Turismo: decalogo della ripartenza per operatori

Non avere fretta, non "ospedalizzare" la vacanza e al bando i messaggi troppo positivi alla #andràtuttobene. La drammatica fase che l'industria turistica nazionale sta vivendo - ma non solo quella nazionale - porta molte destinazioni turistiche ad agire in maniera affrettata, basando le proprie scelte di comunicazione e marketing sulla necessità di dare una risposta più interna (quindi agli operatori della filiera turistica) che non esterna (quindi ai mercati ed ai clienti), correndo quindi il rischio di usare linguaggi, tempi e strumenti errati. In questa difficile fase tutte le destinazioni - nessuna esclusa

- deve considerare alcuni elementi sui quali fondare le proprie
riflessioni. Innanzitutto non vi sono riscontri storici di riferimento, in quanto non si sono mai manifestate situazioni che hanno avuto la stessa negativa incidenza sul sistema turistico. Poi il settore turistico non è stato solamente il primo ad entrare nella spirale della crisi, ma sarà anche l'ultimo ad uscirne, in quanto le condizioni che limitano gli spostamenti delle persone non si basano solamente su fattori strutturali (contrazione economica, riduzione dei sistemi di mobilità, etc.) ma anche su un'inquietudine che genera mancanza di sicurezza (ipocondria, agorafobia, etc.), che non finirà col termine del lockdown. Infine la validità delle rilevazioni sulle tendenze della clientela - effettuate in questi giorni - è pressoché nulla: per avere a disposizione dati validi, quindi non condizionati dalla situazione contingente, occorrerà attendere almeno 15 giorni dopo il termine del lockdown e in questo scenario, cambierà anche la spinta motivazionale che stimolerà i nostri connazionali - ed anche gli stranieri - a decidere se e come trascorrere un periodo di vacanza. Ecco il decalogo degli esperti di Jfc che si occupa di marketing turistico:

- delineare, con le associazioni e gli operatori della filiera
turistica, un unico topic di comunicazione per tutta la destinazione e gli operatori;

- attivare - dal giorno successivo al termine del lockdown -
una campagna di comunicazione di "avvicinamento" alla clientela fedele ed una reale vicinanza di "sentimenti";

- evitare, in questa fase, proposte e stimoli commerciali,
puntando invece alla ri-attivazione della relazione e di un clima di fiducia con la clientela (con l'utilizzo prevalente degli strumenti digitali);

- evitare altresì messaggi troppo positivi (come "andrà tutto
bene") e fare attenzione alla comunicazione interna troppo negativa, generata dal sentiment degli operatori locali (che circola velocemente in rete);

- avviare, non prima di 15/20 giorni dall'inizio della fase 2,
azioni di riposizionamento sul mercato, puntando a valorizzare al massimo le opzioni legate alla possibilità di trovare spazi "personali ed individuali" ed alle eccellenze del territorio;

- evitare, in questa fare, di stimolare gli ospiti con
agevolazioni, sconti, promozioni, che verrebbero viste come azioni di "svendita" del servizio e della destinazione, abbassando la brand equity;

- lasciare ai singoli operatori la possibilità di ospitare
medici ed infermieri impegnati nell'emergenza: non è, questo, un tema sul quale costruire una campagna di comunicazione post covid-19;

- mai usare termini sanitari nella comunicazione turistica:
nessuno è interessato a soggiornare in una località-ospedale, ma tutti vogliono poter non pensare al covid-19, tantomeno in vacanza;

- usare, al contrario, termini legati alla sicurezza (anche
sanitaria), alla salubrità, alla sostenibilità, etc.;

- predisporre un Crisis Exit Plan, nel quale vengono delineate
le azioni necessarie da attuare nei vari step, con validità ben oltre la fase 2 e cadenzate sino all'estate 2021. (ANSA). 

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