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L'arte del vetro, la 'contaminazione' tra Murano e l'America 155 pezzi in mostra alla Fondazione Cini a Venezia

 

VENEZIA - "Nell'arte contemporanea fortunatamente non ci sono ancora frontiere e non si sa in quale campo cada il seme" dice Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte della Fondazione Cini, e il "seme" dell'arte vetraria muranese da oltre mezzo secolo ha trovato terreno fertile in terra americana, dando vita a un incontro-confronto che, nel campo della produzione e delle tecniche usate per lavorare il vetro, con spinte innovative e nuove direzioni di ricerca, ha dato frutti eccellenti. A testimoniarlo è la mostra "Venezia e lo Studio Glass americano", curata da Tina Olknow e William Warmus, promossa dalla stessa Cini e da Pentagram Stiftung, all'isola di San Giorgio, a Venezia, dal 6 settembre al 10 gennaio (catalogo Skira).

L'esposizione, che riunisce 155 pezzi - tra vasi, sculture e installazioni in vetro - realizzati da 60 artisti americani e veneziani, è il diciottesimo capitolo del progetto "Le stanze di vetro" che da anni indaga sui diversi aspetti, momenti, tendenze dell'arte vetraria, con particolare attenzione sul '900 a Murano, dove il settore del vetro sta attraversando un momento difficile. Alla Cini c'è un Centro Studi sul vetro che ha un patrimonio di oltre 150mila documenti, tra foto, disegni, album, progetti ed altro provenienti da più archivi e gli archivi - a dirla con Barbero - "sono sorgenti, non depositi, da cui far sgorgare nuova cultura".

La mostra - suddivisa in più sale tematiche, dai "Pionieri americani" che per primi frequentarono Murano per produrre opere originali in vetro, come Mark Tobey o Thomas Stears, fino a "L'invenzione del XXI secolo", con artisti del vetro che affrontano tematiche come l'ambiente o i problemi razziali - testimonia quel concetto di "contaminazione tra due mondi così diversi e distanti" creato dalla ricerca, dal lavoro, dalle tecniche, dagli usi comuni attorno a vetro. È una proposta che punta l'attenzione soprattutto su come le nuove tendenze statunitensi legate al movimento Studio Glass dagli anni '60 e ancora attive - con personalità come Dan Chihuly e Benjamin Moore, da Richard Marquis a Toots Zynski o Philip Baldwin e Monica Guggisberg, a titolo di esempio - abbiano guardato a Venezia, frequentando le fucine in laguna, e su come maestri muranesi - da Lino Tagliapietra a Pino Signoretto - nel contempo abbiano trovato negli Stati Uniti un terreno fertile per rinnovare "la vivacità di un linguaggio storico artigianale" del vetro.

Di particolare impatto, non solo visivo, la spettacolare e gigantesca opera di Chihuly, Laguna Murano Chandelier, formata da cinque elementi di grandi dimensioni realizzata a Murano nel 1996 insieme a Signoretto e Tagliapietra. Sono tutti elementi scultorei che rimandano alla laguna di Venezia. Simbolo quasi di quella "collaborazione e contaminazione" tra artisti americani e maestri veneziani nel vetro americano contemporaneo. Sul piano delle opere realizzate, per le dimensioni e i soggetti trattati, la "scuola" d'oltreoceano sembra esprimere sullo sfondo un senso di leggerezza, di divertimento, che idealmente sembra confrontarsi, ma non contrapporsi, al rigore di certe forme di Carlo Scarpa o Napoleone Martinuzzi.

ansa