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Smog e blocchi del traffico. Di che euro è la mia auto? Come capire se puoi circolare

Nel prossimo fine settimana è previsto un peggioramento delle condizioni meteo al Nord Italia: le probabili perturbazioni potrebbero dunque ripulire temporaneamente l'aria delle grandi città dove l'elevata presenza dipolveri sottili ha fatto scattare il divieto di circolazione per le auto più inquinanti. In Lombardia sono attualmente in vigore le misure temporanee di primo livello previste dalla delibera della Regione, in aggiunta a quelle permanenti (fino al 31 marzo prossimo). Le misure temporanee di primo livello si applicano nei comuni della Regione Lombardia della Fascia 1 e della Fascia 2 con più di 30mila abitanti presso i quali opera un adeguato servizio di trasporto pubblico locale, e negli altri comuni aderenti. A Milano i divieti alla circolazione riguardano: auto private diesel di categoria inferiore o uguale Euro4, dalle 8.30 alle 18.30; veicoli commerciali diesel di categoria inferiore o uguale ad Euro3, dalle 8.30 alle 12.30. Per tutti i veicoli è in vigore il divieto di sosta col motore acceso.
Anche a Torino, fino a quando il blocco non verrà revocato, le autovetture private ad alimentazione diesel con classe emissiva inferiore e uguale ad Euro4 non potranno circolare in città dalle 8 alle 19, festivi compresi. Il provvedimento si è reso necessario a causa del perdurare dell'elevata presenza di polveri sottili (oltre i quattro giorni consecutivi). Il ritorno alla normalità sarà possibile soltanto con il rientro del valore delle micropolveri presenti nell'aria cittadina al di sotto della soglia di 50 microgrammi al metro cubo, tetto previsto dalle norme europee.
Fin qui la cronaca, purtroppo ricorrente, di questi giorni. Ma al drammatico problema dell'aria sporca, per molti si somma il dubbio di non sapere con esattezza a quale categoria appartenga la propria automobile. La Comunità europea ha emanato una serie di direttive per regolamentare le emissioni di inquinanti dei veicoli. In base a queste direttive, sono state individuate diverse categorie di appartenenza. Per capire a quale di queste categorie appartiene la propria auto, è necessario controllare i riferimenti presenti nella carta di circolazione del veicolo. Conoscendo l'anno di immatricolazione dell'auto, tali riferimenti indicano quale normativa Euro è stata rispettata dalla casa costruttrice. Ecco di seguito la tabella a cui fare riferimento
Un libretto di ciircolazione di nuovo tipo con l'indicazione della riga utile
Un libretto di ciircolazione di nuovo tipo con l'indicazione della riga utile
*Il regolamento del Parlamento europeo e del consiglio del 20 giugno 2007, n. 715/2007/ce fissa le scadenze per l´entrata in vigore dei diversi livelli di emissione. L´art.10 infatti prevede che a partire dal 1° settembre 2009 possano essere omologate solo automobili che rispettano i limiti Euro 5, dove per omologazione s´intende la procedura che il costruttore deve rispettare per far sì che il proprio modello risponda alla normativa tecnica necessaria per essere venduto sul mercato. I nuovi modelli e le versioni nuove di modelli già esistenti dovranno quindi rispettare i limiti di emissione imposti dalla norma Euro 5.
Occorre verificare sempre sulla carta di circolazione (libretto) la direttiva riportata. Le date di obbligatorietà per le nuove immatricolazioni sono solo indicative ma non determinanti. Molti costruttori commercializzano infatti anni prima dell'obbligatorietà di una nuova categoria Euro, ma sono anche ammesse le commercializzazioni delle giacenze dopo la data di obbligatorietà. Quando si decide l'acquisto di un veicolo nuovo, è dunque importante informarsi anche sulla direttiva europea osservata per costruirlo.
Un libretto di circolazione del veicolo di vecchio tipo con l'indicazione della riga utile
Un libretto di circolazione del veicolo di vecchio tipo con l'indicazione della riga utile
Altro problema: grazie alla confusissima formulazione sul libretto della macchina, non è facile trovare l'indicazione utile. Sulla carta di circolazione di vecchio tipo l'indicazione dell'Euro di riferimento si trova in basso nel riquadro 2, su quella di nuovo tipo, in formato A4 per capirci, l'indicazione invece è riportata alla lettera V.9 del riquadro 2 ed è spesso integrata con una ulteriore specifica nel riquadro 3.
da Avvenire

