L'anniversario. «Così Luigi Ghirri ha aperto un nuovo continente per la fotografia»

Reggio Emilia celebra i 30 anni della morte con una mostra sul tema del paesaggio in miniatura. La curatrice Campioli: «C'è un prima e un dopo Ghirri in fotografia»
Luigi Ghirri, "Rimini 1977". L'opera è esposta a Reggio Emilia nella mostra “In scala diversa”

Luigi Ghirri, "Rimini 1977". L'opera è esposta a Reggio Emilia nella mostra “In scala diversa” - Archivio Eredi Luigi Ghirri

Luigi Ghirri, “Rimini 1977”. L’opera è esposta a Reggio Emilia nella mostra “In scala diversa” – Archivio Eredi Luigi Ghirri

Non aveva neppure 50 anni Luigi Ghirri quando scompare all’improvviso nel 1992 a causa di un infarto. Ma in due decenni soltanto ha tracciato un corso inedito della fotografia attraverso un costante riesame del suo codice, uno smontaggio e rimontaggio dei meccanismi linguistici dell’immagine che lo avvicina, specie nella prima metà della sua carriera, agli artisti concettuali e che poi si proietta sulla parte più celebre e apparentemente più accessibile del suo lavoro, quella sul paesaggio.

A Reggio Emilia, in occasione del trentennale della morte, la mostra “In scala diversa. Luigi Ghirri, Italia in Miniatura e nuove prospettive” (Palazzo dei Musei, fino all’8 gennaio), a cura di Joan Fontcuberta, Ilaria Campioli e Matteo Guidi, riunisce per la prima volta tutte le fotografie realizzate all’interno dell’Italia in Miniatura di Rimini, un parco tematico progettato da Ivo Rambaldi e inaugurato nel 1970, dove la sagoma dello Stivale racchiude le riproduzioni di monumenti e località.

È un vero snodo nel lavoro di Luigi Ghirri. Vi troviamo condensati tutti i temi da lui affrontati, a partire dal “regno dell’analogo”, dove la concretezza del reale è data proprio dalla moltiplicazione nella sua immagine, ma anche i futuri sviluppi. «Ghirri presenta la serie In scala per la prima volta nel 1979 ma sappiamo che è tornato nel parco più volte negli anni seguenti – spiega Ilaria Campioli, curatrice della sezione di fotografia di Palazzo dei Musei –. L’Italia in Miniatura gli appare come un banco di prova dove testare la sua idea di fotografia e un luogo di sintesi. Evidentemente era un luogo illuminante. Nei testi è molto chiaro: il parco è un atlante tridimensionale. Allo stesso tempo emerge in queste immagini un tema chiave del Ghirri futuro come quello della soglia. Ghirri osserva che il parco è così esplicitamente finto da essere il solo strumento capace di richiamare l’esperienza del reale. È come se riconoscesse in questi modelli il dispositivo della fotografia, che è a sua volta una miniaturizzazione fisica del mondo. Fontcuberta sostiene che al parco Luigi Ghirri stia fotografando la fotografia».

Ma è anche da qui che si deve guardare il Ghirri più noto di Viaggio in Italia. Ghirri sembra sia dovuto arrivare al paesaggio, da cui solitamente un fotografo inizia, mettendo prima a registro il problema della fotografia. Nel parco trova il momento in cui paesaggio e fotografia coincidono, e questo gli consente di affrontare con piena libertà il campo aperto. «E lo fa con un nuovo approccio. L’Italia di questo parco è quella dei grandi atlanti fotografici Alinari: l’Italia del monumento, dell’eccezionalità isolata dal contesto. È una geografia per aneddoti. Quando esce, Ghirri fotografa quello che sta nel mezzo. Si vede la libertà acquisita nel fatto che da San Pietro in miniatura si sposta a luoghi che nessuno ha mai fotografato. Per Ghirri il paesaggio non era un’esperienza di bellezza, ma di appartenenza. E tutt’altro che malinconica, come spesso si pensa. È il cambio di sguardo che coinvolge una generazione di fotografi che non a caso coinvolti da lui in progetti realizzati in gruppo in una condivisione di intenti: Barbieri, Chiaramonte, Guidi, Jodice, Basilico…».

