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A Roma gli Impressionisti segreti

mostra Impressionisti segreti © ANSA

La vita vera che scorre davanti agli occhi e si ferma sulla tela, l'ossessione per l'en plein air, la luce brillante che comunica emozione, il pennello che procede vibrando per frammenti e piccoli tocchi: sono ben 55 i capolavori esposti nella mostra "Impressionisti segreti", che celebra a Roma l'apertura al pubblico, dopo un lungo restauro, di Palazzo Bonaparte, spazio Generali Valore Cultura. In programma dal 6 ottobre all'8 marzo, la mostra, a cura di Marianne Mathieu (direttrice scientifica del Muse'e Marmottan Monet di Parigi) e Claire Durand-Ruel (discendente del mercante d'arte Paul Durand-Ruel, primo sostenitore degli Impressionisti), ripercorre la storia di uno dei movimenti artistici piu' noti e amati di sempre attraverso quadri davvero "segreti", perche' tutti appartenenti a collezioni private e mai esposti in Italia.
Da Monet a Renoir, da Pissarro a Manet, e poi Sisley, Gauguin, Morisot, Ce'zanne: nel percorso le tele di questi maestri - luminose, sfumate, suggestive, tutte istantanee pittoriche del mondo di fine '800 - dialogano con gli stucchi, i preziosi pavimenti e le decorazioni barocche del meraviglioso Palazzo che fu residenza fino al 1836 di Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone. Come spiega la curatrice Mathieu, l'esposizione e' strettamente legata al luogo che la accoglie e "non verra' allestita altrove: qui abbiamo voluto sottolineare l'intimita' rivelata all'interno di questa residenza, proprio perche' le tele provengono da case private e appartengono a 25 collezionisti". Sono 4 le sezioni che compongono la mostra, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia: il percorso, che procede cronologicamente partendo dall'inizio del movimento, attorno al 1860, si apre con il focus sul paesaggio, elemento fin da subito centrale nella poetica dei pittori impressionisti, sempre attenti a intercettare sulla tela le vibrazioni atmosferiche e i passaggi della luce naturale mentre ritraggono il mondo circostante, abbandonando le vedute grandiose per privilegiare cio' che accade di fronte ai loro occhi. Via via si susseguono i dipinti di Monet, Sisley, Guillaumin, Pissarro, al quale e' dedicata un'intera sala, e Gauguin.
La mostra prosegue con le scene della vita parigina, con le strade, i viali, le persone affacciate al balcone, tra Gustave Caillebotte, Edouard Manet, Berthe Morisot ed Eva Gonzale's. C'e' anche una tela di Federico Zandomeneghi, unico italiano tra gli artisti presenti. Poi il percorso espositivo si concentra su Renoir e sulla sua produzione di ritratti, ai quali - sia quelli su commissione sia quelli in cui dipinge soggetti anonimi - egli conferisce la sua particolare cifra di grazia e naturalezza. Infine, spazio alla sezione dedicata al Neoimpressionismo, che documenta la nuova generazione di pittori pronta a farsi largo rispetto ai 'padri': un nuovo movimento, nato attorno a Paul Signac e Georges Seurat, caratterizzato da una pittura che privilegia il colore senza mescolarlo sulla tavolozza, ma stendendolo in pennellate minute, come tante piccole tessere di un mosaico.
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Al Maxxi l'uomo tra sacro e inquietudine

