“I rischi del turismo cellulare”


31 ottobre 2010 - Leggende e verità. Miti e studi. Le cellule staminali da anni sono al centro di un dibattito che corre sul filo sottilissimo che intreccia argomentazioni che riguardano etica e scienza, realtà e probabilità.

Cellule e rigenerazione dei tessuti rappresentano temi affrontati su più fronti e da più parti, ma ancora lo scenario – per molti versi – resta oscuro. Articoli di cronaca che gridano alle “terapie del futuro”, relazioni scientifiche pubblicate su riviste internazionali che invitano a essere cauti, tavole rotonde che annunciano e poi smentiscono “risultati promettenti”, “passi in avanti”. Occorre fare chiarezza su cosa è stato fatto e cosa si può fare oggi con le cellule staminali. Occorre ricostruire una verità che abbia fondamenti oggettivi, scientifici, rigorosi.
A illustrare quali sono le nuove frontiere della ricerca e della medicina applicata, che vanno in questa direzione, è stato il prof. Giuseppe Remuzzi – direttore dell’Istituto Mario Negri e direttore del Dipartimento di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedali Riuniti di Bergamo – uno degli scienziati maggiormente stimati a livello mondiale in ambito nefrologico, presente questa mattina a Catania grazie all’invito di Giorgio Battaglia, direttore Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi del presidio di Acireale e consigliere nazionale della Società italiana di Nefrologia.
Un momento di confronto, patrocinato dalla facoltà di Medicina e Chirurgia e moderato dal giornalista Luigi Ronsisvalle, che ha visto – al Collegio d’Aragona – la partecipazione del direttore generale Asp Giuseppe Calaciura e del preside della facoltà, prof. Francesco Basile.
LECTIO MAGISTRALIS – COLLEGIO D’ARAGONA (CATANIA)
Secondo il prof. Remuzzi i risultati prodotti dalle ricerche sulle cellule staminali adulte sono forse eccessivamente enfatizzati, poiché «gli studi sono stati effettuati prevalentemente sugli animali, anche se qualcuno le cellule le ha impiegate nell’uomo per le malattie del cuore, ancora prima di sapere se, come e perché funzionano e per quale tipo di malattia. Sperimentazione dove, d’altra parte, almeno per quanto riguarda la terapia cellulare nelle malattia del sistema nervoso, i dati più incoraggianti non sono con le cellule staminali adulte, ma con cellule embrionali che al contrario delle adulte danno davvero origine a tutti i tipi di tessuto.
Un giorno, probabilmente (e ce lo auguriamo tutti) le cellule staminali serviranno per curare diabete, Alzheimer, Parkinson, lesioni del midollo spinale, malattie rare. E forse con le cellule si potranno riparare i danni al cuore, al rene, al fegato. Questo, però, oggi riguarda solo la teoria, perché nella realtà tutto è molto più complesso di come può sembrare. Oggi, dunque, cosa si può davvero curare con le staminali? Due cose: le malattie del sangue e certe malattie rare del sistema immune, le immunodeficienze primitive. E poi si possono riparare pelle e cornea.

C’è chi, in Germania, Inghilterra, Francia, Italia, Usa e Giappone lavora per riparare il cuore dopo l’infarto, ma i risultati fino ad oggi sono deludenti. Per le altre malattie in Europa e negli Stati Uniti con le cellule si fa soprattutto ricerca non per curare per adesso ma piuttosto per capire (quali cellule usare, per quali malattie, quante devono essere e dove si devono mettere).