Musica. Niccolò Fabi, vent'anni tra palco e impegno

«Ci sono alcuni neologismi che ogni tanto mi invento e che mi piacciono… Ma prima con un suo collega mi è uscito un “guarizione” al posto di guarigione, che no, non va…». Parole che fanno bene per chi vuol capire e sa ascoltare. Comincia con questo “fuori onda” molto filologico l’incontro con il “sessantottino” (è nato il 16 maggio 1968) Niccolò Fabi alla vigilia del suo concerto “finale”: domenica 26 novembre al Palalottomatica di Roma. Poi, dal giorno dopo, un indefinito e indefinibile anno sabbatico. Il più intimistico e sensibile creatore di testi tra i cantautori italici non lascia la musica, come qualcuno aveva favoleggiato, ma si prende una semplicissima pausa caffè, «magari di quelli lunghi, all’americana» dal palcoscenico. E lo fa per Una somma di piccole cose , titolo del suo album più riuscito (del 2016), «il mio piccolo trionfo personale», per riprendere un po’ fiato dopo vent’anni vissuti di corsa, spettinandosi i pensieri tra folate calde e appassionate di Vento d’estate.Vent’anni esatti, a partire da quell’ironica Capelli «che poi, nella sua versione originale così ironica non doveva essere ma lo è diventata per proporla al Festival di Sanremo (1997)», fino all’ultimo capitolo di questo primo ciclofabiesco: Diventi Inventi (doppio cd più cofanetto con volume in edizione limitata, Universal). Uno stop, un Novo Mesto per poi magari riaccendere tra un po’ un altro tipo di rewind e dire Ecco, sono tornato. Ma da lunedì prossimo, Fabi ha deciso di cantare sottovoce o magari sotto la doccia senza per forza dover condividere con il suo amato pubblico che in tutto questo tempo è andato a scovarlo dentro a un palazzetto dello sport di provincia, in un teatro di Berlino o sotto le luci fioche di una cantina romana, dove tutto è cominciato, «parecchio tempo fa». 

Prima di chiudere questa pagina di storia e di metterci un punto, viene da chiederle: ma era davvero questa la vita e il mestiere che voleva? 
«Credo che non avrei potuto chiedere di meglio. La musica e la creazione delle canzoni sono un contenitore dove dentro ci puoi mettere di tutto. Il mestiere del cantautore è un lavoro simbolicamente significativo. Ho cercato nel tempo di arrivare a una scrittura “pura” a una ricerca di combinazioni tra parole e suoni che per essere creazione viva e che arrivi a chi ascolta necessita di sacrifici, di sforzi vitali. Esserci riuscito, mi dà la possibilità di chiudere un ciclo, di fermarmi a ripensare per magari ripensarmi». 

Nelle sue canzoni si trovano tanti frammenti vitali, microstorie, immagini nitide, quasi degli strappi di vecchie e nuove fotografie, ma non cede mai alla tentazione citazionista o al cantautorato “intellettuale”. 
«È vero. Ma per due motivi: uno stilistico, l’altro è che anche da ascoltatore ho sempre pensato che le cose più auliche non si sposassero poi così bene con la musica. Per questo ho sempre prestato più l’orecchio e attenzione a Battisti piuttosto che a De Andrè. Io amo la musica e non mi piacciono i cantautori letterari ed eccessivamente verbosi, è come se togliessero leggerezza e autenticità a qualcosa che può essere molto grande e profondo anche nel suo essere infinitamente piccolo, come una canzone». 