Nell’indice dei nomi di Niente di antico sotto il sole (Quodlibet), che raccoglie i suoi testi, Bob Dylan è il nome più citato dopo gli amatissimi fotografi americani. «Spesso si sottolinea il legame di Ghirri con gli scrittori, a partire da Gianni Celati, e la letteratura. Ma io credo che fosse più forte quello con la musica. In un’intervista con Lucio Dalla dice che le fotografie sono come le canzoni: piccole e fragili. Nel suo identikit fotografico si vede un grande scaffale pieno di lp. Ma è un tema ancora inesplorato. Io credo che il rapporto con la musica sia stato in avere, mentre in quello con la scrittura in dare. Penso ad esempio all’idea, così dylaniana, della pianura e del viaggio».

La mostra presenta stampe vintage incorniciate alle pareti e nelle vetrine gli scatti provenienti dai negativi dell’archivio custodito nella Biblioteca Panizzi: «Sono oltre150mila negativi. Ghirri ha fotografato moltissimo, specie per quegli anni. In accordo con gli eredi stiamo progettando mostre che esplorano l’archivio con uno sguardo diverso, considerandolo come qualcosa di vivo. Per entrare nei suoi processi creativi ». Una pratica per altro rispettosa del metodo di Ghirri che non ha mai eseguito ritratti ma ha preferito rappresentare le persone attraverso le cose sedimentate negli spazi in cui vivono: «Gli ultimi lavori, come quelli dedicati a Morandi, sono tutti in interno. Sembrano aprire vie nuove: dove sarebbe andato? Non si considerava il fotografo della grande opera. Non avrebbe mai voluto essere trasformato in un simulacro. Le sue immagini oggi sono imitate, copiate. La rete pullula di “immagini alla Ghirri”. Questo è un modo per spezzare un processo in cui non si sarebbe mai riconosciuto ».

Eppure all’estero Ghirri non è ancora noto in modo universale: «Francia a parte, Ghirri in generale fuori dall’Italia è conosciuto troppo poco e in modo incompleto. Molti fotografi stranieri che arrivano qui a Reggio Emilia per Fotografia Europea lo scoprono quasi per la prima volta. Ed è incredibile che il MoMA non gli abbia mai dedicato una mostra. È un sintomo della difficoltà storica di inquadrare Ghirri».

Ma a 30 anni dalla morte è impossibile sottovalutarne l’eredità: «Quando inizia a lavorare c’erano due modi di fare fotografia: il fotogiornalismo e la fotografia artistica in bianco e nero. Ghirri inaugura una terza via, e oggi molti fotografi vi sono dentro. Senza l’immediatezza e la facilità di muoversi in simbiosi con la scrittura e la musica, oggi non avremmo i giovani che lavorano con gli scienziati o usano le immagini che arrivano dai telescopi… Non è un caso che molti all’inizio, anche colleghi importanti, non lo capivano. Non era scontato. È stato in grado di creare una strada che non sta neppure in mezzo, ma oltre. Con la sua massa di immagini ha aperto un continente nuovo per la fotografia. Forse a Ghirri sta stretta la definizione di fotografo: prima ancora è un artista che usa l’immagine».
Avvenire

Arte sacra. Milano si prepara a celebrare 800 anni di Regola francescana

Il Museo dei Cappuccini organizza due mostre per l’occasione: da ieri in esposizione la “Sacra Conversazione” di Lorenzo Berrettini, proveniente dalla chiesa delle Suore Clarisse di Cortona



Ottocento anni della Regola di san Francesco d’Assisi. E ottocento anni di presenza clariana e francescana a Milano. Per ricordare e celebrare queste ricorrenze le famiglie francescane organizzano un percorso lungo un anno che unisce arte, storia, cultura, testimonianza e spiritualità.
Il 29 novembre 1223 infatti, Papa Onorio III approvò la Regola di vita di Francesco d’Assisi e dei suoi frati; nello stesso anno, antichi documenti attestano la presenza a Milano di Suore Clarisse, seguaci di Chiara d’Assisi. Otto secoli dopo, il Museo dei Cappuccini ospita due mostre. La prima è stata inaugurata ieri: “Si è fatto nostra via: la strada di Chiara e Francesco”, che vede l’esposizione della lunetta di Lorenzo Berrettini del monastero delle Clarisse di Cortona. La tela, restaurata per l’occasione, ha lasciato per la prima volta la sua sede; attorno a questa sono esposti dipinti della collezione permanente dei Beni Culturali Cappuccini della Lombardia legati sempre alle figure di Chiara e Francesco.