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C'è sempre l'uomo, con la tensione verso il sacro, l'inquietudine nei confronti dell'ignoto e il desiderio di andare oltre se stesso, al centro dei tre nuovi progetti che dal 17 ottobre prendono vita al Maxxi, la mostra "della materia spirituale dell'arte", il focus su Enzo Cucchi e il nuovo allestimento della collezione museale, tutti legati dalla comune riflessione sul senso dell'esistenza nella continua dialettica tra storia e attualità. Fino all'8 marzo è allestita la collettiva "della materia spirituale dell'arte", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, che riunisce le opere di 19 artisti contemporanei relazionandole con 17 reperti archeologici etruschi, romani e di produzione laziale, provenienti dai Musei Vaticani, dal Museo Nazionale Romano, dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e dai Musei Capitolini. Un percorso denso di suggestioni, che si interroga sulla sacralità, sui simboli, su ciò che è incomprensibile in un'epoca dominata dalla supremazia della macchina, ma anche su quali siano le assonanze e le differenze tra la sensibilità antica (i reperti risalgono a un periodo compreso tra l'VIII secolo a.C. e la fine del IV secolo d.C., ossia delle origini di Roma al momento in cui il Cristianesimo diviene religione di Stato) e quella del pensiero artistico contemporaneo. Partendo dalla materia e dalle singole, specifiche identità degli artisti, la collettiva allarga lo sguardo per includere la riflessione su mito, metafora, rito, oracolo, parole oggi forse desuete, ma ancora dense di significato: dall'armonia geometrica e metafisica di Remo Salvatori con il suo "Alfabeto" metallico all'arte partecipativa di Yoko Ono con "Add a color (Refugee Boat)", dalle mani in preghiera di Shirin Neshat alla riflessione sul tempo di Elisabetta Di Maggio con i vecchi francobolli di "Greetings from Venice", il percorso si rivela sorprendentemente ricco di spunti, tra corpo e anima, razionale e irrazionale. La mostra è stata fortemente voluta da Giovanna Melandri, presidente Fondazione Maxxi, che la definisce un vero "progetto di ricerca che contribuisce ad ampliare i confini di indagine del museo: in un mondo in cui parliamo di post-umano adesso ci interroghiamo su un'altra intelligenza, non artificiale ma spirituale", ricordando anche che l'idea è nata "da una conversazione avuta 4 anni fa con Lea Mattarella, a cui la mostra è dedicata". Come in una sorta di continuità si pone il focus su Enzo Cucchi (presente anche nella collettiva, con "Idoli e scopritori del fuoco"): nel progetto, allestito fino al 19 gennaio e a cura di Eleonora Farina, l'artista è protagonista con un'unica opera, una scultura in marmo, che ritrae un putto, al cui alluce appare aggrappato uno scorpione. Qui il gesto di Cucchi rielabora l'immagine classica del bambino nudo (che con i pugni chiusi sugli occhi mima il gesto del cannocchiale per "chiarire" la visione) in chiave contemporanea, mescolando arte e mito, sogno e mistero. La stessa tensione verso la dimensione spirituale, nella volontà di provare a decifrare le complesse sfide del presente, si ritrova infine, come a chiudere un cerchio, anche nel nuovo allestimento al centro della Galleria 1, che presenta opere di Stefano Arienti, Gregorio Botta, Paolo Canevari, Joan Jonas, Luca Nostri, Eduardo Stupía e un omaggio a Cristiano Toraldo di Francia. Ancora una volta il Maxxi vuole porsi nella città come centro culturale e laboratorio di idee, nella convinzione che proprio dall'arte possano venire opportunità per affrontare le sfide del presente. Una sorta di avamposto del futuro, come dimostra anche la partnership siglata dal museo con Inwit, leader per le infrastrutture della telefonia mobile: da oggi infatti il Maxxi è la prima struttura museale italiana ad avere l'impianto DAS (Distributed Antenna System), un sistema di micro antenne a bassa emissione collocate nelle sale espositive e negli spazi ricettivi che non solo migliorerà il servizio di telefonia mobile dei vari operatori ma renderà nel prossimo futuro il museo "5G ready", predisposto cioè per servizi come realtà aumentata e guide virtuali, per interagire con le opere e con gli artisti e approfondire l'esperienza di visita
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Cappella Sindone Premio Europa Nostra

