AGI - “Ha qualche preferenza per il gin?” Non è affatto infrequente, quando si ordina un Gin Tonic, che il cameriere rivolga questa domanda. Ciascuno ha la sua etichetta preferita e ogni etichetta ha, di conseguenza, il suo gusto. Ma è ancora così? Oggi c’è una tale “esplosione di versioni e tendenze” che “ha di fatto svuotato la semplicità di un grande classico”, sentenzia il Gambero Rosso.
Ora come ora, il G&T è senza dubbio uno dei drink più in ascesa del momento, con un proliferare di Gintonerie o GinTonicherie che dir si voglia, locali che hanno un’ampissima selezione di Gin, che servono le “centinaia” di nuove etichette che nascono ogni anno con aromi e botaniche tra le più svariate e presentate “con garnish di tutti i tipi”.
Tant’è che se fino a trent’anni fa il Gin Tonic “era un drink da battaglia”, da consumare in discoteca “senza tante pretese”, a partire dagli anni ’90 “qualcosa è cambiato” in seguito alla nascita dei Contemporary Gin, termine con cui si indicano tutti quelli che “usano botaniche non tradizionali”, una tendenza che sempre di più è divenuta sinonimo di territorialità.
Al punto tale che solo in Italia ci sono circa 140 distillerie attive a fronte di una stima che parla di “almeno un migliaio di etichette” di gin sul mercato con diffusione almeno regionale. E non si contano, poi, le etichette di gin fatte una tantum per bar, associazioni, ristoranti. Una vera e propria effervescenza produttiva che fa sì che se il gin sta vivendo oggi il proprio “rinascimento”, ma il suo stesso successo ne sta decretando anche la fine.
Un paradosso, secondo il raffinato mensile enogastronomico: “C’è una superfetazione che non corrisponde più a metodi di produzione differenti, a scelte di impresa particolari, a filosofie di vita e di bevuta che raccontano chi produce”. Insomma, non si fanno più gin a misura di consumatore, bensì tagliati su imprenditori che vogliono un gin che “li rappresenti”: “Il produttore è uno solo, i marchi sono diversi” ma la maggior parte dei nuovi prodotti immessi sul mercato “è figlia di idee di marketing, prodotti realizzati da contoterzisti, spesso creati a centinaia di chilometri di distanza dal luogo la cui territorialità è vantata in etichetta”, precisa il giornale. Tant’è che “ci sono anche diversi gin distillati all’estero che però comunicano in modo esplicito la loro italianità” confondendo così il consumatore. “È possibile dichiarare di aver utilizzato limoni di Amalfi in etichetta anche soltanto aggiungendone uno per 1.000 litri di Gin e per il resto affidandosi a un qualsiasi prodotto a costi minimi”, accusa il Gambero Rosso.
Ecco perché la domanda iniziale del cameriere (“Ha qualche preferenza per il Gin?”) è anacronistica se non inutile. Come a dire: un gin oggi vale l’altro. Da cui anche la decretata “fine del G&T”.
Ed ecco anche il perché sono lontani i tempi dell’aforisma coniato da Winston Churchill secondo cui “il gin&tonic ha salvato più vite e menti di quanto non abbiano fatto i medici”. Ma potrebbe non esser più così.
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