«Ci emoziona farci presenti tra voi anche soltanto con alcune parole. La venuta al Museo dei Cappuccini di Milano della “Sacra Conversazione” di Lorenzo Berrettini, custodita nella nostra chiesa, è stata e continua ad essere l’esperienza del dono di legami, legami che hanno il sapore buono dell’amicizia»: è questo il messaggio giunto a Milano da parte delle Suore Clarisse di Cortona. L’opera rappresenta la Vergine Maria che porta in braccio il piccolo Gesù; ai due lati sono raffigurati san Francesco e santa Chiara inginocchiati, impegnati in un dialogo lui con il Bambino e lei con la Madonna.
«Gli eventi che il museo organizza, compresa questa esposizione straordinaria, sono fatti per raggiungere non solo gli appassionati d’arte ma anche gli interessati al francescanesimo. L’idea del museo è infatti restituire la natura dei frati, raccontare cioè la loro storia a partire da un’opera d’arte, che è anche la storia della comunità che in quell’epoca fruiva dell’opera» ha dichiarato Rosa Giorgi, direttrice del museo e curatrice della mostra, che resterà aperta al pubblico fino al 14 gennaio prossimo. Al suo posto, dal 18 marzo al 17 giugno 2023, sarà allestita la mostra intitolata “Si è fatto nostra via: la Regola e la vita”, che renderà visibili al pubblico le antiche pergamene che attestano la prima presenza delle Clarisse a Milano.

Nel corso dell’anno saranno organizzati incontri di preghiera e testimonianza di fede sui diversi aspetti della vocazione francescana. Il primo nel giorno dell’anniversario dell’approvazione della Regola: martedì 29 novembre si terrà “Fratelli e Sorelle sulla via del Vangelo”, organizzato dai Frati Minori del convento Sant’Angelo. Si passerà poi al 2023: il giorno 8 febbraio i Frati Minori Cappuccini del convento del Sacro Cuore animeranno “Seguendo Cristo in povertà e carità”; poi il 20 aprile ci sarà “Chiamati all’annuncio del Vangelo” con i Frati Minori Conventuali del convento Beata Vergine Immacolata e Sant’Antonio. Gli ultimi due appuntamenti saranno il 6 giugno e il 14 settembre. Nel primo caso le Sorelle Povere di Santa Chiara ospiteranno nel loro monastero “Nella preghiera luogo di incontro e dialogo”, invece il secondo incontro sarà organizzato dal Terzo Ordine Regolare di san Francesco presso il convento Santi Patroni d’Italia e si intitolerà “Al cuore della vocazione francescana”.
A chiusura di un anno di celebrazioni e ricordi si terrà una messa conclusiva dell’Anno centenario presieduta dall’Arcivescovo Mario Delpini: l’appuntamento è per il 4 ottobre 2023 (giorno di san Francesco) nella Basilica di Sant’Ambrogio.
Menzione a parte per “Tracce di Storia francescana a Milano”, un convegno di studi che si terrà al Centro Francescano Rosetum il giorno 6 maggio, dalle 9.30 in poi.
Avvenire

Arte. Leonardo: il “Salvator Mundi” avrà un museo in Arabia Saudita

Martin Kemp, lo storico dell'arte al quale si deve l'attribuzione a Leonardo da Vinci, ha affermato di essere stato invitato a discutere del progetto, destinato a essere realizzato in due anni

