Lo chiamano “festival” e in effetti ha tutte le caratteristiche di una kermesse coinvolgente fatta di concerti, feste, incontri programmati e casuali, e mostre naturalmente (a decine nel circuito ufficiale, a centinaia in quello Off). Il tutto spalmato in spazi prestigiosi del centro storico, ma anche in luoghi occasionali, come case private o negozi. Reggio Emilia in questi giorni è totalmente coinvolta in questofestival che è Fotografia Europea (sedi varie, sino al 10 luglio). La manifestazione (catalogo Silvana), giunta alla sua undicesima edizione, è curata da Diane Dufour, Elio Grazioli e Walter Guadagnini, e ruota attorno al tema “La via Emilia. Strade, viaggi, confini” nella sua accezione più ampia. Vuole infatti offrirsi come riflessione che, partendo dall’antica arteria romana, intende approdare alle vie del mondo contemporaneo, ai luoghi di transito e di confine, alle nuove frontiere geografiche e sociali.
L’indagine si collega, a trent’anni di distanza, alla storica mostra “1986. Esplorazioni sulla via Emilia”, curata da Luigi Ghirri, che segnò un ripensamento della rappresentazione del territorio, ma anche del linguaggio della fotografia e della figura dell’autore. Quella esposizione viene ora rievocata, a cura di Laura Gasparini, con una selezione di opere esposte in quella occasione di fotografi quali, oltre a Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Vittore Fossati, Guido Guidi, Mimmo Jodice. Il clima culturale dell’epoca in cui è maturato il loro lavoro di ricerca, iniziato nel 1984, sull’emergenza della scomparsa graduale del paesaggio, della forte urbanizzazione, dell’inquinamento e della cementificazione che produce la perdita di identità dei luoghi stessi e delle comunità che vi abitano, è documentato attraverso numerosi materiali storici, dal catalogo alle maquette di preparazione, ai provini a contatto. La via Emilia divenne un paradigma di esplorazioni territoriali che da quel momento non si realizzarono più attraverso la riproposizione dei luoghi più noti e diventata un’altra cosa.
All’epoca era una delle arterie fondamentali del nord Italia, oggi è una strada quasi secondaria, scelta per spostamenti brevi, verso la quale il grande traffico ha voltato le spalle in favore della viabilità autostradale e dell’alta velocità ferroviaria. Dunque, quella che non più di qualche decennio fa era il simbolo della struggente orizzontalità e laboriosità della Pianura padana, ora pare poco più di un asse di collegamento di quella che può essere considerata una unica grande città che va da Piacenza a Rimini. Questa nuova situazione è oggetto della mostra “2016. Nuove esplorazioni”, a cura di Dufour, Grazioli e Guadagnini i quali hanno inteso prendere le mosse dalla valutazione su cosa avesse significato il progetto di Ghirri del 1986 all’interno della cultura fotografica del periodo e quale rapporto esso potesse avere con la realtà odierna.
E siccome è una realtà in continua mutazione, richiede un linguaggio fotografico elastico e duttile che sia capace di portare a sintesi immagini provenienti dai più diversi ambiti, create con gli strumenti più differenti, composte secondo le più diverse modalità. Così che anche là dove la fotografia sembra rispondere alla sua vocazione più documen-taria, o comunque di prelievo dal reale, questa possibilità viene messa immediatamente in discussione attraverso strategie che vanno dall’intervento surreale di Alain Bublex alla narratività straniata di Antonio Rovaldi, agli assemblaggi di Lorenzo Vitturi, passando attraverso la memoria di Sebastian Stumpf, in un continuo gioco di spiazzamenti e suggestioni. Allora la via Emilia da oggetto di ripresa diventa soggetto di azione, protagonista di un viaggio sorprendente, tra realtà e immaginazione, tra documentazione e invenzione come capita con i lavori di Stefano Graziani, di Davide Tranchina o di Paolo Ventura.
Avvenire
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