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Il turismo religioso al Sacro Monte Calvario di Domodossola: sfide e opportunità

Tra visitatori, pellegrini e appassionati di arte e cultura, un settore ancora in gran parte da esplorare e su cui la Casa di Ospitalità Sacro Monte Calvario di Domodossola  può scommettere per la sua crescita e il suo sviluppo.

Occorre comprendere la nuova esigenza di spiritualità andando oltre le mete devozionali della tradizione. L'offerta può essere ampliata e promossa per favorire nuove opportunità. 

I giovani sono al centro di questo processo. E al Calvario esiste un nutrito gruppo di giovani volontari che potrebbe essere un prezioso potenziale di rinnovamento. 

Le prospettive per i prossimi anni? Molto buone, a patto che si faccia sinergia e si mettano in relazione luoghi e servizi con un marketing in grado di promuovere il nostro patrimonio religioso (Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco dal 2003) in Italia e sopratutto anche all'estero.
(post a cura di Giuseppe Serrone).
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L'articolo che segue,  tratto da Manager Italia, del professor Alessandro Cugini è una sintesi della relazione "Comunità coese per lo sviluppo dei territori", presentata nel corso dell'ultima edizione di Koinè (Vicenza, 16-18 febbraio), la principale piattaforma europea d´incontro dedicata alla filiera internazionale del settore religioso (dall'arredamento liturgico e i componenti per l'edilizia ai paramenti sacri, dagli articoli religiosi all'editoria, organi e strumenti musicali, servizi, viaggi, pellegrinaggi) ospitata e organizzata da Italian Exhibition Group.

Prima di affrontare il tema degli itinerari religiosi in Italia e valutare le loro prospettive per il futuro, è opportuno porsi una domanda: qual è il rapporto oggi tra giovani, religione e spiritualità? Armando Matteo parlò per primo della "prima generazione incredula” e del difficile rapporto tra i giovani e la fede (Vita e Pensiero, 2009). Iniziarono quindi ricerche quantitative: nel 2013 l’Istituto Toniolo registrò che i giovani under 30 che si dichiaravano credenti nella religione cattolica erano il 55,9%, atei il 15,2%, agnostici il 7,8%, credenti in un’entità superiore il 10%. Solo il 15,4% disse di partecipare a un rito settimanale. L’anno dopo (La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani, 2014) registrò che alla domanda: “Lei crede a qualche tipo di religione o credo filosofico?” la percentuale dei sì era scesa al 52,2%.

Successivamente, iniziarono analisi qualitative: Rita Bichi e Paola Bignardi (A modo mio, giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero) rilevarono che “La quasi totalità dei giovani intervistati mostra un atteggiamento positivo nei confronti dell’esperienza di fede. Anche chi dichiara di non essere credente afferma che credere dà speranza, consolazione, aiuto, amore. Se dunque sotto la coltre di superficialità e di indifferenza si riesce a scavare, emerge una sensibilità umana aperta alla trascendenza alla ricerca di Dio. Una ricerca non esplicita, ma nascosta nelle domande di senso, di pienezza, di intensa umanità”. Paolo Squizzato (Dalla cenere la vita - Un percorso di consapevolezza, Paoline) la definisce “termometro di grande sete di spiritualità che nella Chiesa fatica a trovare risposte. Come Chiesa diamo religione, ma c’è un abisso tra religione e spiritualità. Solo nel silenzio, nell'interiorità, riposa Dio”. Alessandro Castegnaro (Giovani in cerca di senso, Qiqajon) registra che tra le due collocazioni estreme (integralisti e atei-agnostici) esiste una vastissima terra di mezzo invisibile. In essa si muovono i nuovi cercatori spirituali, le spiritualità non formali, i partecipanti occasionali agli eventi liturgici, chi partecipa per “imprinting” ai cosiddetti “tempi forti”, quelli che leggono nella natura, nella cultura, nell’arte, nella socializzazione di un percorso fisico (Cammino) un’emozione spirituale.

A ottobre 2018, nel documento finale del sinodo dei vescovi I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (§ 49 Spiritualità e religiosità), ritroviamo che “i giovani dichiarano di essere alla ricerca del senso della vita e dimostrano interesse per la spiritualità”. Con un’avvertenza però: “Tale attenzione si configura talora come una ricerca di benessere psicologico più che un’apertura all’incontro con il mistero del Dio vivente. Rimangono vive, però, alcune pratiche consegnate dalla tradizione, come i pellegrinaggi ai santuari, che a volte coinvolgono masse di giovani molto numerose, ed espressioni della pietà popolare, spesso legate alla devozione a Maria e ai Santi, che custodiscono l’esperienza di fede di un popolo”.



