Sardegna, la spiaggia di Tuerredda e il coraggio di un pastore

Nel film di Milani "La vita va così", in sala dal 23 ottobre, la storia di Ovidio, che rifiutò le offerte milionarie di un gruppo immobiliare deciso a costruire un resort “eco-sostenibile”
C’è un mare dai colori da sogno: turchese, smeraldo e bianco. Un mare che in autunno torna a essere se stesso. Niente più ombrelloni, restano solo i pastori, le rocce, la sabbia bianca e il maestrale che soffia sempre più forte. Un’altra luce, il mare d’autunno che racconta la forza di chi resta, quello di Tuerredda, una delle spiagge più iconiche del Sud Sardegna.  In estate è una delle poche spiagge a numero chiuso dell’isola: per tutelare l’ecosistema l’accesso è limitato a 1.100 persone al giorno. Ma chi arriva qui fuori stagione vive un privilegio raro, fatto di silenzio e meraviglia: la spiaggia è tutta per sé, e il mare torna a raccontare la sua verità più antica.
È qui che Riccardo Milani ha ambientato La vita va così (il film uscito oggi per Medusa, che ha aperto la Festa del Cinema di Roma 2025, con Virginia Raffaele, Aldo Baglio, Diego Abatantuono e Geppi Cucciari): la storia di Ovidio Marras, il pastore di Teulada che difende il suo “furriadroxiu”- l’antico insediamento rurale - dal cemento, diventando suo malgrado, un’icona dell’ambientalismo sardo. Un uomo ostinato, che rifiuta le offerte milionarie di un gruppo immobiliare del Nord deciso a costruire un resort “eco-sostenibile”. La sua casa “non ha prezzo”.
Una scena del film di Riccardo Milano "La vita va così" con Virginia Raffaele e Ignazio Loi @ Claudio Iannone
Una scena del film di Riccardo Milano "La vita va così" con Virginia Raffaele e Ignazio Loi @ Claudio Iannone
Milani ci mostra una Sardegna lontana dall’immaginario turistico, diversa da quella patinata dei dépliant e della cronaca mondana. Ci restituisce un’isola autentica, che chiede di essere vissuta con rispetto. Un invito a riflettere su un altro modello di turismo, non quello che consuma, ma quello che ascolta.
La storia reale è ancora più dura. Nel 2009, nella stessa area di Tuerredda, la società Sitas, sostenuta da importanti gruppi finanziari, edificò un enorme complesso turistico: 140 mila metri cubi di cemento nel cuore della macchia mediterranea. A opporsi fu proprio quel pastore. Davide contro Golia. Quando una strada privata venne deviata per favorire il cantiere, intraprese una battaglia legale durata anni. Vinse nel 2016, con il blocco definitivo dei lavori. Ma pagò un prezzo molto alto: l’isolamento e l’ostilità del suo paese, dove nacque perfino un comitato “Pro Sitas” in nome dell’agognato sviluppo. La comunità si divise tra il sogno del lavoro e la difesa dell’identità. Due visioni che sembrano inconciliabili.
I protagonisti del film di Riccardo Milano "La vita va così": Aldo Baglio, Virginia Raffaele, Ignazio Loi, Diego Abatantuono, Geppi Cucciari @ Claudio Iannone
I protagonisti del film di Riccardo Milano "La vita va così": Aldo Baglio, Virginia Raffaele, Ignazio Loi, Diego Abatantuono, Geppi Cucciari @ Claudio Iannone
«Dividere una comunità è una strategia vincente per esercitare il potere - afferma il regista Riccardo Milani -. Credo che si possa e si debba creare sviluppo rispettando il territorio, perché quelle due visioni, il sogno del lavoro e la difesa dell’identità, dovrebbero sempre trovare un equilibrio. Depredare e deturpare l’ambiente ne diminuisce sempre il valore. Ovidio, con la sua semplicità e il suo rigore morale, ci dà una lezione di etica e di dignità: non tutto si può comprare, perché la vita delle persone non ha prezzo. Oggi più che mai, in un mondo globalizzato dove tutto sembra piegarsi al profitto, è importante parlare di radici, valori e senso di appartenenza. L’identità dei luoghi va custodita: bisogna avere il coraggio di dire no».