Si tratta anche di stabilire se questi trattamenti sono abbastanza sicuri – safety dicono gli anglosassoni – da poter diventare una cura. In Europa e negli Stati Uniti gli ammalati devono essere informati del fatto che per adesso centinaia di studi avviati servono solo per capire. Di efficacia ne potremo parlare solo più avanti. E serve l’approvazione di autorità regolatorie (per noi è l’Istituto Superiore di Sanità) che valutano tutto quello che si vuole fare in ogni dettaglio, dal disegno dello studio alla preparazione delle cellule (se non sono “pure” o non sono state manipolate a regola d’arte le cellule trasmettono infezioni e tumori). Ma nessuno può impedire agli ammalati di andare all’estero e farsi curare dove non ci sono regole. Lo chiamano “turismo delle cellule” (è il titolo di un World Report – notizie dal mondo – del Lancet) di solito sono medici che lavorano in paesi emergenti o addirittura poveri dove la ricerca clinica non ha vincoli e si può fare più o meno quello che si vuole senza aspettare i risultati degli studi fatti con i criteri della scienza.

Mentre in qualche paese dell’Europa – ma soprattutto in Italia – si discute se le cellule debbano essere embrionali o adulte, in Asia le cliniche che promettono miracoli con le cellule sono sempre di più. C’è niente che si può fare per evitare che questi gruppi vadano troppo avanti?

«Giornali e televisione possono fare tanto – continua Remussi – anche gli scienziati possono fare molto: preparare documenti sui requisiti minimi per l’impiego delle cellule da far conoscere ai governi, ai giornalisti e alla gente. Forse è venuto il momento che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità prenda una posizione chiara perché la gente sappia quali malattie si possono davvero curare oggi con le cellule e per quali invece ci sono prospettive interessanti ma niente che possa curare o guarire. Lo si deve fare subito per evitare il fai-da-te: si rischia che effetti negativi anche gravi e frodi finiscano per offuscare le grandi potenzialità di questi trattamenti. Anche gli ammalati devono fare la loro parte. Oggi con le cellule per riparare organi e tessuti e curare la sclerosi multipla siamo al punto in cui si era quarant’anni fa col trapianto di midollo per la leucemia. Per quanto avanzatissime queste ricerche sono “in fasce” rispetto alle loro potenzialità, hanno bisogno di essere protette, proprio come si fa con un bambino appena nato.

E’ venuto il momento di vedere cosa si può fare davvero con le cellule e con quali cellule e di separare la realtà di oggi da speranze e da falsi miti che si stanno diffondendo attorno alle cellule come panacea per ogni male. Forse la terapia con le cellule in futuro sarà parte integrante del saper curare le malattie o forse no. Intanto dobbiamo continuare a studiare. Per ora è un problema di ricerca, anche se nei prossimi anni saranno sempre di più i medici che si accosteranno al mondo delle cellule. E lo dovranno fare con spirito critico, imparando quali sono i limiti dell’impiego di tali cellule, prima ancora che i possibili vantaggi per gli ammalati».
Il fronte sul quale è maggiormente impegnato il prof. Remuzzi – insieme al suo staff – è quello della ricerca di nuove cure per rallentare la progressione delle malattie renali e ritardare o evitare del tutto il ricorso alla dialisi, e quello dello studio dei meccanismi del rigetto del trapianto. La sfida più stimolante riguarda la riparazione di organi e tessuti con le cellule staminali, quelli su isole pancreatiche e organi artificiali.
«Il trapianto – conclude il luminare – è il modo migliore per sostituire la funzione di organi vitali quando sono danneggiati in modo grave e irreversibile e le terapie mediche non sono più efficaci o sufficienti. Per quanto riguarda il rene, il “nuovo” organo può essere prelevato da un donatore cadavere o provenire da un donatore vivente consanguineo o non consanguineo. Il trapianto di rene è il trattamento scelto per la maggior parte delle patologie renali allo stadio finale, e quando ben riuscito, assicura una qualità di vita migliore rispetto a quella che si può avere con la dialisi. Tuttavia, i benefici ottenuti col trapianto possono essere resi nulli dall’effetto dell’immunosoppressione (cioè le reazioni di rigetto). Insegnare all’organismo ad accettare l’organo come se fosse proprio, diminuendo e addirittura eliminando la fase di rigetto, è un urgente obiettivo da raggiungere».

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