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Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con Nespoli, Battiston e Prina

La Terra fa da sfondo a “Envisat”, il più grande satellite europeo

da Avvenire

Parla Roberto Battiston, che sarà ospite al Rimini: grazie ai satelliti possiamo controllare fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione o la formazione di campi profughi

Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con tre protagonisti quali Roberto Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, l’astronauta Paolo Nespoli e l’ingegnere aerospaziale Mauro Prina. Tematiche scientifiche saranno affrontate anche con la mostra “What’s in our brain? La meraviglia del cervello umano”, a cura dell’Associazione Euresis & Camplus, che offrirà un percorso alla scoperta delle meraviglie del nostro cervello e del suo funzionamento, secondo quanto la scienza ad oggi è riuscita a comprendere; “Vicino a chi soffre, insieme a chi cura. Storia dell’oncologia, storia di persone”, mostra proposta da Ior a cura di Fabrizio Miserocchi e Roberto Gabellini in occasione dei 40 anni dell’Istituto Oncologico Romagnolo; “L’uomo all’opera. La grandezza del costruire”, esposizione a cura di Riccardo Castellanza, Luigi Benatti, Francesca Giussani, Paolo Morlacchi, Martino Negri, Fabio Tradigo e Maddalena Sala.

Dopo cinquant’anni, dove sono le colonne di Ercole che l’umanità è chiamata ad oltrepassare, per migliorare sé stessa e il pianeta che popola? Quale «piccolo passo» occorre muovere, perché compia il «grande balzo»? La Nasa, pur guardando a Marte come meta a medio-lungo termine, lavora allo sviluppo di una base cislunare che lasci aperta ogni altra possibile destinazione. La Luna potrebbe diventare destinazione di colonie permanenti o, addirittura, di localizzazione di attività industriali, tese allo sfruttamento delle risorse locali, destinate poi a sostenere la logistica di una futura esplorazione del sistema solare. Al di là delle implicazioni politico-economiche, lo spazio è l’ambito in cui la scienza è alla ricerca del legame tra il microcosmo delle particelle elementari e il macrocosmo dell’universo attuale. Osservare la Terra dallo spazio, studiare i pianeti di questo o altri sistemi solari, può aiutare enormemente ad abitare meglio questo nostro mondo. Spiega Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana e recentemente inserito nella “Hall of fame” destinata alle figure più autorevoli del settore spaziale: «Lo spazio è nella nostra quotidianità a tal punto che tendiamo a dimenticarlo. Ci garantisce una serie di servizi, e lo fa a standard di efficienza estremamente alti, che diamo scontati. Pensiamo al Gps: altro non è che una costellazione di ventiquattro satelliti, che fornisce senza sosta un segnale che ci posiziona e guida attraverso i telefoni cellulari. Dunque, lo spazio è nelle nostre tasche. La questione è piuttosto un’altra.

I costi dell’accesso allo spazio e del relativo sfruttamento? 
Esatto. Oggi i primi stadi dei lanciatori vengono sempre più spesso recuperati e riutilizzati con un risparmio economico che può giungere al 40%; solo fino a qualche anno fa, i lanciatori andavano invariabilmente perduti, dopo la messa in orbita dei satelliti. Questo comporta una importante riduzione di costi che certamente apre a nuovi tipi di utenze.

Durante la sua presidenza all’Asi, lei si è molto speso allo sviluppo dei minisatelliti, destinati ad imprimere una svolta epocale nel modo di guardare alle stelle. Perché popolare l’orbita terrestre di oggetti con massa inferiore a 150 chilogrammi è preferibile a pochi grandi satelliti estremamente performanti? 
Analogamente all’elettronica, si pensi ai pc o ai cellulari, teniamo tra le mani oggetti sempre più piccoli e sofisticati, e, paradossalmente, anche più economici. Allo stesso modo, una costellazione di piccoli satelliti permette un monitoraggio della Terra continuo e preciso; oggi tutta la superficie della terra viene fotografata una volta al giorno. Una simile frequenza si traduce in informazioni accuratissime, non disponibili solo cinque anni fa.

Lei ha usato l’espressione «spazio sartoriale »: si riferisce all’impiego di minisatelliti tarati su esigenze e scopi della committenza? 
Satelliti su misura sono oggi alla portata di imprese e istituzioni di dimensioni medio-piccole. Il costo di una costellazione di cento nanosatelliti in grado di garantire la mappatura quotidiana terrestre, si aggira intorno a dieci-quindici milioni di euro, messa in orbita inclusa, con un ritorno economico che supera – a breve termine – l’investimento. L’aumento di nanosatelliti introduce problematiche con cui dobbiamo imparare a confrontarci. Ad esempio, evitare di disperdere irresponsabilmente spazzatura che ricordi il nostro passaggio, educandoci al concetto di “ecologia spaziale”. Lo spazio è utile fino a che è sufficientemente vuoto da non comportare pericoli per i satelliti che lo popolano.