Pur non rientrando nella categoria dei “cantautori letterari” (nonostante la laurea in Filologia romanza) dalla sua produzione ventennale si percepisce un certo interesse, oltre che per la “filosofia agricola”, anche per la letteratura. 
«Per fortuna ho letto tanto in passato. In questo momento invece se c’è una cosa che mi fa innervosire è l’essere precipitato anch’io nella frenesia e la compulsività dell’era social che ha reso il libro di difficile collocazione nella mia quotidianità. Tra i buoni propositi per l’anno prossimo – oltre a frequentare di più mio figlio, aggiustare una casa in campagna e curare l’orto – c’è anche quello di recuperare la lettura, assieme a tante altre piccole cose che possono solo arricchire la mia sensibilità artistica». 

La “nuova scuola romana”, sempre in evoluzione, si riconosce profondamente nella sensibilità artistica del trio Fabi-Silvestri-Gazzè. Tre anime che si fondono alla perfezione, come dimostrano il tour e il disco Il padrone della festa che avete realizzato. 
«Musicalmente e caratterialmente siamo tre tipi molto diversi l’uno dall’altro. Daniele Silvestri è una persona razionale, un grande architetto che cura meticolosamente la costruzione dello spettacolo, un ideatore. Max Gazzè è un istrione, un giocherellone che tende all’alleggerimento del tutto, un attore. Io sto in mezzo a loro e cerco di metterci la mia vena romantica e quella dose di malinconia che mi porto dentro da sempre e che è parte integrante della mia musica oltre che del mio carattere. Anche se poi con i miei intimi riesco ad essere ironico e persino divertente». 

In questi anni oltre a salire e scendere da un palco ha viaggiato in lungo e in largo per l’Africa... 
«Ho avuto la fortuna di collaborare con Cuamm Medici per l’Africa e di toccare con mano un po’ tutta la realtà subsahariana, Kenya, Uganda, Sud Sudan e Angola. Ho fatto anche un paio di concerti in alcuni locali africani, serate di puro intrattenimento, perciò ho suonato anche cose non mie. Penso di aver dato il mio contributo ma soprattutto ho chiaro in mente chi sono gli italiani e gli occidentali che decidono di realizzarsi rinunciando magari a un posto da primario a casa propria per andare a lavorare in trincea e portare competenza e umanità al servizio delle comunità più bisognose di aiuto». 

«La gioia come il dolore si deve conservare, si deve trasformare...». È un po’ il “manifesto” della onlus “Parole di Lulù” dedicata a sua figlia Olivia (scomparsa all’età di due anni, nel 2010, per una meningite fulminante, ndr). 
«Noi, quel dolore l’abbiamo trasformato in gioia di vivere. Così abbiamo seminato parchi giochi all’interno dei padiglioni degli ospedali italiani e africani, acquistato ambulanze con i soldi dei concerti e delle partite della Nazionale Cantanti. Ultimo progetto? A Torino, con l’Ugi onlus che fornisce alloggi ai genitori dei piccoli pazienti ricoverati all’ospedale infantile Regina Margherita». 

Tutta questa energia, la capacità di difendersi dal dolore è frutto solo della musica o anche di una spiritualità che ha trovato in questi anni? 
«La spiritualità è una dimensione talmente vasta e io ci sguazzo dentro con naturalezza. Il senso degli avvenimenti che vanno oltre la vita ti aiuta a ricondurre ogni evento all’interno di un flusso vitale che prescinde da te stesso. E questo non è legato solo alla tua sfortuna o al tuo dramma personale ma a qualcosa che ti precede e che magari dovrà ancora accadere. L’idea di un Dio per me sta dentro a un pensiero infinito, dinanzi al quale la razionalità è costretta a togliersi il cappello e fare atto di umiltà. Ma quell’idea di infinito, e al tempo stesso la condizione di piccola molecola dell’ingranaggio che è l’uomo, la ritrovo anche nell’abbraccio di una sequoia secolare o di un immenso baobab angolano». 