Un particolare del Salvator Mundi attribuito a Leonardo

Un particolare del Salvator Mundi attribuito a Leonardo - Ansa

Il Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci sarà esposto in un museo che si sta costruendo in Arabia Saudita e che dovrebbe essere inaugurato entro un paio di anni. Lo ha annunciato lo storico dell'arte britannico Martin Kemp, professore emerito dell'Università di Oxford, tra i maggiori specialisti di Leonardo e al quale si deve la controversa attribuzione del dipinto, intervenendo al Cheltenham Literary Festival.
Il "Salvator Mundi" è nascosto alla vista del pubblico da cinque anni: la sua posizione e il suo status sono sconosciuti da quando è stato venduto all'asta da Christie's a New York nel 2017 per 450 milioni di dollari, dopo che era stato venduto a un consorzio di mercanti d'arte a New Orleans nel 2005 per soli 1.175 dollari.
Kemp ha reso noto di essere stato convocato in Arabia Saudita per ispezionare il dipinto su invito del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman Al Saud, che dice stia costruendo una galleria d'arte in cui esporre il dipinto leonardiano. Il quadro è stato ufficialmente acquistato all'asta da Badr bin Abdullah, ritenuto vicino al principe ereditario Bin Salman.
Dal 2017 voci non confermate hanno collocato il dipinto in un deposito in Svizzera o a bordo dello yacht personale di Mohammed Bin Salman.
Il dipinto è stato messo all'asta nel 2005 presso la casa d'aste St. Charles Gallery di New Orleans, negli Stati Uniti. Fu consegnato dalla fondazione dell'uomo d'affari di Baton Rouge Basil Clovis Hendry Sr. Il quadro era stato pesantemente sovradipinto, facendo ritenere a molti specialisti che fosse solo una copia dell'opera originale. L'opera restaurata è stata successivamente presentata in una grande mostra su Leonardo alla National Gallery di Londra nel 2011.
L'Arabia Saudita aprirà il prossimo anno il Wadi AlFann, un enorme complesso culturale vicino alla città di Al Ula. La curatrice britannica Iwona Blazwick, ex direttrice della Whitechapel Gallery di Londra, sta consigliando il regno su iniziative culturali in qualità di consulente. Interpellato da "The Art Newspaper" se si tratti del museo che ospiterà il "Salvator Mundi", Martin Kemp non ha risposto.
Avvenire

La mostra al Meis di Ferrara. La linfa vitale che scorre da Sukkot ai Vangeli

La simbologia della festa si ritrova nei testi cristiani: tende, luce, acqua. Echeggia anche in episodi come la cacciata dei mercanti e l’incontro con Nicodemo
Uno dei pannelli conservati all’Abbazia di Praglia