Alle spalle di quella mezzaluna di sabbia dorata e acqua cristallina, incastonata tra due promontori, il tempo si è fermato: villette sbrecciate, infissi corrosi dalla salsedine, fondamenta divorate dall’umidità. È il villaggio fantasma di Malfatano, simbolo di un modello di “sviluppo” turistico cieco, che ha tradito il territorio e la sua gente.  «Dietro quell’intervento - ricorda Stefano Deliperi del Gruppo di Intervento Giuridico - non c’era alcuna idea di sviluppo sostenibile, ma l’ennesimo tentativo di trasformare un paradiso naturale in un prodotto immobiliare di pessimo gusto. Ci siamo opposti fin dall’inizio per evitare che un simile scempio cancellasse uno dei tratti più preziosi della costa sarda».
Il resort fantasma di Malfatano, alle spalle della mezza luna di sabbia dorata e acqua cristallina / Grig - Gruppo d'intervento giuridico
Il resort fantasma di Malfatano, alle spalle della mezza luna di sabbia dorata e acqua cristallina / Grig - Gruppo d'intervento giuridico
Ovidio Marras è morto l’anno scorso, a 86 anni, nella sua casa sul mare. Poco distante restano le carcasse dei residence mai terminati e finiti all’asta, in attesa di una rinascita che non passi dal cemento, ma dalla memoria, da un turismo più consapevole, che cerca l’altro e riconosce nell’incontro la sua vera ricchezza. Il futuro di Tuerredda ricomincia da qui: dal coraggio di un uomo che amava quel mare “perché è di tutti”. “Aitci anda sa vida”… se ci rassegniamo. Ma non dovrebbe andare così.
Avvenire
 

Turismo. La cena delle anime nel borgo fantasma. Così rivive Rebeccu


 

Nella notte tra Ognissanti e il 2 novembre, in Sardegna, le case si preparano ad accogliere i cari defunti con una tavola apparecchiata. È “sa chena pro sos mortos”. La cena per i nostri morti. Si tirano fuori dai cassetti le tovaglie ricamate, si preparano i piatti della tradizione e delle feste, si fa il pane e i dolci tipici di questi giorni, come i papassini, biscotti di frolla con uva passa e noci, decorati con una glassa. Una tavola ricca, con i servizi delle occasioni, ma senza posate. Tutto questo in attesa che le anime ritornino nel luogo a loro più caro. Una tradizione antica, ancestrale, come tutto ciò che in Sardegna non si fa scalfire dal tempo e dalle mode, preservando con caparbietà la propria identità e cultura. «Nei freddi autunni davanti al focolare, gli anziani raccontavano ai bambini che la morte non segnava la fine della vita, ma l’inizio di un viaggio nel quale le anime dei cari continuavano a esistere. Quando le giornate si accorciavano e la terra era pronta per la semina, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava, permetteva alle anime di tornare nelle loro case. Se tutto ciò accadeva durante sa chena pro sos mortos fosse reale o solo una credenza popolare, Irede Dessì ancora non lo sapeva». Iride è la protagonista del sorprendente esordio letterario di Maria Laura Berlinguer, intitolato proprio La cena delle anime (HarperCollins), attorno a cui ruotano la memoria e le leggende della sua famiglia. Pagine che si potranno vivere e in qualche modo “gustare”, con i sapori che vengono rievocati e descritti, in un posto piccolo e tutto da scoprire nel cuore della Sardegna: il borgo fantasma di Rebeccu, frazione rurale di Bonorva (Sassari), che domina la Piana di Santa Lucia. La leggenda vuole che la principessa Donoria, figlia del Re Beccu, quando venne cacciata dal paese e condannata all’esilio perché ritenuta una strega, lanciò una maledizione: ”Rebeccu, Rebecchei da ‘e trinta domos non movei” (“Che Rebeccu non superi mai le trenta abitazioni”). Così, dopo la partenza di Donoria seguì l’inizio del declino e dello spopolamento del borgo.