Una descrizione senza musica, da narratore: in questo tempo di distacco magari proverà anche a scrivere un libro... 
«Ho fatto una fatica da morire per pubblicare un disco che potesse stare tra quelli che mi piacciono e legittimamente ritengo che ci sta, ora immaginare di scrivere un libro da mettere sugli scaffali a fianco a quei capolavori che ho letto e con cui sono cresciuto è un’idea suggestiva, che mi sfiora – si ferma e sorride –. Ma la vedo tostissima. Però chissà, che l’otium non porti consiglio e anche nuove forme di scrittura, per quando ripartirò... ».
da Avvenire

Record. A Viterbo il presepe al coperto più grande del mondo

 A Viterbo il presepe al coperto più grande del mondo
Giunto alla sua seconda edizione, dopo il successo dello scorso anno, riapre i battenti il Caffeina Christmas Village, il villaggio pieno di attrazioni, giochi e divertimenti che si snoda per circa due km quadrati nello splendido centro storico di Viterbo. Dal 24 novembre al 7 gennaio offrirà ai visitatori in un luogo straordinario con un’ambientazione da favola. A presentarlo nella sede della Regione Lazio sono stati il presidente della Fondazione Caffeina cultura, Andrea Baffo, assieme al direttore artistico della Fondazione, Filippo Rossi, e il presidente della Regione Nicola Zingaretti. Tra le attrazioni del Christmas Village il presepe di 850 mq allestito sui due piani degli spettacolari sotterranei del Palazzo Papale è stato candidato al Guinness World Records come presepe indoor più grande del mondo. Si tratta di un villaggio medievale perfettamente riprodotto in ogni particolare, con 83 statue di figure umane a grandezza naturale e 180 statue di animali a grandezza naturale, torri alte 8 metri, case, palazzi, vere piante, ortaggi, fiori, spezie e formaggi. Uno scenario davvero suggestivo, sul quale gli organizzatori mantengono il riserbo per garantire l'effetto sorpresa all'apertura dopodomani.

Oltre al Presepe, saranno moltissime le attrazioni che si potranno visitare all’interno del Christmas Village. Il quartier generale di Babbo Natale occuperà un intero borgo: una volta entrati un cortile condurrà i visitatori all’interno della Biblioteca dei Desideri, dove i bambini potranno consultare e leggere moltissimi testi di narrativa, e nella Taverna del Gioco, un ambiente caldo e accogliente con speciali giochi da tavolo con cui i bambini potranno divertirsi mentre aspettano di entrare nella Casa di Babbo Natale.

Nell’area del Parco del Paradosso, uno spazio verde nel cuore del centro storico, si svilupperà il villaggio degli Elfi con statue meccanizzate di circa un metro di altezza provenienti dalla Francia. Ci saranno inoltre anche circa 150 elfi in carne ed ossa che lavoreranno per tutto il Christmas Village. Il Teatro Incantato, nel nuovissimo Teatro Caffeina appena ristrutturato, offrirà cinque spettacoli teatrali per bambini al giorno. Eventi speciali, Baby Pit Stop riscaldati dedicati alle mamme che avranno bisogno di cambiare e allattare il proprio bambino, servizio navetta dal parcheggio che agevolerà l’accesso alla città di Viterbo ed al Village.
tratto da Avvenire