Proviamo ad elencare solo alcune applicazioni: monitoraggio di inquinamento ambientale, emissione e distribuzione di gas serra nell’ atmosfera, sicurezza delle frontiere, contrasto alla pirateria marina… 
Ad esempio, i satelliti possono facilmente identificare imbarcazioni non cooperative, ovvero che non emettono il corretto segnale radio identificativo; questo rappresenta uno strumento utilissimo di contrasto alla pirateria marina. I satelliti radar riescono a osservare anche di notte e attraverso le nuvole, condizioni spesso utilissime per interventi in emergenza, quando si tratta di portare soccorsi in zone colpite da calamità naturali. Grazie ai dati spaziali, relativi a direzione e velocità di venti e correnti, è possibile minimizzare il percorso di grandi bastimenti, riducendo i volumi di combustibile consumati.

Spostandoci in ambito agricolo: dallo spazio – a costi molto contenuti – si può valutare il rendimento dei campi, metro quadro per metro quadro, così da programmare irrigazione, concimazione e semina in modo ottimale. 
La produzione agricola e la filiera del cibo sono le principali industrie mondia-li, da cui dipende il futuro del pianeta e la relativa stabilità politica. L’osservazione sistematica del suolo dallo spazio permette di ottimizzare irrigazione e concimazione e ridurre la necessità di fertilizzanti. Decine di migliaia di agricoltori utilizzano già oggi questo tipo di informazioni con costi assolutamente irrisori rispetto al guadagno economico-ambientale. Essendo poi prevedibile il raccolto con mesi di anticipo, è possibile scegliere su quali colture “investire” in un determinato appezzamento. Lo strumento satellitare contribuisce, dunque, significativamente al migliore rendimento delle risorse, sempre più scarse con l’attuale crescita demografica. Strettamente collegato a questo tema è il monitoraggio del cambiamento climatico e delle misure di contenimento delle emissioni di gas serra. L’accordo sul clima di Parigi nel 2015 è stato fortemente influenzato dalla disponibilità di dati satellitari altamente performanti, che hanno permesso di sviluppare modelli climatici credibili e affidabili, convincendo le governance sull’ influenza delle attività umane sul cambiamento climatico. Nel 2017 è stata lanciata a Parigi un’iniziativa importante: il coordinamento delle agenzie spaziali di tutto il mondo per la realizzazione di un osservatorio sul clima, basato sui satelliti di osservazione della terra. Infatti, ben 26 delle 50 variabili essenziali per il clima (Ecv) possono essere osservate in modo affidabile solo dallo spazio.

La mappatura terrestre quotidiana mostra i cambiamenti che si stanno verificando in qualsiasi punto del globo: ad esempio, come varia l’occupazione di un parcheggio, il livello delle riserve petrolifere o anche lo stato di costruzione di un arsenale o di un bunker. 
Si parla proprio di “rivelazione dei cambiamenti”: i computer sono programmati per mostrarci solo i cambiamenti delle immagini da un giorno all’altro. Questo ci permette di raggiungere risultati altrimenti inimmaginabili. In particolare, fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione in Amazzonia, la realizzazione delle infrastrutture militari sugli atolli del Mar della Cina, la formazione di campi profughi nel centro dell’Africa, lo scioglimento dei ghiacci ai poli o sulle montagne. Avere accesso allo stato dell’intero pianeta e assistere in tempo reale alle evoluzioni naturali e artificiali, giorno dopo giorno, è uno strumento formidabile per contrastare crisi di carattere internazionale: esserne coscienti è fondamentale perché tutti possano accedere a tali informazioni, e non solo limitati gruppi di interesse.

Da qui il pensiero corre ai satelliti spia, alla Guerra Fredda... 
Alla fine degli anni ’60 le due superpotenze – Usa e Urss – firmarono assieme all’Inghilterra l’“Outer Space Treaty”, poi adottato da un centinaio di altri Paesi. Il trattato non vieta attività militare nello spazio, ma vieta la presenza di armi di distruzione di massa e limita, l’impiego dei corpi celesti a scopi pacifici. Questo trattato, ad oggi, è stato rispettato. Ora si sta tornando a ipotizzare la militarizzazione dello spazio: significherebbe innescare un’excalation, di cui si conosce l’inizio, ma non la fine. L’uso dello spazio deve puntare alla creazione di nuovi lavori, alla formulazione di prodotti e servizi, alla gestione delle emergenze, al controllo dei cambiamenti climatici. È questo il modo migliore per Fare spazio [il titolo del suo ultimo libro edito da La nave di Teseo, ndr ] nei prossimi cinquant’anni.