L'Adorazione dei pastori del Perugino, concluso il restauro

PERUGIA - È un anno speciale per la Galleria nazionale dell'Umbria di Perugia: presentato nei mesi scorsi il nuovo allestimento, il museo vede oggi riconsegnata dopo un importante restauro durato quasi un anno l'Adorazione dei pastori affrescata da Pietro Vannucci detto il Perugino, operazione promossa da Fondaco Italia e sostenuta da Banca Generali Private. Si era infatti resa necessaria una revisione dell'ultimo intervento a cui il dipinto era stato sottoposto, ormai trent'anni fa. Nel dettaglio il restauro, a cura di Cbc-Conservazione beni culturali, ha seguito varie fasi. All'asportazione dei depositi superficiali incoerenti su tutta la superficie è seguita la revisione delle stuccature, per passare infine a un importante ripensamento della presentazione estetica, con reintegrazioni eseguite in parte con velature ad acquarello e in parte a tratteggio, per consentire una migliore leggibilità dell'immagine. L'opera proviene da una delle cappelle esterne della chiesa di San Francesco al Monte di Perugia, pertinente all'omonimo convento di osservanti francescani. Il Perugino vi lavorò intorno al 1502. Nel 1856 il murale fu sottoposto all'intervento di strappo, che comportò gravi ripercussioni sul suo stato di conservazione, già compromesso. Nel 1863 giunse nella Pinacoteca civica di Perugia, poi Galleria nazionale dell'Umbria. L'affresco, nel nuovo allestimento, viene affiancato da due disegni preparatori delle figure dei pastori. Il direttore della Galleria Nazionale dell'Umbria, Marco Pierini, commenta con entusiasmo la riuscita dell'operazione. "Siamo grati a Banca Generali Private e a Fondaco Italia per il gesto di mecenatismo nei confronti di un'opera tanto significativa per le nostre collezioni. La sinergia tra pubblico e privato è al servizio di un'operazione che non si esurisce con il mero restauro, ma ha un respiro più ampio, coinvolgendo ambiti e aspetti museali dedicati a pubblici diversi. Ci auguriamo che questo sia il primo progetto - pilota se vogliamo - di una serie di interventi che coinvolgano la valorizzazione delle collezioni della Galleria secondo declinazioni sempre nuove e, come ci piace ripetere, fedeli alla tradizioni ma ispirate dall'innovazione".
ansa

Mappe e Geopoesia, la geografia dell'anima di Laura Canali


ROMA - Aiutare a capire la storia dei popoli passando dallo sguardo di insieme sui confini delle nazioni all'analisi del particolare, entrando sempre più a fondo tra le pieghe delle zone coinvolte nei conflitti. Dopo trent'anni passati a disegnare le mappe e le cartine di Limes, la rivista italiana di geopolitica, rendendole uno strumento determinante per interpretare il passato e il presente, Laura Canali ha elaborato una sua chiave più intima e personale di lettura del mondo.

ROMA - Aiutare a capire la storia dei popoli passando dallo sguardo di insieme sui confini delle nazioni all'analisi del particolare, entrando sempre più a fondo tra le pieghe delle zone coinvolte nei conflitti. Dopo trent'anni passati a disegnare le mappe e le cartine di Limes, la rivista italiana di geopolitica, rendendole uno strumento determinante per interpretare il passato e il presente, Laura Canali ha elaborato una sua chiave più intima e personale di lettura del mondo.

