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LA MOSTRA Con Pasolini il proletariato divenne attore imitando la storia dell’arte

 

A pochi mesi dal centenario della nascita, avvenuta il 5 marzo 1922, giunge questa mostra alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo in provincia Parma (fino al 12 dicembre), che indaga come nell’eccezionale attività creativa di Pier Paolo Pasolini fosse stretta la relazione tra letteratura, poesia, cinema, arti figurative.

La mostra (catalogo Silvana), dal titolo Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura, curata da Stefano Roffi e Mauro Carrera, in particolare mette in luce la fondamentale importanza che l’arte ebbe nel linguaggio cinematografico del poeta che fin dall’inizio darà ai suoi film un’impronta povera e primitiva, adottando moduli appartenenti principalmente all’arte del Trecento e dell’epoca rinascimentale. E ciò sulla scorta delle lezioni di Roberto Longhi, a cui nel 1962 dedica Mamma Roma, ritenuto responsabile della sua «fulgurazione figurativa» fin dai tempi della frequentazione all’Università di Bologna quando rimane affascinato dal celebre corso dello storico sui Fatti di Masolino e di Masaccio.

Così come restano per sempre alla base della narrazione per immagini di Pasolini le lezioni di Longhi su Giotto, Piero della Francesca, Caravaggio, le cui citazioni si manifestano attraverso la messa in posa degli attori, il campo fisso, i lunghi primi piani che sottolineano la ieraticità dei volti e la ricostruzione di veri e propri tableaux vivants. Ciò è particolarmente evidente in film quali Accattone, Mamma Roma e La ricotta, la «trilogia del sottoproletariato », caratterizzati da una frontalità ossessiva delle inquadrature, presa dalla ritrattistica pittorica e plastica del Quattrocento, dalla “sporca” e contrastata fotografia in bianco e nero, dall’assenza di particolari.

Ha rivelato lo stesso Pasolini, pittore egli stesso per tutta la vita: «Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto, che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi ». E pensa proprio ai manieristi toscani quando, in un episodio di Ro-GoPaG

in cui Orson Welles, alter-ego di Pasolini, dirige un film sulla Passione di Cristo, ricostruisce la monumentale Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino e l’altrettanto imponente pala di analogo soggetto del Pontormo.

Numerosi sono i riferimenti pittorici anche ne Il Vangelo secondo Matteo e

Teorema, fondamentalmente Piero della Francesca e Francis Bacon, e nella «trilogia della vita» ( Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte) con cui Pasolini dichiara il proprio debito verso Giotto, ma anche l’ammirazione per Velázquez.

La mostra è corredata da una selezione di costumi realizzati da Danilo Donati, locandine originali dei film, rare fotografie d’epoca e la galleria fotografica delle opere d’arte che Pasolini ebbe come riferimento, in accostamento alle scene tratte dai film.

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Fotogramma da “Il Decameron” (1971) con Pasolini in veste di attore
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