A Troina mostra permanente Robert Capa

TROINA (ENNA) - A Troina (Enna), sorgerà un museo dedicato interamente a Robert Capa nel quale saranno esposte permanentemente 62 stampe fotografiche, quasi tutte inedite, del fotoreporter di guerra scattate nell'agosto del 1943 in Sicilia, e in particolare nella stesso paese, durante la Seconda Guerra Mondiale. L'idea, partita agli inizi del 2015 dalla proposta di 'Soul Design' di Lucilla Caniglia e Alessandro Castagna, ha riscontrato l'interesse ed il sostegno del sindaco Fabio Venezia, della Fondazione Famiglia Pintaura e dello storico Salvatore Barbirotto. L'impresa, che ha richiesto quasi tre anni di corrispondenza con l'International Center of Photography di New York (proprietario dei negativi e titolare di tutti i diritti) una selezione delle foto dai negativi originali di Capa direttamente a New York, si è concretizzata nell'acquisizione da parte della Fondazione Famiglia Pintaura di 62 fotografie, stampate direttamente dai negativi, che saranno esposte nel Palazzo Pretura.
   
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La mostra. L'Opera dei Pupi con Mimmo Cuticchio: «Sono i mille volti dell'umanità»

La tradizione non è mai uguale a se stessa. Cambia col fluire delle generazioni. Si rinnova eppure resta comunque tradizione. Mimmo Cuticchio è il massimo esponente della tradizione dei pupi siciliani. Lui, faccione incorniciato in barba e capelli da burbero, evidenziato da uno sguardo profondo e limpido, che mostra una fede solida e un cuore di bambino, tiene a sottolineare questo aspetto, che poi fornisce il titolo alla mostra "L’Opera dei Pupi. Una tradizione in viaggio", allestita a Roma nel Palazzo del Quirinale, fino al 3 dicembre. «La tradizione – dice – è come l’acqua di un fiume. Anche se scorre sempre sullo stesso letto non è mai la stessa».
Mimmo Cuticchio è un “oprante” (regista? imprenditore teatrale?) erede di opranti alla quinta generazione.Quando nel 1973, invece di abbandonare le scene come facevano tutti i figli d’arte suoi colleghi, ha scelto di rilanciare l’Opera, si è aperta per lui un’avventura del tutto sconosciuta. Una realtà nuova «che ha il cuore e motore» nel suo teatro di via Bara dell’Olivella a Palermo, ma che è stata capace di riproporsi non più soltanto nelle contrade siciliane, come facevano gli opranti girovaghi di un tempo, ma nei teatri di tutto il mondo, interpretando il vecchio e il nuovo e anche miscelando, in nuove idee da palcoscenico, attori uomini e attori pupi.
Il puparo Mimmo Cuticchio al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Il puparo Mimmo Cuticchio al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Grazie a lui, l’Opera che era morta, perché non c’era più il contesto culturale al quale si rivolgeva e per il quale fungeva da cinema, teatro, ritrovo e cantastorie, non è semplicemente rinata, si è trasformata per rispondere alle esigenze del nostro tempo. Nel “cartello” tipico di un oprante fra ’800 e secondo dopoguerra del ’900 l’intera epopea di Orlando e dei suoi paladini si compiva in 300 “serate”. Ciascuna, col suo titolo, la sua locandina dipinta, la sua storia con decine di personaggi (Rinaldo riceve le armi, Morte di Astolfo, Orlando suona il corno olifante, Tradimento di Gano, Morte di Angelica...) e i suoi striscioni sottopalco: in mostra ce n’è uno, opera di Giovanni Salerno, che raffigura la Battaglia dei 20 contro 20 e ricorda da vicino il bassorilievo del famoso Sarcofago Ludovisi di Palazzo Altemps. Ogni “serata” durava due ore. I pupi erano (sono) mossi da almeno sei “manianti” mentre l’oprante dava voce a tutti i personaggi.
Insomma per qualunque paese o città dove veniva montato, il teatrino dell’Opera era molto più della televisione. Oggi tutto questo sarebbe impossibile. Eppure nel teatro di Cuticchio continua a vivere come il nuovo che sembra l’antico. Ha riadattato i canovacci. Ha rispolverato le storie dei pupi che raccontavano la “Sicilia del popolo” all’epoca dei Borboni, con “maschere” come quelle di Nofrio e di Virticchio che ricordano da vicino la Commedia dell’arte. Ha riproposto un classico puparo come Vita amori e morte di Genoveffa di Brabante e ne ha scritti di altri come la Storia di San Francesco, con personaggi attuali che si aggiungono di anno in anno e che sono ormai sessantacinque.
