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Sven Lindqvist: deserto come senso del viaggio

 



Protagonista assoluto del libro di Sven Lindqvist, grande viaggiatore e narratore svedese ( Nei deserti, Ponte alle Grazie, pp. 163, euro 14,90) è il deserto. Deserto come luogo fisico ma anche come destinazione dell’anima, come sprone e come ideale, come origine e come approdo, come metafora e come analogia. Deserto «geologia a cielo aperto», luogo dove «tutti i cambiamenti sono già avvenuti, tutto è già passato e resta solo l’eternità». Le pagine di Lindqvist risuonano più pregnanti e toccanti là dove a risaltare è il deserto nell’incanto della sua sterminata, misteriosa magia. Sono i luoghi del libro in cui più emerge la convinzione del Lindqvist devoto viaggiatore, quella per cui solo a uno sguardo superficiale il deserto appare monotono e uniforme, mentre in realtà è capace di tutte le gradazioni possibili. Diverso il tenore delle pagine in cui la storia del deserto glissa verso quella dei suoi appassionati esploratori/estimatori. Qui ad essere presi in esame sono i percorsi biografici, gli scritti e le opere dei molti che attraverso le loro peregrinazioni hanno costruito una «estetica del deserto». Saint-Exupéry e la sua vocazione di aviatore che elevandosi da terra trova una nuova visione delle cose. Michel Vieuchange scrittore francese appassionatissimo di deserto, viaggiatore disposto, pur di attraversarlo, a travestirsi da donna berbera: inaugurando così una serie di viaggiatori camuffati, da Pierre Loti a Isabelle Eberhardt, secondo un’iperbole metaforica per cui il viaggio nel deserto è spoliazione di sé anche nel senso di rinuncia alle proprie parvenze. Nella prima parte, occupata in modo corposo dal “protagonista” deserto, il libro di Lindqvist ha andamento curioso nella sua dimensione fratta, non sempre facile da cogliere e seguire nel progressivo concentrarsi sugli scopritori del deserto più romanticamente devoti alle sue atmosfere (André Gide, Conrad e altri). Un testo a metà strada tra saggio e mémoir, ibrido, in cui il racconto di viaggio, la riflessione autobiografica, la ricognizione storica, l’indagine a partire da immagini fotografiche si mescolano, qua e là giustapponendosi secondo un filo rosso un po’ sfocato. Ispirato da quanti sono stati ispirati dal deserto, esploratori del mondo e dell’animo umano i cui lunghi peripli finiscono con l’assumere valore di pellegrinaggi per quanto metamorfosi esistenziali attraversate in nome del silenzio, Sven Lindqvist racconta e si racconta. Non è del tutto chiaro sino a che punto per lui la necessità di scrivere questo libro abbia come origine e come destinazione il deserto vero e proprio, e non piuttosto le riletture di esso da molti artisti declinate su criteri intessuti di esaltazione e di lì, nella loro componente idealizzante/mitizzante, fuorvianti. Gli spunti sono diversi, alcuni di grande interesse: per esempio una lettura comparata dei diversi modi di viaggiare nel deserto rispettivamente di André Gide e Joseph Conrad. Manca tuttavia un punto di vista denso abbastanza da mantenere compatta l’ossatura di un libro piacevole a leggersi quanto un po’ opaco nei suoi intenti più sostanziali.


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