro ci permette di recuperare una storia di fatica, quella dei nostri genitori, dei nostri nonni, e allo stesso tempo di creare una nuova economia, coinvolgere gli operatori locali affinché capiscano il potenziale».

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IL TERRITORIO

Oltre 500 chilometri e una trentina di comuni: è il Cammino minerario di Santa Barbara, nel Sulcis-Iglesiente, lungo i sentieri riportati in vita dalla Fondazione omonima


Fernande, una delle pellegrine in cammino nel Sulcis Iglesiente
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