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Si comprende allora come il viaggio della tradizione dell’Opera venga inteso da Mimmo Cuticchio nel senso autentico del rinnovamento che è proprio di ogni vita compiuta. Lui stesso lo assimila al vivere e al morire dei suoi pupi. «È l’esplorare nuovi percorsi teatrali; inoltrarsi nei sentieri della propria coscienza, ma anche avventurarsi in nuove storie con nuovi personaggi e nuovi canovacci». Un po’ come Pirandello, che assimilava gli uomini ai pupi, mossi da fili invisibili, dice: «I pupi, come noi, sono dei pellegrini nella vita», con quel di più che viene dall’affrontare la strada con la forza dell’ideale, della moralità cavalleresca, della fede in un aldilà che apre a nuovi scenari e a nuovi racconti.
Ma soprattutto, il viaggio dell’Opera, e qui Cuticchio si apre in un gran sorriso, lontanissimo dalla visione pirandelliana della vita, è la capacità «che dovrebbe essere di ogni persona di guardare indietro per riscoprire e rivivere il bambino che è in noi». Non come scontato o abusato ritorno a una immaturità adulta, ma come intima riscoperta dello stupore per la vita e per quelle piccole ingenuità che spalancano il cuore alle verità più profonde e... “vere”.
Se parli con questo oprante dalla vitalità inesauribile e hai la fortuna di vedere a tu per tu come fa muovere i suoi pupi (pesano dai 7 ai 15 chili), come riesce a dar loro voce nelle infinite sfumature dei tanti personaggi, come produce i rumori di scena con strumenti antichi (la macchina del vento, la macchina della pioggia, il legno che fa il rumore dei cavalli, il corno olifante del paladino Orlando, la pianola a cilindro con i registri di dieci o dodici musiche di scena, ecc.); se lo vedi fare tutto questo e osservi come si diverte, capisci che l’Opera dei Pupi è filosofia, un’artistica e realistica filosofia di vita.
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
Pupi siciliani in mostra al Palazzo del Quirinale (Francesco Ammendola)
I pupi sono l’arte di mettere in scena i mille volti dell’umanità con libertà di critica, ma totale rispetto di ogni singolo ruolo, anche nelle sfumature caratteriali. Orlando è Orlando, Rinaldo è Rinaldo, Angelica è Angelica. Anche Gano di Magonza, il traditore, resta Gano di Magonza. Se c’è giudizio morale è solo sulle loro opere, sull’onestà e sulla capacità di portare aiuto ai maltrattati. Perché l’Opera è scuola di vita e al coraggioso che si è speso per gli altri, spetta il premio. Se non è il bacio della dama è il premio eterno: lo portano gli angeli, che dall’alto scendono accanto al corpo disteso del pupo eroe, srotolando la colorata tela della sua anima per accompagnarla in cielo in un sognante e sicuro effetto scenico.
Una tradizione rinnovata che Cuticchio conserva gelosamente. Ogni nuovo pupo viene scolpito e abbigliato a mano con le tecniche di sempre, che la mostra al Quirinale illustra alla perfezione: per fare la corazza di un paladino occorre tagliare almeno 44 pezzi di lamiera e saldarli uno a uno e poi aggiungere le decorazioni. «Ma non perché la tradizione è un bel folklore a uso e consumo dei turisti, ma perché la tradizione che vive e si rinnova è la migliore interprete di un popolo e della sua storia».
Ed è curioso constatare che negli abiti e nelle armature dei pupi con i quali l’Opera racconta la Chanson de gestesi ripete più volte il fregio della conchiglia del pellegrino. Non è solo questione di fede cristiana sulla strada che da Roncisvalle porta a Compostela. Orlando, come il Moro e le decine di altri personaggi con le loro storie, conclude Cuticchio, «sono l’emblema dell’uomo alla ricerca della sua verità, dell’uomo che sa di avere un ruolo nella vita e lo interpreta fino in fondo, senza infingimenti. Per certi versi non importa quale sia la meta, ciò che conta è che ci sia e sia consapevole». E, per tornare a Pirandello, non è cosa così comune.
da Avvenire

