Provo a rispondere a tutti.
Tutti quelli che avendo letto i miei romanzi vedono e sperano in me un possibile compagno di viaggio. O di sventura. In tantissimi sono ragazzi.
Con molti ho avviato dialoghi, incontri, che durano oramai da anni. Il primo a beneficiarne, lo dico a tutti, sono io, e non per piaggeria. Io trovo in loro quel che loro cercano da me.
Non una spalla su cui piangere, ma un amico che vive di fronte al mondo con una postura molto simile alla mia. Nel trovare lui rendo più forte me stesso.
Di fronte alla bestia. Alla solitudine.
Come uomini attorno a un fuoco, la relazione ci permette di affrontare le nostre paure, reali e irreali, sapendo di avere accanto un alleato disposto alla nostra stessa battaglia.
In questa epoca, almeno per noi occidentali, la battaglia è soprattutto interiore. La pandemia di covid-19, a riguardo, ci ha ricordato che ne esistono di ben peggiori rispetto a quelle che ci vedono affrontare la nostra psiche, ammesso che si possa ridurre tutto alla sola psiche.
Oggi si combatte in buona sostanza non contro il male in quanto tale, ma contro la sua proiezione. Se la bestia è la solitudine, la paura è il suo fido scudiero.
Ci sentiamo soli e disarmati di fronte ai demoni che ci vengono a cercare, e l’amicizia è l’unico scudo che abbiamo. Ci permette di sopravvivere.
Ma sarebbe semplicemente falso, fuorviante, dire che con la sola amicizia si possa sconfiggere il dramma originale che vive dentro di noi.
Perché la vera dimensione della solitudine trascende l’umano. Viaggia in verticale. I miei simili sono Fratelli tutti, per citare le parole di Papa Bergoglio, ma il nostro sangue cerca chi lo ha generato, guarda alle stelle.
Le stelle, però, non rispondono. Almeno non nella maniera in cui noi vorremmo. Sentirsi soli nell’universo, orfani.
È questa la dimensione ultima della nostra sofferenza.
Tutto rimanda all’assenza di Dio. Incolmabile. Non esiste ragione umana capace di schiavare l’universo.
Allo stesso tempo, sopravvive dentro di noi la speranza che il Padre non solo possa esistere, ma che possa essere avvicinato, amarci e proteggerci per sempre. È proprio da questa contraddizione che esplode quel sentimento di abbandono sofferto che tutti ci portiamo in grembo. Moltissimi senza averne nemmeno cognizione.
È la storia dell’uomo.
Le fede è un percorso singolare. La famiglia, come la chiesa, oppure la propria sensibilità, offrono le premesse fondamentali alla partenza. Ma il viaggio è una questione personale. Nessuno può farlo al posto nostro.
Il viaggio verso Dio rovescia l’abbandono in fiducia, la solitudine in nostalgia.
Sa che l’approdo non sarà mai quello definitivo. Almeno non in questa vita.
Ciononostante, sente il suo cuore in costante relazione con la propria origine.
Il mare che bisogna prendere per compiere questo viaggio mette paura, ci sovrasta da sempre, vive dentro ogni nostro sentimento, esperienza, domanda.
Quel mare si chiama Mistero.
E la nostra vita non può fare a meno di affrontare le sue onde.
di Daniele Mencarelli
Osservatore Romano