Creare arte ispirandosi ai versi dei poeti che parlano di luoghi, lasciandosi guidare dalla geopoesia è il senso della mostra 'Pietre e miraggi' che affianca appunto le copertine divenute una sorta di marchio della celebre rivista alle installazioni e ai 'quadri' realizzati in questi ultimi anni. C'è tempo ancora fino al 4 novembre per avvicinarsi ai lavori della cartografa romana che si snodano nelle magnifiche sale della Fondazione Besso, lo scrigno nel cuore della capitale che custodisce tra l'altro una ricchissima collezione di libri su Roma. Il viaggio di Laura Canali segue un filo concettuale tra il reale e l'immaginario, che mette insieme opere diverse, dalla installazione del 2022 che dà il titolo alla mostra, taglio laser su plexiglass specchiato posato sul pavimento, a Vulcano, mappa ricamata a mano con fili colorati di lana e cotone su tela di juta, al suggestivo effetto tessuto prodotto dalle stampe digitali multicolori su lastre di alluminio graffiato che riproducono i profili di continenti, coste e isole. "Faccio geopoesie dal 2011 - spiega - e nascono in conseguenza della geopolitica. Quando guardi sempre dritto in faccia il mondo con tutti i suoi orrori non ne puoi più e ho cercato cose che potessero ridarmi fiducia. Ho visto che molti poeti usano i toponimi nelle loro composizioni. Non sono poesie semplici ma si entra in un gioco di scatole cinesi, scoprendo la geopoesia come una geografia dell' anima, una chiave che aiuta a capire i conflitti perché ti mostra i sentimenti di chi ha vissuto certi episodi". Tutto è cominciato con Paul Celan, poeta romeno che, per non nominarla, chiama la Germania 'zona dei popoli muti', al quale sono seguiti lavori su Ungaretti, Osip Mandel'stam fino a Ingeborg Bachmann - austriaca morta a Roma nel 1973 - secondo la quale la Mitteleuropa aveva partorito il nazismo e solo vivendo dove ci sono vulcani (lei dopo la seconda guerra mondiale scelse Napoli) - l' essere umano può fondersi e rinascere completamente nuovo. ''La ricerca artistica si è sviluppata attraverso questa geografia letteraria e poetica e a modo mio ho ricostruito queste mappe, anche ridisegnando e spostando confini e stati". Le Geopoesie e le cartine di Limes scorrono tra le stampe antiche, le boiserie e gli arredi delle sale della Fondazione Besso. "Con le mie mappe geopolitiche - spiega - ho cercato di offrire le chiavi di accesso di un territorio. I luoghi del mondo, macro o micro, hanno tutti un centro, un qualcosa che necessita uno scavo per comprendere". La geopoesia è, invece, una via di fuga, un punto di vista diverso dove a giocare un ruolo fondamentale sono i sentimenti umani. "Il nostro mondo - conclude - è un insieme di pietre, la concretezza della realtà, e miraggi, la capacità dei voli pindarici. Senza geopolitica non esisterebbe la geopoesia.

    Il concreto e il sentimento si incontrano lì, dove il cammino orizzontale incrocia incontra quello verticale". 

Ansa

Vicino/lontano, una mostra per 50 anni della Convenzione Unesco

ROMA - Un uomo che osserva la sua terra, tra le terrazze verticali dove si coltivano cipolle ad Argapura, in Indonesia. La meraviglia della storica Moschea della città di Bagerhat, in Bangladesh, al mattino, quando sembra specchiarsi nell'acqua.

Il cero di Nostra Signora di Nazareth nella città di Belém, in Brasile. La resilienza negli occhi di due bimbe dai capelli rossi, sulle spalle di papà, a Baffa, in Pakistan. E poi Roma con il corteo che sfila davanti al Colosseo per il 31/o anniversario dell'indipendenza dell'Ucraina, nei giorni dell'invasione dell'esercito russo. È un viaggio alla scoperta del patrimonio culturale e naturale dell'immigrazione in Italia la mostra Vicino/lontano, in programma a Roma dal 28 ottobre al 27 novembre per il 50/o anniversario della Convenzione Unesco sulla Protezione del Patrimonio Mondiale culturale e naturale, distribuita tra Palazzo delle Esposizioni e quattro Biblioteche di Roma Capitale: l'Europea a Piazza Fiume, Ennio Flaiano al Tufello, Pier Paolo Pasolini a Spinaceto, Enzo Tortora a Testaccio.

"La mostra è nata per festeggiare i 50 anni della Convenzione, ma questo non è un momento che si presta a grandi celebrazioni con due Paesi Unesco in guerra e le forze armate in Ucraina", dice il presidente della Commissione Nazionale italiana, Franco Bernabè. "L'Unesco - ricorda - è stata costituita per accordo internazionale nel '45, subito dopo la seconda guerra mondiale, perché proprio la cultura, le scienze, la bellezza, ci ricordassero di non cadere nello stesso errore". Oltre alla Convenzione per il patrimonio culturale e naturale del 1972, "nel 2003 - prosegue - è nata anche la Convenzione per il Patrimonio immateriale e nel 2005 per la molteplicità delle culture, così da salvaguardare il patrimonio nella sua interezza". Annullate dunque le celebrazioni inizialmente previste a Firenze, per il 50/o "abbiamo pensato, nel Paese con più siti, di raccontare l'apporto di culture diverse" che arrivano "con le migrazioni in Italia". "La mostra - anticipa il presidente Azienda Speciale Palaexpo, Marco Delogu - girerà in molte altre occasioni. Ieri l'ambasciatore ucraino l'ha vista e si è commosso davanti al muro di foto del suo Paese". In tutto, oltre 400 scatti nelle diverse sedi, realizzati da fotografi provenienti dai Paesi con il maggior flusso migratorio verso l'Italia, che hanno raccontato attraverso le immagini il patrimonio culturale e naturale del loro territorio d'origine. Un dialogo con le fotografie istituzionali dei siti Unesco che corre lungo il filo di cinque macro temi: gli insediamenti umani e i movimenti dei popoli; la spiritualità; feste, celebrazioni, artigianato, cibo ed espressioni artistiche; l'ambiente naturale, geo e bio diversità; e i ritratti.