L’animazione territoriale per la valorizzazione delle comunità
La premessa iniziale fotografa il sentiment religioso dei giovani in Italia. Ci si può chiedere ora se la valorizzazione e la promozione dei nostri territori, delle nostre aree interne, possa avvenire attraverso la fruizione del patrimonio religioso culturale e materiale per creare nuove opportunità di crescita e di sviluppo culturale, sociale ed economico. La risposta a questa domanda è affermativa, ma ad alcune condizioni. Ricercatori italiani (come Salvio Capasso, SRM 2014) hanno studiato questo fenomeno attraverso un moltiplicatore di presenza che tiene conto della quantità e della qualità del fenomeno turistico di un’area. Il sistema auspicato dovrebbe comporsi di idonei servizi (alloggi, logistica, ristorazione, agenzie di prenotazione, attività culturali, sportive e ricreative) e di offerta innovativa e multidisciplinare. La multidisciplinarietà deve essere l’elemento chiave per avviare un'animazione territoriale basata sullo studio del territorio nelle sue diverse componenti (società e ambiente, attori e risorse, storie e tradizioni, cultura ed arte, spiritualità e pastorale). In questo senso la ricerca dovrà essere sottoposta a esperti di teologia e arte, di pianificazione territoriale e urbanistica, di geografia, di scienze naturali, di storia e filosofia, di psicologia sociale ecc. Ma non basta: serve il consiglio e il consenso della popolazione, spesso aliena dal considerare questo patrimonio una risorsa sociale ed economica. 

Questo tipo di approccio consentirà di “evitare l’errore commesso in passato di imporre dall’alto scelte sul territorio non coinvolgendo i soggetti economici che qui sono già radicati, incentivando quei processi di sviluppo locale che comunque esistono - seppure con regole e modalità proprie - in alcune aree anche del meridione” (Paola De Vivo, FrancoAngeli). In questa ricerca deve essere determinante il ruolo da accordare ai giovani del luogo. Questi possono fornirci la chiave della più opportuna offerta culturale-spirituale locale, magari congiunta con quella naturalistica, ambientale ed enogastronomica. Nella Conferenza internazionale di Cancun, Benedetto XVI rimarcò: “La possibilità che i viaggi ci offrono di ammirare la bellezza dei paesi, delle culture e della natura ci può condurre a Dio”, favorendo l’esperienza della fede, "difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore" (Sap 13,5).

Il turismo spirituale per la coesione sociale di comunità
Partendo da ciò, il sistema potrà contribuire alla nascita di una nuova coesione comunitaria se sarà composto da elementi che turisticamente siano in grado di soddisfare domande di esperienza individuale, di un kairòs (es.: sentiero per meditazione e pellegrinaggio, anche individuale e fuori dagli eventi collettivi); teologicamente siano coerenti con la presenza fisica e pastorale della chiesa locale (es.: illustrazione storica e artistica dei beni culturali ecclesiali locali); organizzativamente creino nuovi servizi (es.: Infopoint) e opportunità di lavoro. Economicamente sia composto da una rete di attori locali che contribuiscano all'equilibrio economico del rapporto entrate/uscite complessivo (es: la rete di servizi accoglienza, alloggio, refezione ecc. dovrà contribuire a finanziare l'ente che realizza il sistema complessivo).

Questi elementi organizzativi non sono facili da comporre: il primo proviene da una domanda emozionale individuale, il secondo da finalità ecclesiali, il terzo dal contesto umano e il quarto è di carattere economico. Vi sono alcuni casi di successo già avviati, altri in fase di avvio: personalmente sto curandone uno nel territorio sorrentino-amalfitano, nel piccolo Comune di Pimonte, che grazie alla sua conformazione montana sta riscoprendo sopite tradizioni di pellegrinaggi verso luoghi sacri e storici, naturalistici e panoramici, per provocare anche emozioni di turismo spirituale. Come scrisse un amico, “l'heritage culturale per una nuova economia della bellezza… è l'unico segmento a concentrarsi sul mood, sul feeling e sul sentiment del viaggiatore contemporaneo" (Federico Massimo Ceschin, Non è petrolio, Claudio Grenzi Editore). Il turismo spirituale, o come lo chiamo io "Religious light tourism" (Cugini, SAF-PFTIM 2019) può aiutare sia giovani alla ricerca di senso della vita attraverso la bellezza sia altri a crearsi un proprio lavoro nel campo della divulgazione spirituale, della guida escursionistica, della ricettività alberghiera o presso altri operatori turistici.

