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Il caso. L'altare di Gand fra diritto e rovescio

Tornando a Gand qualche settimana fa, tre anni dopo aver visto nella città belga la mostra del suo artista più illustre, Jan van Eyck, autore del Polittico dell’Agnello mistico conservato nella cattedrale di San Bavone, mi ero ripromesso di prendere, per così dire, il toro per le corna una volta per tutte. Volevo cioè confermarmi oppure rifiutare ancora de visu la proposta che, sessant’anni fa, il grande storico dell’arte, nonché poeta tra i più ispirati del gruppo fiorentino legato all’ermetismo, sto parlando di Alessandro Parronchi, aveva avanzato nel saggio “Sulla struttura originaria dell’Altare dei van Eyck a Gand” (uscito nel 1964 nel corposo volume Studi su la dolce prospettiva edito da Martello).

È bene ricordare subito, come sottinteso nel titolo del saggio, che i van Eyck operanti nel “retablo” di Saint Bavon e su altre opere furono due fratelli: il più anziano Hubert e il più giovane e oggi venerato Jan. Due decenni di età li separavano e di Hubert non si sa quasi nulla, del resto conosciamo poco anche di Jan, il quale però dipinse sul Polittico ormai concluso l’iscrizione che recita: «Il pittore Hubert van Eyck, più grande del quale nessuno è mai stato, ha iniziato questo gravoso lavoto, che suo fratello Jan, secondo nell’arte, ha portato a compimento…”». Era il 1432, Hubert aveva ricevuto la commissione da Josse Vijd e la moglie poco tempo prima di morire nel 1426 e non si sa quanto potesse aver dipinto prima della dipartita. Come è stato notato da più studiosi, se non fosse per quella iscrizione Hubert sarebbe oggi quasi sconosciuto. E in effetti tale rimase fino ai primi decenni dell’Ottocento quando un restauratore la portò alla luce. Per la verità le tracce di Hubert resistono ancora nel Seicento: Karel van Mander, pittore e scrittore d’arte, nel trattato sulle Vite dei pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi, afferma che Hubert era nato nel 1366, mentre uno storico olandese, Marcus van Vaernewijck, nel tardo Cinquecento sostenne che fosse morto di sofferenza, dunque forse a causa di una malattia, e che aveva anche una sorella di nome Margaret.

È soltanto uno dei “misteri” che gravano sulla famiglia van Eyck, perché anche di Jan non conosciamo molto: morì a Bruges nel 1441 e ancora negli anni successivi era considerato fra i grandi dell’epoca, vale a dire Pisanello, l’altro fiammingo, Rogier van der Weyden, Gentile da Fabriano, fino al punto di essere da qualcuno considerato il pittore più importante del suo tempo. Quello che vorrei riproporre, qui, è soltanto uno dei “casi” che riguardano la storia leggendaria dei van Eyck. Agli inizi del 2003, dopo aver seguito la ripubblicazione di un piccolo ma importante saggio di Parronchi su Caravaggio, mi ritrovai a casa sua, a Firenze, per valutare la ripubblicazione di alcuni suoi testi memorabili dedicati a “casi” tuttora al centro di studi, fra cui quello su Leonardo scultore, ambito di cui si sa ancora oggi molto poco (Parronchi era anche il massimo esperto della scultura degli anni giovanili di Michelangelo, a cui aveva dedicato ben quattro volumi usciti da Olschki). L’anziano studioso, claudicante e prossimo ai novanta, mi disse di voler ripubblicare alcuni saggi dedicati a Piero della Francesca con, in appendice, quello sull’altare di Gand, sotto il titolo Ricostruzioni. Ne uscì un libro a suo modo unico, dove l’altare di Gand oltre a essere spiegato con parole e immagini, era accompagnato da un modellino pieghevole a colori che proponeva la “ricostruzione” di Parronchi come lui riteneva che fosse inizialmente.

Si deve tener presente che la cattedrale che ospita il Polittico era dedicata a san Giovanni Battista e soltanto nel 1540 passò a san Bavone. L’Altare, come si vede sulle due ante laterali che coprono il pannello centrale dell’Agnello mistico mostra le figure dei due committenti che lo donarono affinché fosse celebrata ogni giorno in loro suffragio una messa, da cui l’idea della “messa eterna”. Quale struttura doveva avere in origine l’Altare di Gand? I riferimenti teorici su cui lo storico basa il suo ragionamento sono quelli della visione “bifocale” del Ghiberti, opposta alla prospettiva artificiale di Brunelleschi, retta su un solo punto di vista, che contraddiceva «il libero modo di guardare di chi voleva seguitare a guardare con tutti e due gli occhi, e giovarsi del loro movimento scambievole»: visione bifocale presente nella Porta del Paradiso e in un’opera del suo discepolo, Masolino, «il quale la applica in quel dipinto di estrema importanza che è il Miracolo della neve », oggi a Capodimonte, che «offre una composizione a due centri». Così Parronchi conclude che «l’uno e l’altro fenomeno, della binocularità dell’impianto e della fonte di luce irradiante dall’alto, sono ripresi al centro della grande composizione con l’Adorazione dell’Agnello mistico di Jan van Eyck», per poi sostenere, dopo alcuni esempi di geometria prospettica, che all’inizio il Polittico fosse stato pensato secondo una costruzione recto/verso e non a due piani sovrapposti. Davanti, il trittico con Dio, la Vergine e il Battista, e all’esterno le ante con gli angeli cantori e musicanti e quelle di Eva e di Adamo; dietro, invece, l’Agnello mistico, oggi ripulito dopo i restauri del 2012, alla cui sinistra stanno i Giudici e i Cavalieri di Cristo, mentre a destra vediamo gli Eremiti e i Pellegrini.

«L’impressione è che il piano superiore delle grandi figure e il piano inferiore della distesa paesistica non possono essere stati studiati per uno stesso ordine visuale,… ma devono corrispondere a due visioni distinte », come il trittico a due facce di Masolino e Masaccio a Santa Maria Maggiore di Napoli, oggi smembrato, di cui faceva parte anche la pala del Miracolo della neve. A Gand sono stati aggiunti gli sportelli che chiudevano il Polittico su entrambi i lati: la parte centrale con Dio la Vergine e il Battista, in posizione chiusa presenta sulle ante l’Annunciazione, mentre dietro figurano i committenti e, più al centro, il Battista che tiene un agnello e san Giovanni evangelista. Questa costruzione è senz’altro più coerente rispetto alla sovrapposizione verticale, come la vediamo oggi sotto la teca gigantesca che protegge il politico ma rende, fra l’altro, molto difficile osservare le ante con i donatori. Rivedendo dunque l’opera qualche settimana fa mi sono convinto che Parronchi avesse ragione e che l’attuale disposizione sia stata adottata in seguito (magari quando la chiesa fu dedicata a san Bavone). Vexatissima quaestio sollevata anche da studiosi come Panofsky, Beenken, Dvorak, Tolnay, Renders, Uspenskij e altri. Nel catalogo della mostra di tre anni fa nemmeno una finestra sulla questione: si ricordi che van Vaernewijck già nel 1568 pensava che il Polittico potesse aver avuto una predella oggi perduta, tema che Parronchi rilanciava anche come elemento necessario a far combaciare di schiena i due fronti. Il modello ricostruito per la riedizione del saggio di Parronchi rendeva subito chiaro che i due livelli sovrapposti, abbastanza combacianti in altezza, avrebbero ricevuto soluzione definitiva “bifrontale” con la predella che lo storico poneva alla base dell’Agnello mistico, dedicata al Purgatorio.

avvenire.it