La tavola dei morti, con i dolci tipici sardi preparati durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno a Rebeccu. Le lanterne per le strade creano un'atmosfera magica e misteriosa © Pro sas animas - 369gradi
La tavola dei morti, con i dolci tipici sardi preparati durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno a Rebeccu. Le lanterne per le strade creano un'atmosfera magica e misteriosa © Pro sas animas - 369gradi
Dal 30 ottobre all'1 novembre, Rebeccu con le sue casine basse e i tetti che sembrano merletti, si rianima con “Pro sos animas”, il capitolo autunnale del festival MusaMadre che fra la primavera e l’estate coinvolge scrittori, artisti, attori in un dialogo con le comunità del territorio animando il borgo disabitato (il programma completo su www.rebeccuarte.org). «Rebeccu diventa un teatro diffuso dove la comunità si ritrova attorno alle tradizioni legate ai morti, in una chiave artistica, ma sempre autentica. SI crea un'atmosfera di magia e mistero: le installazioni di Tonino Sella per le strade, le camminate notturne a lume di lanterna, letture e riti popolari, laboratori di cucina, di arte e teatro, degustazioni e momenti per i più piccoli si intrecciano per far riaffiorare la memoria degli antenati e accoglierla nello spazio condiviso della vita quotidiana», dice Valeria Orani, direttrice artistica di Musa Madre, curatrice teatrale e progettista di eventi, una vita fra l’Italia e l’America, con collaborazioni importanti, da Marina Abramović ad Antonio Marras. Alcuni anni fa è stata chiamata a pensare a un intervento di valorizzazione, di “riappropriazione” di questo borgo. Una “chiamata” che va al cuore della propria identità e dell’appartenenza sarda, come un ritorno “mistico”. Così insieme al team di artisti, comunicatori e animatori territoriali di 369gradi, è nato un progetto di rigenerazione e di accoglienza, con sette casette ristrutturate e l’ostello, per residenze d'artista, per offrire la possibilità di una sosta ai pellegrini di Santu Jacu, a famiglie che vogliono scoprire a passo lento il bellissimo territorio circostante e a chi vuole vivere un’esperienza decisamente curiosa in un borgo dove non dorme nessuno, ma dove trovare grande ispirazione e semi di vita.
Un meraviglioso allestimento preparato durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno fra le stradine di Rebeccu © Pro sas animas - 369gradi
Un meraviglioso allestimento preparato durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno fra le stradine di Rebeccu © Pro sas animas - 369gradi
Il borgo si risveglia dunque “Pro sas animas”, in questi giorni, tra storie e sapori e mani che tramandano tradizioni. La messa nella Chiesa di Santa Giulia, e poi l’inizio della “festa”. Banchetti, botteghe, laboratori per grandi e piccini, per la preparazione dei papassini (o pabassinos, come li chiamano qui) e la panificazione dei giorni dei morti. E ancora, itinerari enogastronomici in forma teatrale e spettacoli con degustazione di Gianluca Medas in “S’Urtima Xena”. La presentazione di libri, come La cena delle anime appunto di Berlinguer (il 30 alle 13) o la fiaba alchemica su Hina di Avalon di Laura Abozzi (La città degli Dèi), alle 17.30. Il 30 sera la passeggiata a lume di lanterna da piazza Santa Giulia alla Fonte Sacra Su Lumarzu, con le letture e i racconti della letteratura sarda contemporanea a cura di Michela Atzeni. Giorno Uno, tra le casette di Rebeccu, si prepara la pasta per “sa chena pro sos mortos”, le porte delle case sono aperte e fuori l'aria profuma di fuoco e castagne. La gente si muove per le stradine di pietra. Le anime aleggiano in cerca della loro casa. I bambini qui non non vanno in giro a chiedere “Dolcetto o scherzetto?”, come ad Halloween: fra le viuzze con le lanterne e le installazioni misteriose, bussano alle porte di queste casette dove le nonne preparano la tavola e, aspettando sulla soglia, chiedono dei dolci, con la formula: “a mi faghides bene pro sas animas de sos mortos”, per portare bene all’anima dei morti. Nessuno scherzetto, ma molti dolcetti fatti a casa. In un rito affascinante e antico.
La chiusura, l’1 sera, con “Attitu”, il lamento funebre della tradizione sarda: «Un rito laico, senza bandiere né colori, dove chiunque è invitato a passare e lasciare un ricordo, un pensiero, un segno, un fiore – conclude Orani - . Un’azione umanista e collettiva. Una veglia per le vittime innocenti della violenza di cui l’essere umano è capace. La tradizione che continua, nel mondo che viviamo». Pro sas animas. Sempre e ovunque. Da Rebeccu. Un borgo fantasma di una Sardegna ancestrale dove c'è tanta vita.
Avvenire