Il Giapponismo in mostra


(di Luciano Fioramonti) (ANSA) - ROMA, 30 AGO - L'arte occidentale della seconda metà dell'Ottocento aveva bisogno di una scossa per scoprire strade e stimoli espressivi nuovi. Non la trovò dentro i confini della vecchia Europa ma guardando all'Oriente. Ad accendere la miccia fu il trattato tra Gli Stati Uniti e il Giappone firmato nel 1858 che aprì agli scambi commerciali. Da quel momento il panorama culturale fu contagiato da un modo di decorare e rappresentare la realtà che investì schemi, modelli e consuetudini consolidate da secoli. Nel 1862 la Fiera mondiale di Londra ospitò il debutto ufficiale della produzione artistica proveniente dal Sol Levante. A quella moda, destinata a condizionare la scena per oltre mezzo secolo, Rovigo dedica la mostra "Giapponismo, Venti d'Oriente nell'arte europea. 1860 - 1915", curata da Francesco Parisi, dal 28 settembre prossimo al 26 gennaio 2020 a Palazzo Roverella.
    Il racconto si sviluppa attraverso 250 opere - incisioni, dipinti, ceramiche, bronzi, libri, manifesti - affiancando originali e derivati, opere scelte fra quelle che giungendo dal Giappone furono al centro di passioni e studi in Europa accanto ai lavori degli artisti che subirono gli effetti di questi "reperti". L'interesse verso il nuovo mondo espressivo cominciò a diffondersi grazie alle xilografie usate per proteggere vasi e ceramiche, fogli che "erano spesso i celebri manga di Hokusai o stampe brillanti di Utamaro e Hiroshige che tanta influenza ebbero sugli Impressionisti fino alle Secessioni di Vienna e Monaco per concludere il loro ascendente con i bagliori della Grande Guerra trasformandosi in un più generico culto dell'oriente nel corso degli anni Venti e Trenta del Novecento".
    E' un percorso che si snoda in quattro sezioni come le Esposizioni Universali che in quello scorcio di secolo "contribuirono, grazie alla presenza dei padiglioni giapponesi, a svelare ed amplificare il nuovo che giungeva da così lontano, da quel luogo misterioso e magico". Dopo Londra, seguirono Parigi nel '67 e nel '78 (quest' ultima fece diventare popolare il ventaglio decorato), fino all'esposizione del cinquantennale dell'Unità d'Italia del 1911 che esercitò una vasta influenza su molti giovani artisti. Accanto ai capolavori di Gauguin, Touluse Lautrec, Van Gogh, Klimt, Kolo Moser, James Ensor, Alphonse Mucha ecco le tendenze giapponiste nelle opere degli inglesi Albert Moore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; degli italiani Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti con il suo capolavoro "La raccolta delle zucche"; e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Emile Gallé; i belgi Fernand Khnopff e Henry Van De Velde.
    Fu proprio la Francia la culla della nuova moda dell'arte che coinvolse "dapprima la ricca borghesia internazionale, ma soprattutto due intere generazioni di artisti, letterati, musicisti e architetti, trovando via via sempre più forza con l'innesto della nascente cultura Liberty e modernista, sempre più attenta ai valori decorativi e rigorosi dell' arte giapponese". A dare un impulso decisivo fu il mercante d' arte Samuel Bing, che intorno al 1860 aveva fondato a Parigi una società per il commercio di opere d' arte, importate in particolare proprio dal Giappone. Il suo padiglione, nella Esposizione del 1867, ottenne un premio speciale. Le opere orientali antiche e moderne che aveva fatto conoscere influenzarono fortemente molti esponenti dell' Impressionismo.
    Nel 1888 Bing fondò la rivista "Le Japon artistique" - in mostra l' edizione di lusso - e nel 1895 aprì la galleria-negozio "L' Art Nouveau", da cui prese il nome il movimento artistico di fine secolo. L' appuntamento di Rovigo è la prima mappatura delle tendenze giapponiste che poi si affermarono in Germania, Olanda, Belgio, Austria, Boemia, Italia e affronta la pittura e la grafica abbracciando architettura, arti applicate, illustrazioni, manifesti, arredi. Un insieme caratterizzato dalla tavolozza di colori vivaci, figure e natura presi in prestito dalle stampe giapponesi. Musei importanti hanno dato un contributo rilevante, dalla Tate Gallery al Museo di Arti Decorative di Parigi, che ha concesso un vaso bellissimo di Gallé, tra i vertici della giapponistica francese. L' Oriente lasciò la sua impronta anche sulla musica. Giacomo Puccini compose tra il 1901 e il 1903 la "tragedia giapponese" Madama Butterfly, rappresentata per la prima volta alla Scala nel 1904 e pubblicizzata dal celebre manifesto firmato da Leopoldo Metlicovitz, uno dei grandi pionieri della cartellonistica, con l' immagine di una geisha di spalle su uno sfondo di ciliegi in fiore. (ANSA).

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