La prova. Nuova faccia, contenuti da BMW: la X3 è sempre una garanzia

La BMW X3 giunge alla terza generazione con l’obiettivo di migliorare ulteriormente le doti che l’hanno resa un prodotto di grande successo, attraverso nuove forme e materiali e con l’ultima parola in fatto di tecnologia. La vettura è stata presentata alla stampa italiana presso il Dynamo Camp di San Marcello Pistoiese, una vera e propria “colonia” di terapia ricreativa dove vengono ospitati, per un periodo di vacanza, bambini e ragazzi da 6 a 17 anni con patologie gravi e croniche. Nata nel 2003 dall’idea di Vincenzo Manes, l’associazione riconosce nella gratuità e nell’inclusività i suoi principi fondamentali. Tutti i 1400 bambini che soggiornano gratuitamente nella struttura in diversi periodi dell’anno, sono in grado di partecipare alla totalità delle attività organizzate da più di mille volontari. Dei 4,5 milioni di euro necessari per coprire i costi di partecipazione annuali, la metà proviene da soggetti privati, il restante 50% da aziende. Una di queste è proprio BMW, che sostiene Dynamo Camp all’interno del suo progetto filantropico SpecialMente.
L’unicità del luogo ci ha permesso di apprezzare le doti di una vettura che ha nel dinamismo la sua caratteristica principale. Grazie ai 4,70 metri di lunghezza, agli 1,89 metri di larghezza e al passo cresciuto di 5 centimetri, la nuova X3 assume linee slanciate a tutto vantaggio di estetica e spazio a bordo. Il frontale è stato ridisegnato e il posteriore strizza l’occhio ai più sportivi concedendo spoiler e doppio terminale di scarico. I quattro allestimenti disponibili (Business Advantage, X-Line, Luxury o M-Sport), permettono di personalizzare la SAV bavarese a seconda dei propri gusti. Belli gli interni, aggiornati seguendo il family feeling delle ultime vetture del gruppo, colpiscono in particolar modo gli schermi ad alta risoluzione dell’infotainment da 10.25 pollici e del cruscotto digitale (entrambi optional).
Su strada si guida come una vera BMW anche grazie all’ausilio delle sospensioni a controllo elettronico VDC. Il3.0d, sei cilindri in linea a gasolio proposto nelle due varianti da 249 e 265 Cv, gira in totale assenza di vibrazioni, assicurando potenza e grande confort di marcia. Nessuna paura se si opta per il 2.0d, i suoi 190 Cv riescono a portare a spasso agevolmente tutti i 1800 kg di questo Suv. A completare la gamma dei motori di lancio c’è laM40i da 360 Cv.
Sfruttando i servizi BMW Connected la vettura è collegata al mondo digitale dell’utente. Attraverso l’invio di un link è addirittura possibile far conoscere a chi si desidera la propria posizione e i minuti di ritardo accumulati. Per il capitolo sicurezza l’X3 può essere equipaggiata con il Driving Assistance Plus, un pacchetto che contiene l’assistente al mantenimento di corsia, il sistema anti collisione, l’assistente agli incroci e l’ausilio nelle manovre di evasione dell’ostacolo, con intervento attivo sullo sterzo.
Per portarsi in garage una 2.0d XDrive ci vogliono 49.900 euro, 2.950 euro in più del modello precedente ma sono aumentati anche gli equipaggiamenti di serie, comprensivi di cambio automatico, cerchi in lega da 18 pollici, sensori di parcheggio anteriori e posteriori, barre sul tetto in alluminio, pacchetto luci e Active guard.
da Avvenire