Qualche numero su cui riflettere
La domanda moderna di turismo devozionale si sta trasformando in quella di turismo religioso integrato dalla cultura. Ma è difficile misurare questa trasformazione. Troppo facile dire che è turismo religioso la visita a una delle circa 100mila chiese o a uno dei 1.700 santuari italiani e che il dato annuale di presenze sia di oltre 6 milioni. Anche se rilevassimo questo dato nazionale mediante il computo della ricettività, paradossalmente avremmo difficoltà a capire la motivazione religiosa o meno del viaggio: per gli arrivi dall'estero, tutte le rilevazioni istituzionali, poi, sono generiche (i moduli chiedono solo se "per vacanza" o "per lavoro"). Questa difficoltà mi è confermata dal recentissimo e tradizionale XXII Rapporto sul turismo italiano del Cnr-Iccs, del quale ho assistito alla presentazione nel corso della Bit di Milano, lo scorso febbraio. Esso non include il turismo religioso tra le sue analisi: i settori sono mare, montagna, città d'arte, terme, laghi, crociere, nautica, congressi, enogastronomia e sport. Turista e pellegrino si incontrano qualora l’esperienza del turismo religioso abbini i tratti caratteristici del turismo a quelli della religione, o meglio della spiritualità. È il passaggio dal turismo religioso a turismo spirituale, del quale non esistono né potranno mai esistere rilevazioni, essendo un fenomeno sociale e non economico. Possiamo dire solamente che l'attenzione del turista alla ricerca di senso, all'esperienza, alla fede è in forte incremento: si pensi allo sviluppo negli ultimi anni dei cosiddetti Cammini.

Opportunità e sfide: oltre il cristianesimo
In Italia oggi il turismo religioso è incoming verso le mete devozionali, ma anche outgoing di italiani in Terra Santa, a Lourdes ecc. Noi siamo e restiamo il paese del turismo devozionale cristiano della confessione cattolica. Solo negli ultimi anni si avvertono aperture della Cei sulla trasformazione verso il turismo spirituale. La sfida è dunque quella di offrire un’esperienza spirituale non solo cristiana: dobbiamo impegnarci perché il turismo religioso si rivolga a soddisfare una spiritualità più ampia di quella cristiana che attragga il turismo estero, in gran parte non cattolico. Il turismo religioso che prevedo è “light”, cioè “più ampio e leggero”, accessibile non solo ai credenti di una religione, intesa come forma devozionale tradizionale, ma anche ai non praticanti alcuna religione, a coloro che siano di ogni età, fede o nazionalità, anche al di fuori del cristianesimo, siano desiderosi di una “esperienza di senso”. Il sentimento religioso tratto dall’esperienza spirituale è perfino per l’esistenzialismo - tendenzialmente agnostico - l'unica testimonianza interiore della verità di fede. Su questa prospettiva è chiara la nostra debolezza e impreparazione sul piano della specializzazione: per le guide turistiche adatte a tale nuova esigenza ci sono buone pratiche, come la Scuola Arte e Teologia della Facoltà Teologica di Napoli, che formano queste nuove figure professionali.

Il ruolo del management 
Proprio perché è in atto una trasformazione - non solo per le confessioni cristiane - dal turismo devozionale a quello dei “turisti della fede”, da un punto di vista manageriale occorre comprendere i bisogni della nuova domanda turistica e organizzare nuovi servizi per soddisfarla. C’è chi vuole il silenzio e la meditazione (la risposta sono le vacanze di soggiorno in monasteri, eremi, case d´accoglienza) chi vuole "itinerari spirituali" (l'offerta è dei cammini che prolificano in tutto il territorio nazionale; chi chiede viaggi leisure con motivi culturali accessori (si organizzano pacchetti tailored di arte sacra, bellezza del paesaggio, enogastronomia e natura). 

Il ruolo del management è decisivo perché deve garantire - specie agli stranieri che ci giudicano inflessibilmente - il rapporto qualità/prezzo rispetto ad altri paesi concorrenti che in pochi anni ci hanno sorpassato nelle classifiche mondiali, pur non possedendo il nostro patrimonio storico, artistico, culturale e soprattutto gestire flussi, il marketing territoriale e garantire un approccio strategico diffuso. Se l'obiettivo è mantenere il 5° posto, la valorizzazione del "Religious light tourism" italiano potrà contribuire a conseguirlo integrando l'attuale turismo religioso tradizionale, devozionale, cattolico con altre proposte in linea con la sensibilità contemporanea.

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