La Puglia è da sempre raccontata in tantissimi modi: da quelli standard, con le guide turistiche, a quelli più caratteristici e legati a un evento specifico, come la famosa Festa della Taranta che anima ogni anno tantissime città del Salento. E poi ci sono le vacanze dei vip, da cui ogni estate i giornali prendono spunto per mostrare le bellezze del territorio pugliese. Insomma, di metodi ce ne sono molti, ognuno adatto a esigenze diverse. Per gli appassionati dei festival e per chi non sa rinunciare a qualche appuntamento culturale neppure in vacanza, abbiamo stilato una piccola guida che segue il percorso di un famoso festival diffuso in valle d'Itria, da Martina Franca a Cisternino, da Egnazia a Locorotondo. Si tratta del Festival dei Sensi, grazie al quale potrete ascoltare le voci più autorevoli del panorama italiano e, al tempo stesso, scoprire luoghi incontaminati e bellissimi. Eccone alcuni.
1. CAVA CONTI a Cisternino - I toponimi come località La Tufara e via delle Cave testimoniano con chiarezza come questa zona in cima ai monti di Cisternino sia luogo storico di estrazione di una pietra compatta detta tufo bianco o pietra gentile: da qui per secoli è stata estratta la calcarenite.
Onorina Pozio, nonna dell’attuale proprietario, aveva ereditato questa cava, cava Conti, dal padre Edoardo, componente di una delle famiglie più importanti di Cisternino. Anche dopo il suo matrimonio con l’avvocato Francesco Conti, di Locorotondo, la cava era stata lasciata in concessione ai mastri locali.
Il loro figlio, Giulio Cesare Conti, comandante del Battaglione San Marco, eroe di guerra pluridecorato, guida del corpo speciale Nuotatori Paracadutisti, nei primi anni ’50 si era reso protagonista di un’azione che lo aveva portato alla ribalta internazionale: quando l’Iran aveva nazionalizzato il petrolio e l’Inghilterra cercava di impedirne l’esportazione, Conti era riuscito a forzare il blocco portando fuori dal Golfo Persico le navi cariche dell’oro nero. Con la ricompensa ricevuta dal governo iraniano acquistò nuove macchine per ammodernare la cava e decise di condurla in proprio, dandole così nuovo impulso e individuando tra l’altro una piccola vena di onice. Con lo stesso stile deciso che aveva caratterizzato un po’ tutta la sua vita il Comandante mise mano al giacimento e ne fece un piccolo drappello che sfornava basolati in pietra, cordoli per marciapiedi, materiali e rivestimenti per le ville, e polvere con la quale si producevano mattoni anche nel tarantino.
Dopo la sua morte improvvisa, il figlio Francesco Conti, avvocato come il nonno, ha condotto l’attività estrattiva fino agli anni 2000, quando per vincoli ambientali e urbanistici la cava è stata dichiarata non più utilizzabile. Molte delle suggestive strade dei Sassi di Matera sono state lastricate con questa bella pietra il cui colore bianco latte tende rapidamente a suggestive imbruniture.
2. PARCO DEL VAGLIO a Locorotondo - Elegantissima residenza estiva nel punto più alto e panoramico, prospiciente l’intera Valle d’Itria, del tenimento di pertinenza della masseria in agro di Locorotondo, denominata “Parco del Vaglio” (anticamente Parco del Balì o Balivo, in quanto già di proprietà dell’ordine dei Cavalieri Gerosolimitani): accanto al nucleo originario costituito da un agglomerato di una trentina di trulli, sorge, corredata da ampio giardino, l’ottocentesca villa padronale che conserva intatte le sue prerogative originali anche con riguardo all’arredo.
3. MASSERIA CAPECE a Cisternino - La masseria Capece alla fine dell’800 fu comprata da Luigi Amati di Cisternino dalla famiglia Capece Minutolo di Napoli andando a completare l’estensione della confinante masseria Gianecchia, di proprietà della famiglia già dal 1500, acquisendo un agrumeto di notevoli dimensioni (50×50 m) e il frantoio che mantiene ancora oggi le sue fattezze originali. La masseria si compone di vari immobili, un tempo adibiti ad alloggi dei lavoratori e ricoveri per il bestiame. Caratteristico è l’edificio al centro della corte, con probabile funzione originaria di chiesetta. Nelle immediate vicinanze insistono due corpi, dei quali uno diroccato, l’altro con chiara destinazione a chiesa e arrecante la data del 1739 sulla porta di ingresso; vi è inoltre un’aia con basolato in pietra in buono stato di conservazione. Non distante dalla masseria è presente anche una zona con antica coltivazione a cava del “filetto rosso” di Fasano, aperta ai primi del 1900 e attualmente non più attiva.
4. REGIA STAZIONE IPPICA a Martina Franca - Pietro Vito Marinosci, della omonima famiglia di macellai, aveva la sua rinomata bottega in città e macellava in un edificio che proprio qui porta iscritto il suo nome. Probabilmente fu lo stesso Comune a rilevare l’edificio e ad ampliarlo. La Regia Stazione Ippica, di proprietà del Comune di Martina Franca, fu istituita con Regio Decreto negli anni Venti, ebbe qui la sua sede, e quasi subito fu destinata alla selezione del cavallo murgese. Nel 1970 passò sotto la giurisdizione dell’Istituto Incremento Ippico di Foggia e fu gestita da palafrenieri con deposito di stalloni murgesi. Oggi, sottoposta ai vincoli Valle d’Itria e ai Decreti Galasso, è l’unica stazione ippica rimasta in Puglia. Il complesso attuale si estende per oltre 2.000 mq, comprende un corpo principale con corte interna, stalle e fabbricati successivamente aggiunti e un vasto terreno di pertinenza.
5. CIMITERO VECCHIO a Cisternino - La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli fu edificata all’inizio del XVII secolo, in occasione del decreto borbonico che vietava le sepolture nelle chiese pubbliche, e venne utilizzata per le sepolture fino al 1918, anno in cui il paese si dotò di un nuovo cimitero. Fu allora che la chiesa venne ampliata e circondata da alte mura di cinta. Pregevole l’altare maggiore, realizzato in pietra locale da Mastro Pasquale Simone di Lecce in pietra locale e la collezione di ex voto, di particolare eleganza e originalità.
6. MASSERIA FERRI a Ostuni - Le origini di questa Masseria, sita al confine tra Ostuni e Martina Franca, risalgono a circa tre secoli fa, quando intorno al 1718 fu concessa la formazione di un appoggio di Masseria, ossia un primo limitato nucleo agro-pastorale, esteso solo 3 tomoli.
L’area faceva parte, sin dal basso Medio-Evo, di un vasto feudo ecclesiastico, appartenuto prima a un convento benedettino e poi a un ordine monastico-cavalleresco. Si tratta infatti dell’Abbazia di San Salvatore di Pecorara, ossia del Monastero e della chiesa rurale omonimi, (ancora a fine Settecento restavano dei ruderi) della cui esistenza si ha notizia dal 1120 e di cui sono pervenute pergamene datate dal 1206 al 1304 contenenti i nomi di tre abati benedettini, soggetta al vescovo di Ostuni, e che aveva in dotazione un consistente patrimonio fondiario.
Il feudo di San Salvatore fu denominato nel XVIII secolo Difesa di San Salvatore e in data imprecisata passò poi in proprietà all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (dal 1530 detto Ordine dei Cavalieri di Malta).
Nel corso del Settecento, allo scopo di aumentare le rendite, l’ente proprietario preferì cedere parti del feudo in enfiteusi a privati, riscuotendo la decima sui raccolti prodotti: ciò fino all’abolizione del feudalesimo e degli enti ecclesiastici (1806-1809).
Nel feudo di San Salvatore, esteso 2449 tomoli -pari 2085 ettari, come testimoniato dalla misurazione del 1797- sorsero 25 masserie, prevalentemente possedute da martinesi.
Tra queste la masseria Ferro, intestata al Magnifico Domenico Goffredo detto Ferro da cui deriva l’attuale toponimo, con una estensione di 60 ettari di terreni “decimali”.
Decimali erano detti quei terreni su cui gravava il prelievo della decima parte dei raccolti da parte dell’ente concessionario.
Nel 1797, a seguito del matrimonio fra Donna Teresa Goffredo di Donato Antonio e Don Francesco Lella di Bonaventura , la masseria divenne proprietà della famiglia Lella, che tuttora la possiede. Accanto ai primitivi corpi di fabbrica settecenteschi il loro figlio Donato Lella fece edificare una comoda casa padronale -datata 1854, come si evince dall’iscrizione sul portale- con adiacente cappella dedicata alla Madonna delle Grazie.
7. PARCO ARCHEOLOGICO a EGNAZIA - Le prime notizie di Gnathia risalgono al 1561, quando Leandro Alberti accenna a i vestigi dell’antica città di Egnazia fra cespugli, urtiche e pruni, mentre del secolo successivo è la prima testimonianza del rinvenimento di sepolture con ricchi corredi funerari. A Francesco M. Pratilli, antiquario e studioso di archeologia, si deve, nel 1745, la prima pianta schematica della città in cui sono evidenziati i monumenti allora visibili, tra cui il criptoportico e la necropoli litoranea. La prima descrizione delle strutture antiche è contenuta, invece, nell’opera di Ludovico Pepe del 1882, interamente dedicata ad Egnazia, dove viene per la prima volta denunciata la pratica dello scavo clandestino. Anche per arginare questo fenomeno, Quintino Quagliati, Direttore dell’Ufficio scavi e del Museo Nazionale di Taranto, dà inizio alla fine del 1912 alle ricerche ufficiali, durate per tutto il 1913, su una lunga fascia che da Nord comprende parte della piazza mercato, un tratto della via Traiana, il settore residenziale a Sud della strada e la basilica meridionale. Indagini sistematiche hanno interessato la città dal 1963 al 1971 a cura degli Uffici ministeriali preposti alla tutela. A partire dal 2001, un programma di ricerca del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Tardoantico dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in stretta collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Puglia, ha indagato sistematicamente la piazza mercato, il quartiere a Sud della via Traiana, la basilica episcopale, l’area dell’acropoli e ha evidenziato per la prima volta il settore a Sud del foro con le terme.
ansa
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone Turismo Culturale