Uno dei pannelli conservati all’Abbazia di Praglia - Maurizio Cinti

Avvenire
Le feste ebraiche nei primi secoli del cristianesimo esercitarono un notevole fascino sui giudeo-cristiani e anche sui cristiani provenienti dal paganesimo, e la fede cristiana in modo più o meno consapevole è tuttora innestata sulle radici ebraiche, che non cessano di trasmetterle una linfa vitale. Ciò vale in particolare per la grande festa di Sukkot. La predicazione di Yehoshua il Galileo, Messia crocefisso, rabbi proveniente da Nazareth osannato dalle folle ma osteggiato da autorità religiose, viene situata - specialmente dal Vangelo secondo Giovanni - nel quadro dei tre principali pellegrinaggi che hanno in Gerusalemme il loro centro: Pesach, Shavuot e Sukkot, festa quest’ultima che nel corso dei secoli si era idealmente congiunta con Hannukah e la Dedicazione del Tempio a opera di Giuda Maccabeo. La Mishnah e il Talmud dedicano ampio spazio a Sukkot, perciò possiamo conoscerne numerosi dettagli, che ci permettono di comprendere molte espressioni di Gesù secondo i Vangeli, inquadrandole nel loro originario 'ambiente vitale' o Sitz im Leben. All’epoca di Gesù la 'grande festa' autunnale di Sukkot - detta in greco nei Vangeli Scenofegia dei Tabernacoli ( Tende) o delle Capanne - si era già molto arricchita di significati cosmici e storici, liturgici e religiosi, politici, escatologici ed ecumenici, innestati su antiche tradizioni cananee. Il popolo che compiva il terzo pellegrinaggio, nell’atmosfera gioiosa dei raccolti e delle vendemmie, ricordava contemporaneamente le difficili condizioni del deserto, la proclamazione della Torah, la consacrazione del Tempio, l’epopea nazionale, l’inizio di un nuovo anno salutato quasi come una 'Pasqua d’autunno', l’attesa del Messia. Gesù stesso, assiduo ai pellegrinaggi prescritti dalla Torah (Es. 23; Lev. 23; Deut. 16), prendeva parte alla festa che, al suo tempo, si celebrava in un tripudio notturno di luci, musiche e acque zampillanti, aperta su orizzonti messianici e universali inclusivi di tutti i popoli secondo le profezie dei giorni ultimi e del giardino di Eden in Aggeo e Zaccaria. Il maestro venuto dalla Galilea a più riprese è presentato come sorgente di acqua viva: alla Samaritana (Gv. 4), alla piscina di Siloe (Gv. 9), alla conclusione di Sukkot (Gv. 7) e, infine, sulla croce (Gv. 19,34-35). Simili espressioni evocano le immagini del pozzo traboccante che segue il popolo nel deserto come in Tosefta Sukkah (3,3) e in Targum Numeri (21,17), e del fiume di acque vive profetizzato da Ezechiele e Zaccaria. In coincidenza con uno dei solenni atti celebrativi a Sukkot, mentre un sacerdote attingeva con una brocca d’oro alla piscina di Siloe l’acqua destinata alla libazione sull’altare dei sacrifici (Mishnah, Sukkah, 4,9), la scena che potremmo immaginarci si svolgeva forse nel modo rappresentato nell’affresco nella sinagoga di Dura Europos, con il pozzo le cui acque fluiscono verso le dodici tende delle tribù d’Israele. Tali acque, sgorganti dall’altare in virtù di questo atto cultuale al culmine di Sukkot, assumevano una straordinaria pregnanza, evocante le acque della Creazione e della Redenzione o nuova creazione, come in Ezechiele 47 o in Apocalisse 22. Tra i gesti e le parole di Gesù sparsi nei quattro Vangeli canonici, che possiamo collegare più o meno direttamente alla festa, ne consideriamo alcuni riguardanti i temi caratteristici delle tende o capanne, della luce, dell’acqua. La sukkah, in greco skené, in virtù di una ricchissima simbologia biblica rinvia alle tende di Abramo e Sara, del Convegno con Mosè e il popolo, di Davide e, infine, alla Dimora nel Tempio di Gerusalemme. Nel Vangelo le tende sono anche menzionate con insistenza nell’episodio della Trasfigurazione, denso di riferimenti e allusioni simili a un midrash, quando Simon Pietro propone d’innalzare sul monte tre capanne per Gesù, Mosè ed Elia, un episodio riferito con cura ben tre volte dagli evangelisti (Mt. 17; Mc. 9; Lc. 9). Il vertice di questa simbologia della sukkah si tocca nel Vangelo secondo Giovanni che, proponendo un ardito collegamento tra Shekhinah e Skenè, annuncia che il Lògos o Verbo eterno pone la sua tenda tra gli uomini (Gv. 1), come Sapienza fattasi 'carne e sangue', amante dell’umanità secondo Proverbi 3 e 8. Il tema della luce, che pure si radica fin nella prima pagina della Creazione e accompagna le manifestazioni divine a protezione e guida del popolo a Pesach e nel deserto, è un altro dei segni grandiosi della rivelazione divina che opera la salvezza d’Israele. I profeti, specialmente Isaia, vengono citati nel Vangelo secondo Matteo come prova della grande luce splendente su tutti i popoli (Mt. 4,16), e la città luminosa che attira a sé con la sua luce (Mt. 5,16) sembra un rimando chiaro a Sion e al Tempio, risplendente delle luci notturne di Sukkot, quando diventerà meta di tutti i popoli e fonte di pace universale (Zacc. 14; Is. 2). Più volte Gesù sottolinea che «la luce è venuta nel mondo» (Gv. 3,19; 9,5) e l’evangelista lo chiama «la luce vera» (Gv. 1,9; 8,12). Il terzo tema è l’acqua, come già si è detto, non meno importante per il rinvio alle acque primordiali, elemento essenziale per la vita di piante, animali e uomini, divenendo simbolo della Parola di Dio e della Torah, sorgente di vita. Gesù promette che donerà un’acqua «che zampilla per la vita eterna» (Gv. 4,14), e a Cana di Galilea si manifesta con un primo segno a partire dall’acqua mutata in un vino straordinariamente delizioso, che pare alludere al vino di Sukkot e dei tempi messianici (Gv. 2). Egli ancor più esplicitamente affermerà, nell’ultimo giorno di Sukkot: «Chi ha sete venga a me, e beva» (Gv. 7,37), e poco dopo invierà il cieco nato a lavarsi a Siloe per acquistare la vista (Gv. 9,7). Oltre a questi temi principali che fanno riferimento più o meno esplicito a Sukkot, altri se ne possono individuare come possibili spunti per ulteriori approfondimenti. Solo a titolo di esempi, la cacciata dei mercanti dall’atrio del Tempio o il discorso notturno tra Gesù e Nicodemo. I mercanti vengono cacciati dal Tempio durante una Pasqua, secondo l’evangelista Matteo, al termine del ministero pubblico di Gesù (Mt. 12,17; Mc. 11,15-19; Lc. 19,45-48), mentre il Vangelo secondo Giovanni (2,1322) narra questo episodio all’inizio della predicazione di Gesù. Ora, la cacciata dei mercanti - gesto molto significativo rimanda a profezie messianiche universalistiche (Is. 56,7) tipiche anche della festa di Sukkot, e più in particolare alla profezia di Zaccaria (14,21), quando, adempiendo il pellegrinaggio di Sukkot con la partecipazione di tutti i popoli pagani, non ci saranno più 'Cananei' nel Tempio, perciò si potrebbe anche ipotizzare che il tempo e il luogo più adatto per tale gesto profetico sia stato non Pasqua, bensì appunto Sukkot, o forse entrambe le feste. Quanto all’incontro notturno di Nicodemo con Gesù, lungamente descritto da Giovanni, esso si conclude ancora una volta con l’affer-mazione di Gesù: «La luce è venuta nel mondo» (Gv. 3,19), una dichiarazione che poco sopra abbiamo già commentato e che allude alle luci festose, caratteristiche sia di Sukkot sia della più recente festa di Hannukah. La conoscenza e l’esperienza di questa festa - come in genere delle feste d’Israele - offrono anche alla fede cristiana spunti per approfondimenti vitali, facendo riscoprire, dopo i secoli dell’antisemitismo, una fraternità di gioiosi sentimenti condivisi.
Sukkot è una delle principali ricorrenze del calendario ebraico: fa riferimento all’episodio biblico in cui gli ebrei rimasero nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto, celebra la permanenza e sopravvivenza nel deserto grazie alla provvidenza del Cielo e la precarietà della vita, rappresentata dalle capanne. Da oggi al 5 febbraio 2023, con “Sotto lo stesso cielo”, mostra a cura del direttore Amedeo Spagnoletto e Sharon Reichel, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara approfondisce la festa e le sue molteplici sfaccettature. L’esposizione è dedicata agli aspetti religiosi, tradizionali e alla stretta connessione tra natura ed espressioni artistiche che questa ricorrenza genera, con un percorso originale che invita i visitatori a partecipare attivamente. Ancora oggi, le famiglie ebraiche costruiscono nei giardini delle sinagoghe o nelle terrazze delle loro case le capanne con tetti coperti da frasche dentro le quali trascorrono tutti e sette i giorni di festa, condividendo i pasti con numerosi ospiti. La ritualità è contrassegnata dal lulav, composto da un ramo di palma, tre rami di mirto, due rami di salice e un cedro, utilizzato durante le preghiere con affascinanti significati simbolici. Il presidente del Meis Dario Disegni sottolinea «l’eccezionalità delle dieci tavole dipinte che decoravano una sukkah della fine del XVIII o XIX secolo, provenienti dall’Abbazia di Praglia». La mostra presenta infatti dieci pannelli lignei decorativi, prodotti in area veneziana di una sukkah (capanna) della fine del XVIII o del XIX secolo, di proprietà dell’Abbazia di Praglia: opere d’arte di valore inestimabile sopravvissute alla loro natura effimera e rimaste per questo inaccessibili al grande pubblico. Sui dieci pannelli spiccano decorazioni con soggetti biblici, accompagnati da scritte in ebraico, le festività ebraiche di Pesach e la costruzione della sukkah (Sukkot). Altri illustrano diversi personaggi come Abramo, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Rachele, Giosuè, Re Davide, Mosè ed Elia. I pannelli che componevano la capanna venivano smontati ogni anno e riassemblati il successivo; per questo, le sukkot dei secoli passati sono andate disperse e perse a causa della loro natura temporanea e portatile. Quella di Praglia è tra le poche preziose testimonianze sopravvissute. Non mancano, rimarca Disegni, «numerosi appuntamenti didattici riservati alle scuole, un momento di profonda condivisione fra le culture e conoscenza reciproca». I pannelli a muro, la grafica e un video con animazione Lego raccontano come costruire una sukkah perfetta; cesti contenenti pezzi dei famosi mattoncini saranno poi a disposizione dei visitatori, invitati a costruire la propria capanna: un’attività rivolta sia ai bambini che agli adulti. Anticipiamo in queste colonne il contributo di Pier Francesco Fumagalli, viceprefetto della Biblioteca Ambrosiana, direttore delle classi di studi sull’Estremo Oriente dell’Accademia Ambrosiana e docente di Lingua e cultura cinese all’Università Cattolica, al catalogo della mostra.