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(ANSA) - TORINO, 30 OTT - A poco più di un anno dalla riapertura, il recupero della Cappella della Sindone di Torino riceve a Parigi il prestigioso Premio Europa Nostra 2019 per la Conservazione. Indetto da Commissione Europea e Europa Nostra, principale rete per il patrimonio culturale che ogni anno celebra e promuove l'eccellenza nel campo del patrimonio artistico, viene ritirato al Théâtre du Châtelet, alla presenza del Commissario Europeo Tibor Navracsics, dalla direttrice Enrica Pagella e dalla direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.
    Capolavoro barocco di Guarino Guarini, il recupero della Cappella della Sindone - gravemente danneggiata da un incendio nell'aprile 1997 - ha visto alternarsi tre diversi cantieri nell'arco di vent'anni. Oggi è uno dei gioielli barocchi più visitati. In occasione della cerimonia di premiazione verrà svelato anche il vincitore della categoria Public Choice Award, in cui la Cappella della Sindone è stata inclusa e che nei giorni della votazione ha conosciuto un imponente sostegno.(ANSA).


Belize, la Terra "soffre" già dai tempi dei Maya


I Maya hanno dovuto affrontare importanti pressioni ambientali, compreso l’innalzamento del livello del mare, da 3.000 a 1.000 anni fa, e la siccità da 1.200 a 900 anni fa
Belize, maya, America centrale

fonte: turismo.it
PERCHE' SE NE PARLA
Già da qualche tempo si parla di come l’Antropocene, l’era geologica caratterizzata da significativi impatti dell’uomo sul territorio e il clima, sia partita molto prima di quanto pensassimo. Una ulteriore conferma è arrivata pochi giorni fa: l'ultima ricerca a disposizione è stata condotta nella zona paludosa del Belize, su 250 chilometri quadrati, tramite immagini laser ad alta precisione. Il lavoro ha studiato l'area e i sistemi di canali utilizzati dai Maya per l’agricoltura, per i trasporti e per il commercio. Metodi, questi, che hanno probabilmente inciso sull’innalzamento del livello del mare e sulla siccità.

I Maya hanno dovuto affrontare, infatti, importanti pressioni ambientali, compreso l’innalzamento del livello del mare nei periodi Preclassico e Classico, da 3.000 a 1.000 anni fa, e la siccità da 1.200 a 900 anni fa. Il lavoro svolto dal team di specialisti dimostra che tale popolo ha risposto a tali pressioni convertendo le foreste in campi paludosi e scavando canali per la gestione dell’acqua.

PERCHE’ ANDARCI 
Nel Belize, il Paese affacciato sul mar dei Caraibi, si possono esplorare giungle lussureggianti con animali esotici e praticare attività sportive quali pesca d'altura, nuoto, snorkeling e immersioni. Si tratta di uno dei Paesi con il più alto tasso di biodiversità grazie alla conservazione delle sue risorse naturali: oltre il 90% del territorio è ricoperto da foreste incontaminate e protetto da una delle barriere coralline più belle al mondo. Circa il 40% del territorio, inoltre, è coperto da riserve di vario tipo, per un totale di 94 aree protette, compresi 16 parchi nazionali. 

DA NON PERDERE
Da un punto di vista archeologico, invece, Xunantunich è uno dei siti più interessanti, costruito dalla civiltà Maya, a 130 km da Belize City. Il suo nome significa donna di pietra nella lingua Maya, e fa riferimento al fantasma di una donna dagli occhi infuocati, che sembrerebbe abiti nel sito sin dal 1892. Molte delle strutture vennero costruite tra il 200 e il 900 e furono danneggiate da un terremoto, che probabilmente causò l’abbandono della zona. Conta ben 26 templi e palazzi, ma la piramide conosciuta come El Castillo è la struttura principale: la seconda più alta del Belize, dopo il tempio di El Caracol, con i suoi 40 metri d’altezza. 

PERCHE’ NON ANDARCI 
E’ fortemente sconsigliato recarsi nelle zone a ridosso del confine con il Guatemala, dove si sono verificati negli ultimi anni scontri a fuoco. È in ogni modo sempre opportuno aggiornarsi localmente sulla situazione della sicurezza.

COSA NON COMPRARE 
Molto particolari le penne dal design maya e le stoffe ipercolorate. E poi ancora piccole borse in tessuto, cimeli tribali e grandi conchiglie. Tra le cose più brutte da comprare, i bicchierini per l'alcol con la mappa geografica.