Inseguendo il cinema in treno
di Isabella Farinelli
L'enormità del gesto si configura nella disarmante battuta del taxista: "Non mi dirà che ha fatto il viaggio in treno da Perugia a Bologna per vedere un film". Ebbene sì, e non senza associare, al gusto della bravata, un vago senso di colpa. Magari per non aver raccolto sufficienti informazioni sul campo, dopo aver setacciato la rete, riguardo alla possibilità di gustare la commedia A proposito di Steve - niente di che, dichiarano le critiche mainstream, ma mettiamo che uno volesse vederla proprio per quello. Per farsi due risate senza impegno. Che poi a ben guardare c'era anche l'impegno, non solo da parte di un'acrobatica Sandra Bullock nei panni - e nella maschera - di ossessiva autrice di cruciverba e croci per malcapitati blind dates, ma anche per la parodia di certo voyeurismo mediatico, incarnato da una bislacca troupe televisiva - niente male Thomas Haden Church e soprattutto Ken Jeong, mentre Bradley Cooper doveva essere insignificante da copione.
Ode al disimpegno: esula dal tono estemporaneo, sia dell'avventura sia della narrazione, la vexata quaestio del perché le pellicole arrivino o no nelle sale italiane, intendendo per italiane anche quelle extra Roma e Milano, e la programmazione ordinaria a prescindere dai provvidenziali ripescaggi delle rassegne a tema o d'intrattenimento. I motivi di botteghino, più volte evocati, risultano evidenti allo spettatore che, per cautelarsi dal popcorn passivo (il rumoroso sgranocchiare altrui) predilige pomeriggi feriali, ma alla lunga non sono buon presagio proprio per chi si ostina a inseguire la sala e il grande schermo anziché rinchiudersi nel dvd. Qualunque sia il rapporto causa-effetto, è attuale e noto il paradosso che riguarda la stessa Bullock: a differenza del contemporaneo All about Steve, con The Blind Side ha vinto il consenso unanime della critica, ma è stata negata al pubblico nostrano a eccezione del dvd. Per essere più precisi, The Blind Side è stato proiettato, lunedì 26 luglio, al Fiuggi Family Festival.
Alla luce di indagini informali ma estese, il caso di Perugia appare emblematico di molte realtà demograficamente confrontabili. Nel capoluogo umbro, la migrazione cinematografica, avente come tappa le pur comode multisale periferiche o la vicina Foligno, è iniziata nel gennaio scorso con la chiusura - auspicabilmente temporanea - dell'ultimo sopravvissuto in pieno centro, lo storico Turreno, della cui inaugurazione come teatro aveva dato notizia nel giugno 1891 perfino "Il Paese" di Pecci (con la gratitudine "di tanti lavoratori e operai che per quasi due anni sono stati provveduti di lavoro"). Vero che soluzioni di buon livello sono ancora offerte in area urbana da piccole sale (Zenith e Cinematografo comunale Sant'Angelo). Il recupero estivo è in parte garantito da manifestazioni sparse nel territorio: da Gubbio a Montefalco, anche cortometraggi; a Perugia, il discreto assortimento del cinema serale all'aperto in ArenAria e ai Giardini del Frontone. "Penombre", rassegna di muto e documentari in siti non cinematografici, è stata gemmazione invernale di "Isole", cartellone estivo di spettacoli musicali in approdi remoti della provincia, come Sant'Emiliano in Congiuntoli, sotto il cielo di Fonte Avellana squassato da uno di quei temporali che Dante seppe descrivere così bene parlando di san Pier Damiani. Per quanto non previsto dai cartelloni di cui sopra, l'estate si fa complice di sconfinamenti a cerchi concentrici, dai cinema di Montevarchi e Poggibonsi con il contesto aretino e senese a partire da Monteoliveto, sino alla multisala di Savignano con le suggestioni pascoliane e, volendo tralasciare la zona balneare, l'immediato entroterra ricco di atmosfere naturali degne di watching.
Clemente Alessandrino dava per risaputo che le preghiere siano più potenti se formulate in lingua "barbara", ma è vezzo umano ricolorare situazioni e luoghi attraverso nomi esotici, riaprendo gli occhi su orizzonti prossimi con lo sguardo altrui. Lo spettatore viaggiante diventa coprotagonista di un road movie a mille incroci (All about Steve a modo suo lo è, partecipando di quella commedia americana che rimescola tutto nel gioco del possibile, non necessariamente a prezzo di compromessi). L'effetto è ampliato se si viaggia in treno, tenendo sulle ginocchia un libro e scegliendo un posto accanto al corridoio piuttosto che al finestrino, con gli occhi bene aperti sullo scambio tra panorami dentro e fuori. "Dovunque io sia, dovunque io vada, vi è sempre un andare nel mio stare, e viceversa": dice più o meno così un esule oggi molto amato, Kahlil Gibran; per lui, come per molti migranti del nostro tempo, il viaggio non è stato un gioco. È per reazione contro l'efficientismo vacanziero che Arnold Spitzweg, la recente creatura di Philippe Delerm, intitola "antiazione" il proprio blog (La parte migliore del giorno, traduzione di Elena Riva, Milano, Frassinelli, 2010, pagine 156, euro 16), salvo poi divenire piacevolmente compartecipe della famiglia umana il cui brusio gli arriva nel cortile parigino. La letteratura slow travel ormai è sterminata; due soli emblemi: Sulle ali di un Ape, da Lisbona a Pechino in 212 giorni (di Paolo Brovelli, Milano, Corbaccio, 2007, pagine 497, euro 19,60 - l'Ape è naturalmente il motocarro) e In viaggio con l'asino (di Andrea Bocconi e Claudio Visentin, Parma, Guanda, 2009, pagine 173, euro 13 - con esplicito richiamo alla Modestine di Stevenson). Nel manuale Slow Travel (Milano, Ponte alle Grazie, 2008, pagine 138, euro 11) Gaia De Pascale ne dà ampio conto, mettendo in guardia gli incauti dal rischio di un fast uguale e contrario. Anche Momo, l'indomita bambina di Michael Ende, con l'inseparabile tartaruga Cassiopea doveva difendersi dai Signori Grigi, ghiotti dell'altrui tempo assurdamente risparmiato.
Al ritorno, dai finestrini dell'intercity scorrono senza sottotitoli le immagini del tramonto sull'Appennino: "orefiore" di sogni, ricordi, progetti e, nello stesso scompartimento, un rumoroso gruppo di giovani statunitensi. Su queste pendici, inghiottite dolcemente dalla notte e più voracemente dalle gallerie, si snodarono in secoli diversi la ricerca francescana e quella più irrequieta ma ugualmente intensa di Dino Campana, che chiamò viaggio anche l'amore. Oggi l'aggettivo slow, traslato dagli spostamenti alle più disparate attività umane, e la predilezione per itinerari mistici e forme fantasiose di "turismo religioso" sembrano sgorgare, con variazioni, dalla medesima ricerca, centripeta piuttosto che centrifuga, personale quanto assetata dell'alto e dell'altro.
(L'Osservatore Romano - 1 agosto 2010)
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