Mentre siamo in attesa di leggere lo stato di salute dell'Italia, secondo l'annuale rapporto del Censis, succede di registrare contraddizioni e paradossi. Come il numero 1.048, ovvero i titoli di libri di cucina usciti in un anno: il doppio rispetto a 10 anni fa. A spingere questa mole di carta sono le trasmissioni televisive, gli chef diventati star e quant'altro. Il paradosso, tuttavia, è che in Italia si registra un altissimo numero di persone che hanno accesso insufficiente al cibo: ben sei milioni di persone, di cui un milione e mezzo di minori.
Ora, tutto questo – potrebbe ribattere l'alzaspalle di turno – fa parte delle contraddizioni di qualsiasi Paese, anzi, altrove è anche peggio. Ma di certo non vogliamo pensare che sia la politica del tanto peggio (altrove) tanto meglio (da noi) che abbia ispirato il ministero dell'Agricoltura a dire, almeno in un primo momento, che adesso ci sono altre priorità, per cui i rappresentanti del Banco Alimentare nemmeno sono stati ricevuti.
L'ho letto su queste pagine e qualcosa non mi è tornato: come può essere accantonato il bisogno di sei milioni di persone che devono nutrirsi come tutti, tutti i giorni? (ma ieri, per fortuna, è stato annunciato un cambio di rotta). A questo punto si intuisce che alcune misure tanto sbandierate non scalfiscono una situazione di fondo, che invece richiede un progetto. Ma chi ci sta pensando?
L'altra sera ero a cena con quattro imprenditori e, chiacchierando, ho scoperto che la domenica mattina si erano ritrovati alla mensa dei frati francescani per far da mangiare ai poveri. E parlavano di cosa avevano cucinato e del perché era importante che tutto fosse buono, presentato bene, su una tavola apparecchiata. Hanno acquistato tutto loro, lo hanno cucinato, dopo aver lavato per terra e creato un ambiente accogliente. Ho chiesto loro, stupito: che cosa vi ha portato lì? «I nostri figli – mi hanno risposto –, perché abbiamo scoperto che facevano quel gesto; quando s'è posto il problema di coprire dei turni, abbiamo chiamato a raccolta altri».
Ed eccoli, questi imprenditori, anche di successo, che vivono quello che si chiama laicamente "principio di restituzione" e cristianamente risposta ai segni che si colgono nel vivere. Ascoltandoli mi sono commosso, perché ho visto il legame fra gli appassionati di cucina e il bisogno. Se i primi non hanno nell'orizzonte di una passione, anche il bisogno, il gusto (che è per tutti, perché tutti lo percepiscono) diventa un'ipocrisia.
Fare invece da mangiare per l'altro, e bene, significa annunciare qualcosa che esiste e che parla. Piccoli gesti, come quello che tutti potremo fare il 29 novembre durante la Colletta alimentare. E dobbiamo farlo oggi più che mai, nel caso qualcuno che ne ha responsabilità non facesse il suo piccolo gesto, che gli compete, di ascoltare i volontari per costruire un progetto. È un'urgenza.
avvenire.it
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