Turismo. La cena delle anime nel borgo fantasma. Così rivive Rebeccu


 

Nella notte tra Ognissanti e il 2 novembre, in Sardegna, le case si preparano ad accogliere i cari defunti con una tavola apparecchiata. È “sa chena pro sos mortos”. La cena per i nostri morti. Si tirano fuori dai cassetti le tovaglie ricamate, si preparano i piatti della tradizione e delle feste, si fa il pane e i dolci tipici di questi giorni, come i papassini, biscotti di frolla con uva passa e noci, decorati con una glassa. Una tavola ricca, con i servizi delle occasioni, ma senza posate. Tutto questo in attesa che le anime ritornino nel luogo a loro più caro. Una tradizione antica, ancestrale, come tutto ciò che in Sardegna non si fa scalfire dal tempo e dalle mode, preservando con caparbietà la propria identità e cultura. «Nei freddi autunni davanti al focolare, gli anziani raccontavano ai bambini che la morte non segnava la fine della vita, ma l’inizio di un viaggio nel quale le anime dei cari continuavano a esistere. Quando le giornate si accorciavano e la terra era pronta per la semina, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava, permetteva alle anime di tornare nelle loro case. Se tutto ciò accadeva durante sa chena pro sos mortos fosse reale o solo una credenza popolare, Irede Dessì ancora non lo sapeva». Iride è la protagonista del sorprendente esordio letterario di Maria Laura Berlinguer, intitolato proprio La cena delle anime (HarperCollins), attorno a cui ruotano la memoria e le leggende della sua famiglia. Pagine che si potranno vivere e in qualche modo “gustare”, con i sapori che vengono rievocati e descritti, in un posto piccolo e tutto da scoprire nel cuore della Sardegna: il borgo fantasma di Rebeccu, frazione rurale di Bonorva (Sassari), che domina la Piana di Santa Lucia. La leggenda vuole che la principessa Donoria, figlia del Re Beccu, quando venne cacciata dal paese e condannata all’esilio perché ritenuta una strega, lanciò una maledizione: ”Rebeccu, Rebecchei da ‘e trinta domos non movei” (“Che Rebeccu non superi mai le trenta abitazioni”). Così, dopo la partenza di Donoria seguì l’inizio del declino e dello spopolamento del borgo.
La tavola dei morti, con i dolci tipici sardi preparati durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno a Rebeccu. Le lanterne per le strade creano un'atmosfera magica e misteriosa © Pro sas animas - 369gradi
La tavola dei morti, con i dolci tipici sardi preparati durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno a Rebeccu. Le lanterne per le strade creano un'atmosfera magica e misteriosa © Pro sas animas - 369gradi
Dal 30 ottobre all'1 novembre, Rebeccu con le sue casine basse e i tetti che sembrano merletti, si rianima con “Pro sos animas”, il capitolo autunnale del festival MusaMadre che fra la primavera e l’estate coinvolge scrittori, artisti, attori in un dialogo con le comunità del territorio animando il borgo disabitato (il programma completo su www.rebeccuarte.org). «Rebeccu diventa un teatro diffuso dove la comunità si ritrova attorno alle tradizioni legate ai morti, in una chiave artistica, ma sempre autentica. SI crea un'atmosfera di magia e mistero: le installazioni di Tonino Sella per le strade, le camminate notturne a lume di lanterna, letture e riti popolari, laboratori di cucina, di arte e teatro, degustazioni e momenti per i più piccoli si intrecciano per far riaffiorare la memoria degli antenati e accoglierla nello spazio condiviso della vita quotidiana», dice Valeria Orani, direttrice artistica di Musa Madre, curatrice teatrale e progettista di eventi, una vita fra l’Italia e l’America, con collaborazioni importanti, da Marina Abramović ad Antonio Marras. Alcuni anni fa è stata chiamata a pensare a un intervento di valorizzazione, di “riappropriazione” di questo borgo. Una “chiamata” che va al cuore della propria identità e dell’appartenenza sarda, come un ritorno “mistico”. Così insieme al team di artisti, comunicatori e animatori territoriali di 369gradi, è nato un progetto di rigenerazione e di accoglienza, con sette casette ristrutturate e l’ostello, per residenze d'artista, per offrire la possibilità di una sosta ai pellegrini di Santu Jacu, a famiglie che vogliono scoprire a passo lento il bellissimo territorio circostante e a chi vuole vivere un’esperienza decisamente curiosa in un borgo dove non dorme nessuno, ma dove trovare grande ispirazione e semi di vita.
Un meraviglioso allestimento preparato durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno fra le stradine di Rebeccu © Pro sas animas - 369gradi
Un meraviglioso allestimento preparato durante la rassegna "Pro sas animas" dello scorso anno fra le stradine di Rebeccu © Pro sas animas - 369gradi
Il borgo si risveglia dunque “Pro sas animas”, in questi giorni, tra storie e sapori e mani che tramandano tradizioni. La messa nella Chiesa di Santa Giulia, e poi l’inizio della “festa”. Banchetti, botteghe, laboratori per grandi e piccini, per la preparazione dei papassini (o pabassinos, come li chiamano qui) e la panificazione dei giorni dei morti. E ancora, itinerari enogastronomici in forma teatrale e spettacoli con degustazione di Gianluca Medas in “S’Urtima Xena”. La presentazione di libri, come La cena delle anime appunto di Berlinguer (il 30 alle 13) o la fiaba alchemica su Hina di Avalon di Laura Abozzi (La città degli Dèi), alle 17.30. Il 30 sera la passeggiata a lume di lanterna da piazza Santa Giulia alla Fonte Sacra Su Lumarzu, con le letture e i racconti della letteratura sarda contemporanea a cura di Michela Atzeni. Giorno Uno, tra le casette di Rebeccu, si prepara la pasta per “sa chena pro sos mortos”, le porte delle case sono aperte e fuori l'aria profuma di fuoco e castagne. La gente si muove per le stradine di pietra. Le anime aleggiano in cerca della loro casa. I bambini qui non non vanno in giro a chiedere “Dolcetto o scherzetto?”, come ad Halloween: fra le viuzze con le lanterne e le installazioni misteriose, bussano alle porte di queste casette dove le nonne preparano la tavola e, aspettando sulla soglia, chiedono dei dolci, con la formula: “a mi faghides bene pro sas animas de sos mortos”, per portare bene all’anima dei morti. Nessuno scherzetto, ma molti dolcetti fatti a casa. In un rito affascinante e antico.
La chiusura, l’1 sera, con “Attitu”, il lamento funebre della tradizione sarda: «Un rito laico, senza bandiere né colori, dove chiunque è invitato a passare e lasciare un ricordo, un pensiero, un segno, un fiore – conclude Orani - . Un’azione umanista e collettiva. Una veglia per le vittime innocenti della violenza di cui l’essere umano è capace. La tradizione che continua, nel mondo che viviamo». Pro sas animas. Sempre e ovunque. Da Rebeccu. Un borgo fantasma di una Sardegna ancestrale dove c'è tanta vita.
Avvenire

Nessun commento: