Leonardo firmò la Gioconda nascondendo nel ritratto più enigmatico della storia l'iniziale del suo nome nonché la data di composizione del dipinto, il 1501, e addirittura l'intera scritta 'Gioconda'. Ma non fu il solo. Lo stesso usavano fare in quel secolo Giorgione e Raffaello. E quasi duecento anni prima anche Giotto riempiva i suoi affreschi di scritte celate, iniziali, cifre. Il segreto? Una tecnica di scrittura nascosta nata come sorta di incancellabile autentica delle opere e tramandata di bottega in bottega, forse come protezione dai falsi, per oltre 700 anni, tanto che la conoscevano e la praticavano persino Klimt e Picasso.
Da anni al lavoro sulla sua scoperta che nel tempo lo ha portato a mettere a punto un personale metodo di analisi, l'artista e studioso trevigiano Luciano Buso torna ora a Giotto, con una nuova rivelazione, questa volta su Esaù respinto da Isacco, grande affresco della Basilica Superiore di Assisi (misura 3 metri per 3) dai più attribuito al Maestro di Isacco e tradizionalmente datato tra il 1291 ed il 1295. Niente affatto, sostiene Buso che quell'affresco ha studiato palmo a palmo negli ultimi dieci anni: "L'autore è Giotto, che lo firmò nel 1315 e vi inserì, nascondendolo, anche un suo probabile autoritratto". Di queste scoperte Buso parlerà oggi in un convegno ad Assisi nella Domus Pacis Santa Maria degli Angeli dove illustrerà anche la sua teoria sulle firme e sulle figure celate nell'arte. Lo studio su Esaù respinto da Isacco, spiega, cominciò nel 2008-2009. Fu in quegli anni, racconta, che individuò il primo volto di un demone semi celato "tra le pieghe del lenzuolo rosso sotto il corpo di Isacco". Un anno dopo la pubblicazione dell'anteprima del suo studio una studiosa di gran nome, Chiara Frugoni, individuò il secondo demone con un corno, nascosto tra le nuvole nelle scene centrali del ciclo della Vita di Francesco nella Basilica di Assisi. Scoperte che si susseguirono con l'individuazione, firmata in questo caso da Giuliano Pisani, di una serie di volti celati nell'azzurrite di alcuni affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Le ultime scoperte di Buso riguardano invece l'affresco di Esaù, con l'individuazione della firma di Giotto (ce ne sono due, spiega, una estesa, "Giottus", e l'altra con le sue iniziali, GB per Giotto da Bondone). Alla quale si aggiungono le date, anche in questo caso due (1315 per esteso e 15), che posticipano di 25 anni la realizzazione dell'opera, e "moltissime figure aliene dalla scena principale rappresentata". Quanto a queste altre figure ritrovate, scrive Buso, "alcune rappresentano volti demoniaci con addirittura il corno, altre paiono rappresentare un re e una regina dell'epoca".
Ma non solo. Perché tra le tante figure "aliene", sostiene Buso, c'è un volto che sembra proprio essere un autoritratto di Giotto. "Si trova in alto a sinistra, proprio sopra la tenda con la fascia azzurra", dice, vicino alla grande data '15'. "Il volto reca a cappello la data e questo mi ha indotto a pensare che esso rappresenti qualcuno di importante, ritenuto dall'artista trecentesco degno di attenzione". Quel volto, sottolinea, sembra riportare "una certa somiglianza" con un ritratto di Giotto eseguito nel XVI secolo. E l'abitudine di nascondere un proprio piccolo autoritratto all'interno dell'opera, fa notare Buso, è una cosa che si ritrova in altri grandi, da Michelangelo a Giorgione. "La presenza del presunto autoritratto - argomenta lo studioso - andrebbe a modificare la storia dell'affresco di Esaù e insieme ad altri particolari sottolineati nella mia ricerca, suggerirebbe in modo definitivo che l'artista abbia dipinto l'affresco proprio all'interno della Basilica, cosa che in passato era stata messa in dubbio".
ANSA