"Il Mediterraneo conta solo il 2% delle acque del globo, però è circondato da una molteplicità di popoli, culture, scienze diverse - commenta il direttore dell'Istituto di studi sul Mediterraneo del Cnr, Salvatore Capasso - Tra le emergenze, le migrazioni sono un elemento fondamentale, ma più che emergenze per me sono opportunità. I Paesi, le economie, si sviluppano perché le persone si muovono, da un territorio all'altro, da un settore all'altro". Non a caso, "i Paesi oggi più sviluppati, dagli Usa all'Australia, sono così perché hanno ricevuto anche il contributo degli italiani. In Italia poi - conclude - in 10 anni abbiamo perso 400 mila nuovi nati. La migrazione è un elemento necessario". Ad accompagnare la mostra, anche un calendario di incontri ed approfondimenti.

Ansa

Autunno sul Monterosa, foliage e sapori

 

VERRES - Giallo, arancio, rosso, viola, oro: i colori dell'autunno ricoprono la Val d'Ayas, ai piedi del massiccio del Monte Rosa, in un'esplosione di sfumature da scoprire camminando lungo pendii scoscesi e sentieri ritagliati nei fitti boschi e tra i piccoli borghi, quelli che sorgono sull'antica via dei mercanti vallesi. Gli imponenti massicci e i ghiacciai del Rosa fanno da cornice a questo splendido paesaggio autunnale.

A piedi, a cavallo, in bicicletta o in mountain bike ci si inoltra tra castelli medievali, villaggi arroccati ai lati dei torrenti, ponti romani e panorami mozzafiato. L'autunno in Val d'Ayas accoglie con maestosi scorci paesaggistici che accompagnano lungo i sentieri che da Verrés risalgono il torrente Evançon, tra storia e cultura. Protagonista è la natura, che in questa stagione si trasforma in una variegata tavolozza di colori che cambiano a seconda delle piante che crescono alle diverse altitudini: dai ghiacciai, che imbiancano tutto l'anno le vette oltre i 4mila metri del massiccio del Monte Rosa, a larici e conifere d'alta quota, fino a ciliegi, frassini, aceri e betulle di media montagna. Il Consorzio turistico Val d'Ayas Monterosa organizza le escursioni guidate nel foliage a piedi, in bici o a cavallo.
    Anche l'enogastronomia torna protagonista con eventi, feste, mercati e degustazioni. Salumi, formaggi, vini pregiati e cereali di montagna con cui si preparano zuppe, polente e pane nero sono gli ingredienti di piatti semplici e di ricette antiche e genuine a km zero.
    Scavata dal torrente Evançon, che si unisce alla Dora Baltea proprio ai piedi dello splendido castello di Verrès, la Val d'Ayas è contraddistinta da una singolare conformazione del territorio che ha consentito di salvaguardare originarie tecniche agricole e antiche ricette. La valle offre una cucina montana genuina e sostenibile, realizzata grazie al lavoro congiunto dei produttori e dei ristoratori. Tra i formaggi, la Fontina dop è la regina indiscussa della produzione casearia valdostana, affiancata da tome aromatizzate ai più svariati sapori di montagna, e da un Fromadzo dop profumato. E poi c'è la polenta in tutte le sue varianti: dalla classica concia agli appetitosi rostì, palline ripiene di formaggio e poi fritte, e a quella che si accompagna alla carbonada alla valdostana, piatto a base di carne di manzo o di selvaggina, cotta nel vino rosso locale. Infine, i beignetes, frittelle di mele prodotte esclusivamente con frutti del territorio.
    Un altro elemento base della cucina locale è il pan ner o pane di segale delle valli di Champorcher e Gressoney, anticamente cotto una sola volta all'anno in forni comunitari. Era un alimento semplice, a cui talvolta si aggiungevano noci, castagne e cumino, fatto per durare tutto l'inverno. Molti di questi forni sopravvivono ancora oggi nella valle di Champorcher, dove negli anni '90 sono stati restaurati e riattivati per la produzione anche delle tipiche mécque, pani di segale e frumento arricchiti di fichi, castagne, noci, uvetta e, in epoca recente, anche di cioccolato e arachidi. Anche nella valle di Gressoney si contano a decine i forni restaurati: tra questi il forno Champsil, costruito dentro l'abside della cappella del villaggio, e quello di Ronche, installato sotto il livello stradale per risparmiarlo dalle valanghe.
    Tra le proposte per i visitatori c'è Graines de Culture, trekking alla scoperta di storie e sapori del Monterosa che fa conoscere la storia delle valli attraverso le architetture lasciate dal tempo, i borghi medievali, i castelli e i villaggi alpini. Per maggiori informazioni: visitmonterosa.com (ANSA).